Non per tutti, ma per noi: il protocollo rider a Reggio Emilia e la crisi di confederali e centrosinistra
L’irruzione, anche in Italia, delle varie Union territoriali e spontanee di rider, poi riunitesi nella rete nazionale Riders X i Diritti, ha aperto un nuovo capitolo nel contesto delle lotte sindacali: da anni non si assisteva alla nascita di un soggetto capace di radunare istanze dal basso e, contemporaneamente, di obbligare, tramite anche una massiccia e diffusa campagna di protesta e sensibilizzazione nelle strade e nel web, la controparte datoriale a sedersi, mal volentieri, a tavoli di contrattazione con anche le istituzioni.
Nonostante, infatti, inizialmente il lavoro dei ciclo-fattorini venisse inquadrato come autonomo dalle aziende, i diretti interessati si sono organizzati per reclamare a gran voce i diritti e le tutele proprie di lavoratori e lavoratrici subordinat*: soltanto dopo numerose mobilitazioni in tutta Italia, finalmente sono arrivati i primi riconoscimenti e adeguamenti. È notizia dello scorso 30 marzo la decisione di Just Eat di applicare ai suoi rider il Contratto nazionale trasporti merci e logistica, pur con qualche deroga.
Un risultato comunque soddisfacente e soprattutto un primo passo verso un inquadramento contrattuale più onesto e rispettoso delle reali condizioni di lavoro dei ciclo-fattorini.
Per l’occasione, per esempio, Riders Union Bologna (tra le organizzazioni più attive e battagliere) ha parlato di fine della «schiavitù», promettendo però di mantenere alta l’attenzione «sul contratto e sulla sua applicazione nei vari processi aziendali». Chi ha espresso un giudizio invece completamente positivo sono stati i sindacati confederali. È stato, infatti, grazie anche al loro intervento che si è giunti allo storico traguardo: in una nota congiunta, Cgil, Cisl e Uil si sono complimentate per un accordo «ottenuto dal sindacato, sia a livello nazionale, sia a livello territoriale».
Per quanto è innegabile che l’intervento dei confederali, benché tardivo se confrontato alla lotta delle Union auto-organizzate, sia stato determinante nel raggiungimento di questo primo risultato, appare anche evidente come gli stessi abbiano per lungo tempo arrancato sulla questione, costretti a inseguire le organizzazioni spontanee di rider. Un fenomeno che purtroppo continua a manifestarsi, come dimostrano alcune recenti vicende verificatesi a Reggio Emilia.
Nella città emiliana, infatti, si sta assistendo, già da qualche settimana a uno scontro tra la Union locale da una parte e, dall’altra, sindacati storici e istituzioni guidate da una giunta di centrosinistra.
È il 16 luglio quando Riders Union Reggio Emilia, ADL Cobas Emilia Romagna e la lista civica Reggio Emilia in Comune presentano una mozione popolare, forte di oltre 500 firme e del supporto delle sedi reggiane di Possibile e Sinistra Italiana, per un protocollo che assicuri «condizioni minime di dignità sul lavoro a tutte e tutti i riders reggiani». Nella mozione popolare si richiedono un «tavolo permanente e di lungo termine, per creare un percorso di collaborazione fra l’amministrazione comunale e chi vive quotidianamente la città come rider. Tra le principali criticità da noi rilevate ci sono la mancanza di bagni pubblici aperti nel turno serale, ripari dalla pioggia nelle zone di attesa ordini, punti di ricarica smartphone e riparazione fai-da-te per le biciclette».
Pochi giorni dopo, tre per l’esattezza, senza che dall’amministrazione locale sia arrivata alcuna reazione al riguardo, la giunta comunale e i sindacati confederali annunciano, tramite l’ufficio stampa del Comune e i canali social del sindaco Luca Vecchi, l’entrata in vigore di un Protocollo operativo per i riders. «Un accordo tra i lavoratori, i sindacati e l’amministrazione comunale, grazie all’impegno dell’assessore Daniele Marchi, per dare aiuto concreto a questa categoria che spesso si trova a lavorare in condizioni precarie», si legge nel post su Facebook a opera di Vecchi. Sempre sul social network di Mark Zuckerberg, la pagina ufficiale del Comune reggiano pubblica un video di neanche due minuti in cui proprio l’assessore Marchi «presenta il Protocollo d’intesa ‘Reggio Emilia città Rider friendly’ sottoscritto oggi da Comune e Organizzazioni Sindacali per avviare un percorso di confronto e sostegno».
