Note a margine di un grande e riuscito sciopero nelle ferrovie
Proprio mentre stavamo pubblicando queste note, un macchinista in servizio sulla linea Roma-Pescara veniva stroncato da malore. Tragica dimostrazione di quanto sono importanti le rivendicazioni legate ai turni e al primo soccorso, alla base dello sciopero. Rivendicazioni che hanno un carattere generale, sia per la categoria (pensiamo alle 6 giornate di sciopero dei ferrovieri in Germania che hanno costretto Deutsche Bahn ad accettare la riduzione dell’orario settimanale a 35 ore, a parità di salario), sia per l’intera classe lavoratrice sempre più stretta nella doppia tenaglia allungamento degli orari di lavoro/precarietà dell’impiego-disoccupazione. Più che mai vero: lavorare meno, lavorare tutti – lavorare tutti, lavorare meno! (Red.)
Note a margine di un grande e riuscito sciopero nelle Ferrovie
Lo sciopero di 24 ore nelle Ferrovie conclusosi alle 20.59 del 24 marzo porta con sé elementi di riflessione su cui è il caso di soffermarsi.
La straordinaria, e per certi versi inaspettata, riuscita dell’agitazione ha evidenziato la volontà dei lavoratori di concretizzare dal basso e in prima persona le rivendicazioni scaturite dalle assemblee di questi mesi, contro l’immobilismo complice dei sindacati concertativi. I treni sono stati soppressi a centinaia nonostante le tattiche aziendali per intimidire e disorientare il personale e le azioni di krumiraggio messe in campo (ordini scritti e reiterazioni per garantire treni non previsti in base alla L. 146/90, minacce di sanzioni, domande sibilline ai giovani apprendisti, quadri aziendali a sostituire gli scioperanti).
L’azione di lotta è stata indetta dall’Assemblea del Personale di Macchina e di Bordo, organismo autorganizzato nato nel maggio scorso, e dalle tre sigle di base presenti nelle due qualifiche (CUB, SGB, USB). Un percorso iniziato con la discussione di una piattaforma condivisa (più di tremila partecipanti), e continuato in crescendo fino a un primo sciopero di 8 ore cui è seguito quello di 24 ore del 23-24 marzo.
Alla base delle rivendicazioni c’è la richiesta di un rinnovo contrattuale che affronti diritti, normativa di lavoro, sicurezza, salario. Per invertire la rotta rispetto al progressivo allungamento delle prestazioni al limite, a carichi di lavoro sbilanciati e riposi inadeguati al recupero psicofisico, a piante organiche sistematicamente non coperte, all’uso massiccio dello straordinario, alla fruizione dei pasti precaria: questioni assenti dai tavoli concertativi, dove le “trattative” per il rinnovo contrattuale, in assenza di ogni embrione di piattaforma rivendicativa, si trascinano per inerzia da almeno otto mesi discutendo del nulla (i primi 15 articoli del contratto, Sistema Relazioni Industriali e Diritti Sindacali) in attesa, forse, di assestare all’improvviso la legnata finale (scenario già visto più volte in passato). A fronte del vuoto delle sigle firmatarie ai tavoli di negoziato, i ferrovieri hanno deciso di fare da sé.
Stesso percorso nel settore Manutenzione dove, se possibile, la situazione è ancora più grave. Qui un accordo è arrivato il 10 gennaio scorso, e ha scatenato la mobilitazione degli addetti. L’estensione dei turni di lavoro 7 giorni su 7, le deroghe territoriali al contratto, stravolgono le condizioni di un settore dove, peraltro, il ricorso al lavoro in appalto è sistematico, in contesti lavorativi nelle ditte appaltatrici assolutamente peggiori (dopo Brandizzo è emersa una realtà del sistema appalti fatta spesso di contratti a tempo determinato, di lavoratori sottopagati o pagati in nero, che affrontano il lavoro notturno senza l’adeguato riposo, che effettuano i corsi di legge per la sicurezza solo sulla carta). Una corsa al ribasso. Con questo accordo il gestore dell’Infrastruttura (Rfi) e i sindacati firmatari aprono la strada ad abbattimenti delle tutele contrattuali su orari e ritmi, con massima flessibilità nelle 24 ore, sottoscrivendo condizioni di lavoro in Rfi a livello delle ditte di appalto e subappalto. Anche qui è partito un percorso dal basso con raccolta firme contro l’accordo (oltre 3000), manifestazione a Roma con 500 caschi gialli, sciopero il 13 marzo indetto dall’Assemblea e dai due sindacati di base presenti nel settore (Conf. Cobas, USB).
