No lotte? No lavoro!
La disoccupazione strutturale di massa produce la precarietà del tempo di lavoro e delle relative condizioni deprivate da ogni diritto all’organizzazione sindacale per la ricomposizione di una collettiva progettualità sulla difesa dei diritti residui come base per la riconquista dei pieni diritti di condizione lavorativa e salariale. Questa è la base sulla quale le “democrazie di carta”, dentro le quali operano i governi costruiscono la nuova schiavitù insita nei piani di governo: il Piano Colao del governo italiano ne è un esempio che comunica, senza alcuna mediazione parlamentare e sindacale, una gestione della forza lavoro esentata dalla valorizzazione della forza lavoro. La stessa fine di un’idea di istruzione pubblica sostituita dalla “cultura” aziendalistica determina una marginalità esistenziale delle nuove generazioni.
E’ sconfortante vedere come le grosse organizzazioni sindacali escludono che il piano elaborato dal comitato di esperti voluto dal governo non presenta altro che le vecchie ricette politiche che hanno portato agli orrori di oggi. Come sorvolare sul fatto che dopo cinque decenni dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori sono peggiorate le norme e le condizioni di donne e uomini che nell’arrancare quotidiano cercano faticosamente di cucire le proprie esistenze con la spada di Damocle della precarietà fino a sfiorare vere e proprie forme di schiavitù.
Il percorso verso la fine della contrattazione nazionale rappresenta l’involucro d’acciaio di questa ristrutturazione, dentro il quale sono cresciuti mostri di assistenzialismo elemosinante come lo sviluppo del welfare aziendale e la sanità integrativa, il tutto delegato alle grandi fondazioni finanziarie del padronato.
Lo stesso imperante sbocco lavorativo post- pandemico con lo smart-working acuirà lo stato di sudditanza, lasciando al sindacato il compito decontrattualizzato di consulente assistenziale.
La ristrutturazione capitalista operata dagli anni 80 con i licenziamenti di massa, con precedenza dei gruppi organizzati di classe operaia che intervenivano sulla determinazione di giusti salari e sulla nocività della fabbrica come luogo di malattie e morte, ha permesso – anche con la deriva concertativa del sindacato che ha abbandonato ogni forma concreta di controllo e contrattazione conflittuale-
ai settori padronali di riprendere il totale controllo della forza lavoro residua pianificando una rottura dell’unità dei settori produttivi , ad iniziare con la mistificante marcia dei presunti 40.000 colletti bianchi a Torino, poi “premiati” con ricollocazione forzata tra terziario, indotto e anche licenziamenti, facilitati dalla destrutturata compattezza della forza sindacale.
A ennesima conferma che ai poteri forti serve la mediazione giornalistica per amplificare messaggi sempre più semplificati nell’opera di mistificazione, che neutralizza la verità riducendola a opinione confusa in un magma di disinformazione.
Il modello in testa al padronato ha trovato la piena operativa organizzativa nell’odierna flessibilità occupazionale schiavizzata oramai diffusa in ogni settore del pubblico come del privato.
Dentro questo modello padronale è stata costruita la favola del terziario come nuovo motore economico di sviluppo post-fabbrica.
Intere “città operaie” , vedi Torino, hanno cambiato fisionomia sociale anche con l’espulsione dal centro di migliaia di famiglie economicamente fuori dal nuovo “decoro urbano” spinti nella cintura desertificata di elementi socializzanti e servizi sociali facilmente fruibili, come la sanità territoriale. Altre migliaia già residenti nei quartieri popolari della periferia si sono trovati sempre più rinchiusi in forme di ghettizzazione nelle quali si è inserito il conflitto contro gli immigrati di colore, pianificato dalla politica dei media padronali a sostegno delle politiche razziste messe in atto dai governi e dalle Giunte, prima di centrodestra e poi solo leghiste.
Un conflitto che ha facilmente trovato terreno fertile nella smemorizzazione del fenomeno immigratorio dal sud Italia degli anni 50/60/70.
Con queste premesse oggi assistiamo alla lotta fratricida tra poveri, tra “garantiti” e “non garantiti” che il sindacalismo deconflittualizzato riproduce di fatto effetti cogestivi (spesso consapevoli con la motivazione che “sarebbe perdente costruire lotte potenzialmente perdenti con questi rapporti di forza” ) della ristrutturazione ancora in atto, vedi Piano Colao scritto su dettatura della Confindustria.
La lotta tra poveri diventa strutturale e le disuguaglianze formali e sostanziali si intensificano tra i più vulnerabili e fragili, i più emarginati. Diventa precarietà giuridica facendo venir meno la piena cittadinanza nei diritti, del lavoro come in quella alloggiativa e di salute.
Un quadro sociale sempre più degradato e fautore, anche nella popolazione più sofferente, di opzioni politiche rancorose e autodistruttive. Ancorare il sentire popolare a politiche di sinistra, con sponda istituzionale è un’emergenza sociale drammatica che a causa della legge elettorale elitaria, è stata derubricata anche con il virus del “voto utile” da una parte e del voto di pancia dall’altro. I risultati sono stati governi fotocopia a destra e a manca, come questo Governo che non ha governato la crisi sanitaria.
E’ inconfutabile che ha abdicato alle sue prerogative e ignorato le responsabilità della Regioni a forte privatizzazione della sanità che hanno causato decine di migliaia di morti, anche riducendo i controlli per le imprese che di fatto hanno capitalizzato con il massimo dei profitti la pandemia.
Non si può prescindere da questo stato di cose e dalle condizioni concrete in cui si trovano i lavoratori, compresi gli operatori sanitari, gli anziani, le donne espulse dal lavoro causa la pandemia.
C’è da riprogettare il “dopo”. Lottando, autodifendendosi collettivamente.
Franco Cilenti
Editoriale del numero di luglio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
ANCHE IN VERSIONE INTERATTIVA
www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-luglio-2020
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