NON È MAI TROPPO TARDI (Pietro Ichino ha scoperto …… l’acqua calda)


Il nostro è un grande Paese! Ci sono stati giornalisti che, sull’onda dell’entusiasmo, si sono spinti fino al punto di riconoscere – nella recente vittoria dell’Italia al Torneo europeo di calcio – un segno del destino; premonitore degli strepitosi successi che avremmo conseguito grazie “all’effetto Draghi”. Così come ci sono stati altri commentatori “indipendenti” che, noncuranti del ridicolo, esaltavano le gesta degli atleti italiani che primeggiavo alle Olimpiadi di Tokio grazie al nuovo “clima” instauratosi nel Paese.

Eppure qualcosa di vero c’era perché, in definitiva, il “banchiere” e la sua grande “ammucchiata” sono stati artefici di un vero e proprio miracolo.
Infatti, anche se non se ne conoscono i motivi – che presuppongo di carattere personale, piuttosto che di diversa visione politica – alcuni mesi dopo l’insediamento del nuovo Esecutivo, Pietro Ichino alias “Il Licenziatore (1)” ha improvvisamente scoperto “l’enorme ritardo che caratterizza la situazione italiana dei servizi al mercato del lavoro rispetto al centro e nord Europa.”.

In effetti, per chi, come me, ha sempre seguito con molto interesse, altrettanta diffidenza e assoluta contrarietà, le numerose “crociate” intraprese dall’ex senatore Pd – dalla strenua difesa della legge 30/2003 a quella del vero e proprio “Supermarket delle tipologie contrattuali” rappresentato dal d.lgs. 276/2003, dalla sostanziale “liberalizzazione” dei contratti a tempo determinato alla condivisione del contratto “pirata” sottoscritto dall’Ugl a danno dei rider, dalla soppressione della c.d. “giusta causa” contro i licenziamenti illegittimi alla truffa” rappresentata dal c.d. “Contratto a tutele crescenti”, dall’opposizione al Reddito di cittadinanza alla teorizzazione di un 1° maggio festeggiato dai lavoratori offrendo alla comunità (e alle imprese, evidentemente) una giornata di lavoro “gratuito” – la sua ultima performance (2) ha rappresentato una vera sorpresa.

Non si può, infatti, ricorrere ad altro termine nel rilevare che Pietro Ichino, novello portatore di “buone novelle”, si è cimentato, attraverso la pagina de “Lavoce.info”, nel raccontare la storia di un certo Sig. “X”, giovane sardo, di professione barbiere, emigrato in Germania circa 50 anni fa.

In estrema sintesi, l’ex senatore riporta come il nostro giovane connazionale – rimasto presto invalido e senza lavoro, ma supportato dall’efficienza delle strutture pubbliche tedesche in materia di “politiche attive del lavoro”- tra un “trattamento di disoccupazione”, un “percorso di riqualificazione”, una “indennità di formazione”, l’impegno in un “programma concordato” e, al termine del percorso, un’assunzione “agevolata con contribuzione ridotta a carico del datore di lavoro”, riuscisse, nell’arco di tre/quattro anni, a svolgere la professione di ottico e, messo da parte un “gruzzoletto”, rientrare nella sua Sardegna quale titolare di un negozio di ottica.

Il tutto, al fine di illustrare la bontà e l’efficacia delle modalità attraverso le quali risolvere le difficoltà relative alla rioccupazione e alla ricollocazione dei lavoratori tedeschi e di meglio comprendere, a parere di Ichino, “l’arretratezza dei servizi al mercato del lavoro disponibili in Italia“.
Un percorso virtuoso quindi, vigente in Germania sin dallo scorso secolo e ancora tutto da inventare in Italia, secondo l’autorevole giuslavorista.
“Nel nostro Paese”, conclude l’ex senatore: “Al Sig. X sarebbe stata assegnata una pensione di invalidità che sarebbe costata all’Erario complessivamente molto di più”!
Peccato, però, che la constatazione di Ichino giunga, ai fini della sua credibilità, “fuori tempo massimo”!

