Non è la nostra Europa, è la nostra vita
Oltre agli Stati Uniti d’America, anche in molti i paesi europei la pandemia ha accentuato la limitazione della scelta delle donne sul proprio corpo rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza. In Polonia è praticamente vietata e considerata illegale
Durante l’emergenza da COVID-19, abbiamo assistito a una repentina e violenta limitazione del diritto ad accedere al servizio di interruzione volontaria di gravidanza (IVG). La pressione della pandemia ha portato in Italia, come in molte parti del mondo, alla chiusura di reparti e ospedali in cui potevano essere effettuate le IVG. Proprio nel pieno della pandemia, in Polonia, veniva promulgata una legge liberticida che consente l’aborto solo in caso di rischio per la vita della madre/persona con utero e nel caso in cui la gravidanza sia frutto di uno stupro e che impedisce l’aborto anche nel caso di malformazioni fetali.
È in questo periodo che una donna in una situazione di violenza domestica, Ania, si rivolge all’associazione Abortion Dream Team (ADT) per chiedere aiuto e supporto per interrompere la sua gravidanza. A risponderle è Justyna Wydrzyńska, attivista femminista e fondatrice di ADT che il 14 marzo ha subito la condanna infame per aver aiutato Ania a interrompere la gravidanza tramite pillola abortiva. “Guilty for helping” – ha detto il giudice.
Oggi vogliamo provare a raccontarvi cosa significa quel “helping”, urlare la nostra solidarietà a Justyna e a tutte le donne e persone con utero, polacche e in tutto il mondo. Non sarà una condanna a fermarci perché è la nostra vita che non può fermarsi.
Abortion Dream Team nasce nel 1993 in supporto a tutte le persone che vogliono abortire; dal 2019 entra a far parte del network “Abortion Without Borders” (abortion.eu), che riunisce Abortion Dream Team (Polonia), Abortion Network Amsterdam (Paesi Bassi), Abortion Support Network (Regno Unito), Ciocia Basia (Germania), Kobiety w Sieci (Polonia), e Women Help Women. Queste organizzazioni sono quelle che più agiscono in Polonia per permettere a chi lo desidera di interrompere una gravidanza. Al loro fianco c’è anche Women on Web, un’altra ONG che si occupa di fornire assistenza e supporto alle IVG in telemedicina in quasi tutto il mondo.
La condanna per “helping” in Polonia assume inoltre un significato ancora più profondo. Dal 2021 Abortion Without Borders ha visto un aumento di richieste di aiuto pari a cinque volte rispetto all’anno precedente ed è stata contattata da 32.888 persone.
Women on Web dichiara che sono più di 10.000 i messaggi di aiuto arrivati dalla Polonia nello stesso anno . Sono queste le associazioni che hanno supportato e supportano tutte le persone che vogliono accedere a una IVG in Polonia: da quelle a cui è stato impedito l’accesso a causa delle restrizioni della pandemia alle donne russe e ucraine, in fuga e vittime di stupri di guerra. Il tutto mentre il governo polacco si vantava da una parte degli aiuti umanitari portati all’Ucraina, e dall’altra della costruzione di un muro di 186 km che demarca il territorio per arrestare gli attraversamenti di massa dei migranti provenienti dalla Bielorussia.
In mezzo a questo controsenso dolorosissimo, ci sono le migliaia di donne che loro malgrado si sono trovate a dover interrompere una gravidanza. Accedere a una IVG è qualcosa che non può aspettare un processo, un’autorizzazione da parte di un qualche tribunale, è un’urgenza di per sé: come si può promulgare una legge che permette l’IVG solo in caso di violenza? Cosa deve dimostrare una donna profuga che resta incinta dopo uno stupro di guerra? Niente. Come ogni persona che sceglie liberamente del proprio corpo. “Helping” significa non chiedere conto del perché ma praticare la sorellanza.
