Per recuperare i giorni di scuola persi a causa dell’epidemia del coronavirus, c’è chi propone di rimediare con la didattica a distanza. Dicono alcun, si tratta di fare di necessità virtù. Ma che rapporto educativo è quello a distanza, quello che cancella il faccia a faccia, la fisicità dell’essere prossimi, il contatto verbale e non verbale? Sono un po’ démodé, forse lo sono sempre stata e da qui nascono le mie perplessità, pur sapendo che nel tempo cambiano gli apprendimento. Agli entusiasti delle novità, sommessamente vorrei ricordare che Platone, di fronte alla rivoluzione della trasmissione del sapere con la scrittura, nel Fedro affermava che niente poteva superare il magistero della parola viva, perchè parlando si scrive nell’animo del discepolo. E poi perchè? Per non stare indietro rispetto a quanto stabilito nella programmazione? Per paura di non raggiungere i previsti risultati di apprendimento? Ma a che serve quest’ansia produttivistica? Quanti giorni di vera scuola si perdono con la miriade di progetti PON, di attività extra-curriculari? E quanti se ne curano? E proprio ora vi ricordate che non si puo’ perdere tempo prezioso ai tempi del coronavirus? Un consiglio agli Insegnanti e ai Dirigenti Scolastici lo voglio dare: mandate tramite il registro elettronico una bella lista di libri di storia, di romanzi, di poesie, di letteratura, di psicologia e dite ad ognuno di loro che ne dovranno in qualche modo rendere conto. E’ mia convinzione che torneranno migliori di prima.
…. “la peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…”
Le parole sopracitate aprono il capitolo 31 dei Promessi Sposi, capitolo che insieme al successivo è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630.
Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che consiglio di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi. Dentro quelle pagine c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria…. In quelle pagine vi imbatterete fra l’altro in nomi che alcuni conosceranno quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala, Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma più che dal romanzo del Manzoni quelle parole sembrano uscite dalle pagine di un giornale di oggi. La scuola è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile. Ragazzi, questa settimana a casa da scuola, non lasciatevi trascinare dal delirio collettivo, continuate – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati, le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro.
La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.
Marilena Pallareti
Docente, Forlì
Collaboratrice radazionale del periodico lavoro e salute www.lavoroesalute.org
27/2/2020
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