Perché troppo tardi?
Per rispondere esaurientemente a questa domanda, è necessario fare qualche passo indietro.
In questo senso, un doveroso punto di partenza era rappresentato da quello che veniva definito “il dualismo (3) del mercato del lavoro”, inteso quale invalicabile solco tra lavoratori “garantiti” (soprattutto grazie alle tutele previste dall’ex art. 18 dello Statuto) e “peones” (perché privi di tutele).
Il successivo era relativo alle modalità attraverso le quali operare per porre rimedio all’ingiusto squilibrio normativo.
Personalmente, e sono sempre stato in numerosa (e ben più qualificata) compagnia (4), ho sempre sostenuto che il dilagare della c.d. “flessibilità”, presto trasformatasi in “precarietà diffusa” – immediata ed inevitabile conseguenza della deregolamentazione del mercato del lavoro avviata dall’avvento del lavoro “atipico” ed intensificata in maniera esponenziale, a partire dal 2003, grazie al d.lgs. 276/03 – avrebbe prodotto effetti disastrosi nei confronti dei lavoratori.
Sarebbe stato, quindi, necessario (e logico, oltre che legittimo) adeguare “al rialzo” il livello di protezione per milioni di lavoratori con contrati di lavoro “atipico”, “a termine”, “in somministrazione” e in qualsiasi altra “diavoleria” contrattuale prevista dalla vigente normativa; compresa l’ultima “chicca”: il “Contratto a tutele crescenti”. Ultimo prodotto dell’inesauribile vena contro riformatrice di quel padronato che ha sempre potuto contare sulla feconda fantasia di Pietro Ichino.

Purtroppo, però, è stato realizzato l’esatto contrario!
La rivisitazione di alcune parti del Diritto del lavoro e la deregolamentazione del Mercato del lavoro, ad opera dei governi Berlusconi, del duo Monti/Fornero e, dulcis in fundo, di Matteo Renzi, hanno prodotto conseguenze nefaste e il risultato finale, che oggi coinvolge la totalità dei lavoratori italiani – nessuno escluso, nemmeno quelli che hanno ancora il privilegio(!) di poter contare sulla vecchia versione di contratto di lavoro a tempo indeterminato (5)- è rappresentato da un concetto di “flessibilità” divenuta sinonimo di “precarietà” e da un vistoso peggioramento delle condizioni attraverso le quali si eseguono le prestazioni lavorative.

Appare, quindi, logico e giustificato che, oggi, la rabbia di chi, impotente, ha dovuto subire un processo di work in progress teso unicamente a una equiparazione “al ribasso” delle tutele che garantivano il posto di lavoro e di coloro che, invece, auspicavano un sensibile miglioramento (per superare una condizione che lo stesso Ichino arrivava a definire di “apartheid” (6) sia dettata dal fatto che, ogni qualvolta si procedeva con la controriforma “di turno” – che si trattasse dei contratti a termine o della disciplina degli appalti, piuttosto che della cessione di ramo d’azienda o del par-time, così come della manomissione dell’art.18 o dell’invenzione della nuova versione del contratto a tempo indeterminato – il refrain era, più o meno, sempre dello stesso tenore.

Il solito, reiterato, messaggio secondo il quale, giusto per riportare le parole di Pietro Ichino – infaticabile teorizzatore di ipotesi e soluzioni (regressive, in termini di diritti e tutele) sostanzialmente accolte dalla Fornero prima e da Renzi poi – “Occorre passare da un sistema che protegge il lavoratore ad un sistema che, invece, protegga il posto di lavoro. Abbandonare, quindi, il vigente regime di job property (7) (superare l’art. 18, in sostanza) e sostituirlo con i principi della flexsecurity”.

I lavoratori – soprattutto gli ex, in quanto espulsi dalle aziende – non avrebbero, quindi, avuto nulla di cui preoccuparsi! Il confortante messaggio conteneva anche le indicazioni relative agli strumenti (che definirei miracolosi) che, contemporaneamente, sarebbero stati offerti ai disoccupati e, soprattutto, agli ex occupati (quale conseguenza della sostanziale liberalizzazione dei licenziamenti, senza più la “giusta causa”): l’accesso a “percorsi di formazione”, le “analisi dei bisogni formativi”, gli “aiuti per la ricerca di un’occupazione” e, in particolare, l’offerta di “contratti di ricollocazione!
Il tutto sarebbe stato realizzato grazie all’efficienze e all’efficacia delle strutture preposte a fornire servizi per l’impiego e strumenti di politiche attive del lavoro.
Peccato, però, che l’inefficienza, l’inefficacia e l’arretratezza dei servizi al mercato del lavoro disponibili in Italia – condizioni delle quali solo oggi Pietro Ichino prende clamorosamente atto – fossero già ampiamente note e documentate.

