Novelle dal precariato in fiamme
Viviamo in un tempo di transizione, dunque in un tempo di incertezza e di attesa, sempre in bilico fra il già e il non ancora. In ogni singolo soggetto, ricco o povero, debole o potente, si percepisce la tensione forte verso un punto d’arrivo che segni la conclusione di questo percorso dentro la mutazione. Nei dodici personaggi di queste novelle, scritte da Gianni Giovannelli e da pochissimo pubblicate da Mimesis, ritroviamo il timore di un disastro e la speranza, per questo lo schema narrativo guarda alla grande creazione poetica dell’Apocalisse e in particolare alla simbologia dei quattro cavalieri che segnano i passaggi, fino alla rimozione dei veli oscuranti, fino alla rivelazione. I protagonisti del prologo e dell’epilogo, migranti e migrati, sono consapevoli che ciò che è non sarà; le dodici novelle nascono nel cuore della metropoli milanese, dentro la sua architettura urbanistica, con suggestioni e miserie, sempre senza dimenticare il legame con il luogo in cui scorre l’esistenza. Le radici sono capaci di sopravvivere alla transizione. Presentiamo ai lettori e alle lettrici di Effimera la dodicesima novella, Ornella.
Gianni Giovannelli, Novelle dal precariato in fiamme, luglio 2024, Mimesis
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Ornella. Dodici. Appartiene a una rude razza pagana che vive e cresce dentro la trappola della precarietà.
era il novembre del 1958 quando Ercole il fratello di mio nonno Giacomo Aldeghi cambiò il manicomio passando dal Giuseppe Antonini di Mombello al Paolo Pini di Affori era una storia di cui a casa si parlava poco pure malvolentieri si vergognavano magari la gente pensa che la pazzia sia ereditaria in effetti il tarlo lavora nella testa di ogni persona nessuno lo ammette ma è così io da bambina ero affascinata dalla figura del prozio non solo fratello ma proprio gemello dicono fossero uguali identici solo che uno cominciò subito a dare di matto ne parlava tutta Barzanò l’altro invece a dodici anni già lavorava come apprendista nella salumeria dei fratelli Beretta uno dei titolari Felice comprava i maiali della famiglia erano contadini poveri senza un futuro meglio andare sotto padrone con la possibilità di sistemarsi
Felice Beretta aveva simpatia per Giacomo li aiutò a trovare posto per Ercole nella struttura di Mombello nel 1933 aveva 15 anni a casa non lo potevano più tenere andava a pisciare dentro le case vicine tirava sassi agli animali di notte qualche volta si metteva a urlare forte picchiava sulla porta si rotolava per terra morì Ercole prima della legge Basaglia nel 1977 a Ferragosto quando Giacomo era in ferie a Igea Marina senza telefono al ritorno lo avevano già sepolto gli dispiacque molto avrebbe voluto dirgli addio al fratello gemello ma pazienza forse meglio senza pubblicità Elisa mia madre aveva solo 12 anni ricordava poco io domandavo curiosa ostinata petulante lei rispondeva distratta lascia perdere che cosa ti interessa è passato tanto tempo avevano solo tre fotografie di Ercole tutte al Paolo Pini due color seppia insieme agli altri ricoverati una da solo tipo ritratto di quelle per i documenti d’identità le avevo salvate in casa le volevano buttare ma io ero attaccata alle radici senza eccezione perfino a quelle del manicomio
il nonno Giacomo nel 1936 aveva cominciato a lavorare in un piccolo macello di Binzago vicino a Bovisio Masciago dove aveva preso una stanza in affitto facevano salumi per i Beretta cinque operai il titolare sua moglie quasi una famiglia quando fu spedito a far la guerra in Albania poi in Grecia gli tennero il posto per fortuna fu ferito rimase un po’ zoppo però non tanto così evitò la Russia meno male intanto andava ogni settimana a trovare Ercole a Mombello in paese dicevano che i matti venivano legati al letto per tenerli buoni oppure c’era la doccia fredda qualche volta non spesso li menavano allora Giacomo fece in modo di passare qualche lira al capo infermiere a scadenza mensile così Ercole aveva un trattamento migliore perché voleva bene al gemello poi era l’unico nelle vicinanze quando gli portava la ciambella presa dal fornaio rideva contento era goloso insomma in qualche modo il tempo passava arrivò il 25 aprile del 45 non se ne poteva più di bombe di morti la vita ricominciava nel 1948 sposò la nonna Ornella Molteni di Baruccana lei aveva 17 anni lui 30 presentata dal parroco di Bovisio Masciago brava tusa lavoratrice famiglia contadina gente per bene sangue garantito fu Don Matteo a celebrare il matrimonio nella chiesa di San Pancrazio senza ricevimento meglio risparmiare niente viaggio di nozze due locali in paese per andare al lavoro bastava la bicicletta