Il documento porta la firma, fra gli altri, del neo-segretario della Cgil di Reggio Emilia: lo stesso che ha sottoscritto l’accordo nazionale con Just Eat.
Salta subito agli occhi la più totale assenza, in tutte le comunicazioni, di qualsiasi riferimento alla mozione presentata da Riders Union Reggio Emilia, ADL Cobas e Reggio Emilia in Comune (Rec). Se ne accorgono, ovviamente, i diretti interessati e non tardano a segnalarlo. La Union reggiana si è espressa in un comunicato piccato, ma non privo di osservazioni che vanno ben oltre il caso specifico e gettano più di un’ombra sul celebrato modello di “città delle persone” promosso dalla giunta di centrosinistra.
Riders Union Reggio Emilia denuncia come, «oltre a lavorare ed essere sfruttati, i riders reggiani da quattro mesi non vengono ricevuti dal sindaco o assessore competente e sono costretti a ricorrere alle mozioni popolari per prendere parola con l’amministrazione». Tra le principali critiche al protocollo firmato da amministrazione e confederali, il «posizionamento del ‘riders point’ in via Turri, luogo dal quale è impossibile lavorare per i rider data la lontananza dai luoghi strategici per ricevere ordini dalle piattaforme».
La scelta di installare il cosiddetto “riders point” in via Turri (da realizzarsi nei locali del Caffè Reggio, attualmente chiuso) appare, infatti, frutto di un sottile calcolo politico che punta a mettere nuovamente a profitto attività di proprietà del Comune mai decollate con successo.
Tutto questo a scapito anche della sicurezza di lavoratori e, soprattutto, lavoratrici: la zona di via Turri è isolata, distante rispetto al centro cittadino e già in passato è stata teatro di una aggressione. Insiste su questo punto anche la rete sociale e politica Rec: «La scelta del luogo non risponde alle necessità logistiche del loro lavoro, ma appare unicamente il tentativo di rivitalizzare dei luoghi della città che rappresentano il fallimento delle politiche sociali di questa Amministrazione».
Rec punta il dito poi sull’assenza di un dialogo con Giunta e sindacati: «né il Pd né i sindacati confederali hanno davvero ascoltato lavoratori e lavoratrici prima di uscire pubblicamente con questo documento, che ha come unico obiettivo vanificare gli sforzi della nostra azione».
Partendo ironicamente dal concetto di «falso d’autore», cioè «un tipo di quadro che è davvero molto somigliante a un altro», e applicandolo ai due protocolli, Rec rimarca l’inconsistenza retorica degli «aiuti concreti» e della promessa di «un percorso di ascolto e confronto per monitorare la sperimentazione e promuovere ulteriori misure di supporto».
Come scrivevamo anche su DINAMOpress qualche settimana fa, riguardo un’altra città emiliana, il capoluogo Bologna, «la cultura politica degli amministratori locali è ostile alle forme di autogestione, a tutto ciò che sfugge a una formalizzazione procedurale e istituzionale, ai movimenti spontanei e imprevisti».
Lo stesso pare dire Rec nel suo lungo post: «L’idea che esista una #città che vive e vuole decidere al di fuori del sistema di controllo dell’Amministrazione è per loro inaccettabile e deve essere immediatamente soffocato. Nella città delle persone […] e della #partecipazione (quella controllata dal Comune però, che se cerchi di partecipare con idee non conformi vieni bellamente ignorato), è da marzo che i riders hanno chiesto un incontro con l’Amministrazione, senza ricevere alcun riscontro. Anche i sindacati confederali hanno dimostrato, una volta in più, di lavorare non più per i lavoratori ma alle loro spalle».
Già nei giorni successivi alle critiche, Vecchi ha dichiarato di essere stato «mal interpretato» quando ha detto che «esiste un tavolo unico di trattativa» e ha invitato la Riders Union reggiana e i sindacati di base al tavolo di confronto sul protocollo firmato insieme ai confederali (che invece, in tutta questa storia, sono sempre rimasti in silenzio). Ancora una volta, le parole amare di Reggio Emilia in Comune appaiono le più adatte per un commento: «si dichiarano disponibili a prestarci la nostra bici, dopo avercela sfilata dalle mani».