Questa, in estrema sintesi la situazione nella categoria, risvegliatasi dopo una passività di molti anni. Sono evidenti alcuni aspetti che non vanno ignorati.
Il punto fondamentale è l’unione di intenti tra diverse categorie propedeutica a future azioni di lotta. Il superamento degli steccati e del settarismo autoreferenziale che spesso caratterizza e divide le sigle di base ha permesso di portare tra i lavoratori delle Ferrovie l’azione trasversale e la sinergia tra le diverse appartenenze del sindacalismo di base e conflittuale.
Così è ad esempio nel Coordinamento Macchinisti Cargo, settore, quello del trasporto delle merci su ferro, dove il dumping normativo è a livelli altissimi grazie ad una liberalizzazione selvaggia che ha moltiplicato le imprese di trasporto (e i contratti, spesso privi di tutele e vincoli accettabili rispetto a questioni fondamentali quale ad esempio il lavoro notturno).
Così è nei coordinamenti (vedi l’Assemblea 29 giugno nata dopo la Strage di Viareggio e il suo instancabile appoggio alle iniziative dei lavoratori).
Così è con la Cassa di Solidarietà (dove uno dei nostri militanti TIR è nel direttivo nazionale), organismo autofinanziato che interviene a supporto dei ferrovieri colpiti dalle rappresaglie aziendali (sostegno ai licenziati, pagamento delle spese legali, ricorsi contro le punizioni); la Cassa ha ripreso un metodo d’azione storicamente radicato nella categoria, che affonda le radici negli scioperi del primo dopoguerra (basti citare solo il supporto ai ferrovieri del Nord Est alla fame in sciopero per 56 giorni nel 1919 e ai 44 mila licenziati politici dal fascismo) ed è presente nella lotta attuale come risposta all’atomizzazione del lavoro voluta da imprese e sindacati concertativi.
Significativo e fondamentale l’apporto dei due giornali di categoria («Cub Rail», dove un militante TIR è tra i redattori, e «Ancora in Marcia!», giornale dei macchinisti), che non hanno esitato a mettere a disposizione le loro pagine per la stampa dei questionari, dei risultati, dell’aggiornamento della vertenza.
Ulteriore aspetto da non sottovalutare è quello della saldatura generazionale. È sempre molto difficile e per nulla scontato il passaggio del testimone tra generazioni. I vecchi attivisti, protagonisti delle lotte di base degli anni Ottanta e Novanta (in un contesto radicalmente diverso dall’attuale) e ormai fuori dalla produzione, stanno mettendo la propria esperienza (da RLS e non solo) a disposizione di una nuova generazione che è priva di memoria di classe.
Quello che insegna lo sciopero è che solo la lotta organizzata, permanente e sistematica può strappare risultati: “chi non lotta, ha già perso”. Fondamentali sono la solidarietà, la partecipazione e la mobilitazione, in un percorso comune con le categorie del mondo del lavoro, coi familiari delle vittime di Viareggio, con le associazioni, riportando temi come salute e sicurezza temi al centro delle rivendicazioni. Su questioni come queste non va abbassata la guardia, come dimostrano almeno due degli ultimi tragici episodi (disastro di Corigliano, 28 novembre 2023, capotreno morta; Borgosesia, 3 marzo, operaio manutenzione con mano amputata).
Dopo molti, troppi anni di passività, il personale dei treni si autorganizza e lotta. I sindacati concertativi sono in difficoltà, è il momento di agire e andare avanti. Per quanto ci riguarda, abbiamo fatto e faremo la nostra parte.
Alessandro Pellegatta
26/3/2024 https://pungolorosso.com/
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