NO ELETTROSHOCK
L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Si tratta di corrente elettrica che passando dalla testa e attraversando il cervello produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.
A più di ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto.
Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia e dalla scienza?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa la sua applicazione?
Basta chiamarla terapia per renderla legittima?
Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento?
Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
In Italia, sul finire degli anni novanta, i presidi sanitari dove era possibile praticare l’elettroshock erano nove – sei pubblici e tre privati. Venne presentata una campagna, “Sdoganare l’elettroshock”, dai più illustri psichiatri organicisti aderenti all’AITEC (Associazione Italiana Terapie Elettroconvulsive), che principalmente chiedeva due cose: un aumento dei presìdi autorizzati tale che si potesse coprire la richiesta di una struttura ogni milione di abitanti e la promozione di iniziative culturali tese ad una rivalutazione di quella che era la percezione pubblica dell’elettroshock. Fu così che gli apparati politici italiani intervennero in materia predisponendo, per la prima volta, un percorso teorico e normativo che identificasse delle linee guida condivise tra apparati istituzionali pubblici e privati e le richieste della psichiatria.
In Italia negli ultimi anni si tende a incentivare l’utilizzo delle terapie elettro-convulsive, non solo comeestrema ratio ma anche come prima scelta. Per esempio nel trattamento delle depressioni femminili entro i primi tre mesi di gravidanza, poiché ritenuto meno pericoloso degli psicofarmaci nei primi periodi di gestazione umana. Anche per quanto riguarda ipotetici problemi di depressione post partum la TEC viene addirittura pro-posta quale terapia adeguata e meno invasiva per le neo mamme rispetto agli psicofarmaci o ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Nel 2011 le strutture ospedaliere coinvolte, cioè quelle che hanno eseguito almeno una TEC in un anno, erano 91. Nel triennio che va dal 2008 al 2010, 1.406 persone sono state sottoposte a elettroshock. La maggioranza dei trattamenti riguarda le donne, 821 contro 585 uomini, e la fascia d’età va in media dai 40 ai 47 anni. Nel 2008 i pazienti over 75 che hanno subito la TEC erano 21, l’anno dopo 39.
Oggi i centri clinici dove si fa l’elettroshock sono 16 e i pazienti all’incirca 300 l’anno.
I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Ciò che resta di certo, quindi, è la brutalità, la totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato.
Ci teniamo, quindi, a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD – PISA antipsichiatriapisa@inventati.org
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO SENZANUMERO – ROMA senzanumero@autistici.org
30/5/2019 www.labottegadelbarbieri.org
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