Dinamiche analoghe si sono verificate anche nella bassa emiliana. A marzo Rider Union Carpi denunciava tramite social un incontro «fra amministrazione comunale della città di Carpi ed i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil» per stipulare un protocollo rider.
Anche in questo caso non c’è stato nessun confronto con la Union carpigiana, che ha infatti dichiarato di «non comprendere a nome di quali rider siano [i confederali, nda] andati a parlare col comune», dato che «nella nostra città tali sindacati hanno totalmente latitato e non si sono mai fatti veramente sentire».
A Reggio Emilia, come già a Carpi, centrosinistra e sindacati confederali hanno tentato di ignorare e delegittimare le istanze dei lavoratori autorganizzati, presentando un protocollo rider alternativo avente come scopo il conseguimento di consenso politico e l’esclusione di potenziali concorrenti piuttosto che l’ascolto degli appelli di lavoratori e cittadini. Tali modalità d’azione sono indicative delle tattiche adottate, a livello locale come nazionale, dal Partito Democratico e da Cgil, Cisl e Uil. Spesso, infatti, questi ultimi sfruttano la propria influenza su istituzioni e aziende per imporsi ai tavoli decisionali, capitalizzando i frutti di semi piantati e coltivati dalle realtà associative di base, come le Union di rider. Le stesse associazioni in grado, uniche in Italia, di organizzare i presunti lavoratori “inorganizzabili” della gig economy.
I recenti eventi emiliani sono rappresentativi anche di una generalizzata crisi delle idee, se non di identità, del centrosinistra italiano. Esso appare sempre più arroccato nelle sue posizioni di potere, specie nelle sue roccaforti, e agisce quasi solo in funzione del mantenimento delle stesse, estromettendo qualunque movimento o formazione che possa metterlo in discussione. Vengono così sistematicamente soffocate le realtà sociali più innovative e fertili del panorama italiano che tentano di affrontare da sinistra e dal basso il crescente malessere sociale.
Di fatto, spesso il mantenimento dello status quo è anteposto alle problematiche sociali e del lavoro: invece di riformarsi strutturalmente per produrre risposte adeguate alle nuove sfide, come quelle poste dalla gig economy, risulta più semplice silenziare chi raccoglie con successo tali sfide capitalizzandone in parte i risultati, nel migliore dei casi.
Ciò genera un circolo vizioso: più le istituzioni e i sindacati perdono il contatto con nuove e vecchie categorie di lavoratori e fasce sociali svantaggiate, anziché raccoglierne e affrontarne le istanze, più le realtà dal basso sono chiamate a rispondere a tali problematiche per poi essere ostacolate dal centrosinistra che sente la propria posizione egemone minacciata.
Tuttavia, il passo indietro al quale sono stati forzati amministrazione comunale e sindacati confederali a Reggio Emilia dimostra come tale circolo possa essere spezzato e realtà provenienti dal basso possano essere incluse nei tavoli di discussione, a beneficio di tutti: lavoratori, parti sociali, organizzazioni di base e anche gli stessi sindacati confederali e il Pd. Ne è un esempio Bologna, dove amministrazione comunale e sindacati hanno riconosciuto Riders Union Bologna come realtà rappresentativa delle e dei rider con la quale dialogare, a beneficio di tutte le parti coinvolte.
Non a caso tale dialogo ha portato alla firma della Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano, il primo accordo in accordo in Europa fra riders union, sindacati, comune e un’azienda di delivery (MyMenu).
La lotta per guadagnarsi spazi dal basso ai tavoli contrattuali, per sviluppare e impiegare nuove strategie di organizzazione della forza lavoro sempre più precarizzata dalla gig economy, per rinnovare la sinistra mettendone in discussione le strategie novecentesche, è una lotta per tutti e tutte: non è un caso se il motto delle Union di rider è proprio «non per noi ma per tutt*». Sindacati confederali e Partito Democratico inclusi.
Alberto Seligardi, Nicolò Arpinati
10/8/2021https://www.dinamopress.it
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