È su persone come Justyna che ricade l’onere di non far morire chi vuole abortire. Perché quando citiamo l’accesso sicuro all’IVG è di questo che parliamo: di non far morire nessunǝ. Per questo rifiutiamo la narrazione che divide gli “aborti buoni” e gli “aborti cattivi” a seconda dei motivi che hanno portato al concepimento, alla classe sociale della persona incinta, al colore della sua pelle, alla sua età. La storia di Justyna è una lampante dimostrazione delle nostre ragioni: come si può condannare una donna che ha aiutato un’altra donna, che per di più stava vivendo violenza domestica? La categorizzazione e la ricerca di giustificazione per chi compie una IVG sono strumenti nelle mani di un potere che parla di violenza sulle donne solo il 25 novembre se va bene, che si riempie la bocca di parole come “scegliere la maternità”, quando scegliere, in un sistema patriarcale, significa scegliere di poter non diventare genitore.
Un aborto sicuro è un aborto tempestivo. Nel 2022, le linee guida dell’OMS hanno dichiarato sicuro l’aborto farmacologico in telemedicina, addirittura più sicuro di uno fatto in ospedale.
Le possibilità di scelta che la pillola abortiva ci ha regalato hanno un valore inestimabile: possiamo abortire in sicurezza dove vogliamo. È per questo motivo che anche in Italia l’accesso alla IVG farmacologica non è omogeneo sul territorio nazionale, nonostante le ultime linee guida del Ministero della salute. L’aborto in telemedicina è una pratica irrinunciabile, in grado di arrivare a tante persone che, anche in un contesto di piena legalità, non potrebbero comunque accedere a questo diritto: persone disabili e con limitata mobilità, lavoratrici precarie che non possono assentarsi dal lavoro, persone che vivono in zone rurali senza mezzi di trasporto, persone che sono rimaste incinte di un partner violento e che le costringe a portare avanti la gravidanza, persone minorenni cresciute in contesti molto religiosi, donne senza documenti, persone non iscritte al SSN, persone trans e non binarie che non vogliono essere discriminate e misgenderate. “Helping” significa che nessunǝ resti solǝ col suo aborto, significa libero aborto farmacologico per tuttǝ.
In questo contesto, preoccupano molto le notizie che ci arrivano da oltreoceano: dopo il ribaltamento della Roe vs Wade che ha di fatto eliminato il diritto di aborto negli USA, si discute in questi giorni di un possibile “ban” del Mifepristone in tutto il Paese (la RU486). Un giudice trumpiano, Matthew Kacsmaryk, sta infatti chiedendo alla Food and Drug Administration che venga bandita la molecola sostenendo che non sia sicura. Nel caso in cui il Mifepristone fosse bandito, l’eco si ripercuoterebbe in tutto il mondo, limitando di fatto ancora di più l’accesso alle pillole abortive. La destra mondiale e i movimenti no choice si stanno muovendo e stanno mettendo in campo una delle più grandi alleanze della storia contro i diritti riproduttivi e il diritto di scegliere del nostro corpo e della nostra vita. “Helping” significa scendere in piazza, prendere parola sui social e ovunque, per respingere l’attacco dei contemporanei governi e apparati burocratici fascisti, far sentire la nostra voce!
Lo dobbiamo a Justyna, a tutte le attiviste che si preoccupano e si occupano di far sì che nel mondo si possa accedere a un aborto sicuro, a chi rischia la vita per la vita. “Helping” significa sostenere tutte le persone che si prendono cura della nostra salute in un’ottica transnazionale e intersezionale. “Helping” significa aiutare noi stesse, sostenendo chi ci sostiene. “Helping” è un crimine in un’Europa che non è la nostra e fa paura perché muove da un’idea semplice: vivere vuol dire scegliere. Non è la nostra Europa, è la nostra vita!
Per tutte, in tutto il mondo, nessuna condanna sui nostri corpi! Behind each of us, 10 more!
Obiezione Respinta
27/3/2023 https://www.dinamopress.it/
Immagine di copertina Margherita Caprilli
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