Abbiamo assistito, in realtà, all’ennesima rappresentazione di un classico della politica italiana: “la politica dei due tempi” applicata alla deregolamentazione del mercato del lavoro.
Al riguardo, credo tutti ricorderanno il mantra propinatoci (ancora oggi) ogni qualvolta il governo di turno individuava un “privilegio” dei lavoratori sul quale intervenire.
E’ l’Europa che lo chiede”, piuttosto che “Occorre allinearsi all’Ue”, oppure “Trattasi di un’anomalia presente solo in Italia”!

È grazie a queste pretestuose motivazioni che “la politica”, in particolare quella degli ultimi venti anni – adeguatamente supportata da “teorici” suoi fiancheggiatori – è riuscita ad operare una devastante opera a danno dei lavoratori italiani.
Abbiamo quindi assistito – con una Cgil spesso colpevolmente silente e Cisl e Uil (spesso) nelle vesti di veri e propri “complici” – tra l’altro, alla deregolamentazione del contratto a termine e, in particolare, al superamento delle garanzie offerte dall’ex art. 18.
Ciò sarebbe stato compensato – ci avevano raccontato e garantito – dalla “Riforma degli ammortizzatori sociali” (tutta ancora di là da venire), dalle rinnovate “Strutture pubbliche per il collocamento dei disoccupati” (i famigerati Centri per l’impiego, finalmente “a regime”) e dalla costituzione di una nuova “Agenzia di coordinamento della rete nazionale dei servizi per il lavoro” (l’evanescente Anpal Servizi). Tutto per assicurare “il passaggio indolore da un lavoro all’altro” e una “continuità di reddito ai disoccupati” attraverso la fornitura di splendidi servizi innovativi quali: “interviste personali”, “informazione diffusa su domanda e offerta di lavoro”, “formazione finalizzata”, “sviluppo delle competenze”, “percorsi di riqualificazione professionale”, “sostegni all’imprenditoria individuale” e, per finire, la fantomatica “ricollocazione”; a patto, naturalmente che “non disturbassimo il manovratore”!

Le attuali condizioni del mercato del lavoro italiano – caratterizzato da disoccupazione endemica, flessibilità diffusa, precarietà sistemica e milioni di lavoratori “poveri” (solo accentuate dalla recente pandemia) – confermano che la politica dei due tempi si è, drammaticamente, fermata al primo.

E solo oggi, ironia della sorte e grave offesa ai disoccupati e lavoratori italiani, Pietro Ichino – l’indomito teorico del superamento dell’art. 18 e “suggeritore occulto” del Contratto a tutele crescenti – scopre che “l’arretratezza dei servizi al mercato del lavoro disponibili in Italia corrisponde alla condizione tedesca di mezzo secolo fa”!

NOTE

1- Occorre ricordare il ruolo determinante svolto da Pietro Ichino attraverso la teorizzazione del superamento delle garanzie offerte dall’ex art. 18 dello Statuto e, contemporaneamente, della nascita del c.d. “Contratto a tutele crescenti”, in sostituzione del vecchio contratto a tempo indeterminato.
2- Fonte: “Lavoce.info” del 29 ottobre 2021; “Una storia vera di politiche del lavoro”.
3- Rispetto al quale è doveroso rilevare che Pietro Ichino ha versato “fiumi d’inchiostro”.
4- Tra gli altri, i compianti Proff. Luciano Gallino, Ordinario di Sociologia e Massimo Roccella, Ordinario di Diritto del lavoro.
5- Perché il loro rapporto di lavoro a tempo indeterminato è comunque regolato dal nuovo art. 18 dello Statuto (legge 300/1970, come modificata dalla legge 92/2012).
6- Ricorrendo sempre a inutili anglicismi, l’ex senatore Pd si è sempre espresso in termini di core workers o insiders, per indicare coloro che definiva “garantiti” dalle tutele e periferal workers o outsiders, per quelli senza tutele.
7- Sistematico ricorso a inutili e stucchevoli anglicismi. Come se l’abuso di termini inglesi aggiungesse sostanza e chiarezza.

di Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

1/11/2021

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