cinque figli non sono mica pochi mia madre Elisa arrivò ultima nel 1965 dieci anni dopo il quarto sempre stata una ritardataria nemica giurata della fretta mai sentita alzare la voce sapeva farsi rispettare usando il silenzio ostile come arma disinnescava le mine nascoste nei fatti quotidiani quando il nonno Giacomo era andato al Paolo Pini da Ercole per la prima volta nel 1959 aveva scoperto la Comasina quartiere nuovo case popolari inaugurato il 29 maggio 1957 gli era piaciuto dopo la domanda si era fatto raccomandare dai democristiani brianzoli lui si teneva lontano dalla politica ma a messa ci andava tutte le domeniche inoltre aveva proprio titolo era avanti in graduatoria quasi fra i primi così in settembre la famiglia Aldeghi entrò nel quadrilocale al terzo piano di Via Spadini numero 15 facciata rosa pastello balcone cantina parcheggio esterno per l’auto ma l’auto non l’avevano avevano solo intenzione di comprarla mia madre Elisa ci è nata in Via Spadini anch’io ci sono nata non penso proprio di spostarmi
mio padre Giuseppe Fratini detto Peppe veniva da Panicale vicino al lago Trasimeno aveva trovato posto alla Snia Varedo nel 1980 un colpo di fortuna a 18 anni pensava di essersi sistemato fisso fino alla pensione peccato che nel 1982 chiusero lo stabilimento nessuno l’avrebbe immaginato si fece un anno di cassa integrazione con qualche lavoretto in nero per arrotondare di tornare a Panicale non se ne parlava proprio dal 1984 lo presero con gli accordi sindacali di ricollocamento alla chimica Faren sempre a Varedo lui abitava a Paderno Dugnano dieci minuti in motorino divideva l’appartamento con due colleghi alla fin fine era caduto in piedi nel 1990 non era più un ragazzino bisognava mettere su famiglia dopo un anno di fidanzamento con alti e bassi sposò Elisa in San Bernardo la Chiesa Spaziale veniva chiamata tutta tonda pareva un razzo americano in partenza da Cape Canaveral per la luna simbolo di Piazza Gasparri dopo il lancio del riso un brindisi alla fontana nient’altro
i tre fratelli la sorella di mia madre non abitavano più in Comasina neppure a Milano il più grande faceva le pizze a Dortmund tornava una volta all’anno non tutti gli anni mia zia si era spostata a Lodi gli altri due erano soci in ditta edile a Vicenza insomma c’era posto nell’appartamento di Via Spadini quindi Peppe si aggiunse a Elisa Ornella Giacomo ormai pensionato vivevano insieme andavano abbastanza d’accordo ma durò qualche anno soltanto perché nel 1996 i nonni passarono come si dice a miglior vita prima lei che era più giovane rottura dell’aneurisma dissero poi il mese dopo toccò a lui un infarto e ciao non ebbe il tempo di salutare io non li ho conosciuti i nonni mi sarebbe piaciuto quando sono nata nel 1999 in novembre hanno chiuso il Paolo Pini di Ercole il prozio mi hanno chiamata Ornella come la nonna ho schivato il terzo millennio per poche settimane ho un piede nel secolo scorso mi chiamano Nelly o Nelli all’americana mai Nella alla lombarda Giacomo chiamava così sua moglie
sono la più piccola mia sorella Maria era nata nel 1995 ci sono le fotografie dei nonni che la tengono in braccio sorridenti le guardo sempre a caccia di radici adoro il passato forse perché mi manca identità nel presente detesto la morale non capisco la fede vivo senza bussola di navigazione i ricordi degli altri mi sembrano l’unica cosa davvero reale concreta io invece non riesco ad archiviare nella memoria luoghi persone fatti gioie dolori le immagini si dissolvono prima di poterle ordinare non ne rimane traccia nella mia testa lasciano inutilmente spazio a quelle successive i giorni scorrono evito di chiedermi e dopo non perché sia un soggetto irresponsabile semplicemente perché la sento una fatica inutile perfino dannosa chi pensa al futuro senza accorgersene costruisce la propria prigione collabora con il nemico viene ingoiato dall’ingranaggio inarrestabile della tecnologia esisti per produrre valore quando non produci valore non esisti credi di scegliere un domani invece accetti di essere dipendente dunque smetti di essere libero il passato degli altri non produce nulla di materiale mi piace proprio per la sua inservibilità economica non crea disastri basta maneggiarlo senza secondi fini
durante le scuole elementari Sorelle Rosa + Carolina Agazzi mi sono abbastanza divertita l’edificio si trova in piazza il metodo è una specie di Montessori non ti stanno troppo addosso si andava spesso in giro avevo più di sei anni o anticipavo o ritardavo io sono ritardataria come mia madre rallentare è nel mio DNA quando mi accorgo di essere puntuale mi fermo indugio anche le medie alla Gandhi Rodari sono passate in fretta ho imparato a far branco con le amiche a ridere per niente a raccontare bugie però non mi venivano bene non sono portata non ho talento poi mi hanno mandata senza consentire discussioni al Lagrange che è un alberghiero io invece volevo fare il sociopsicopedagogico un po’ perché mi piaceva il nome ma soprattutto perché stava nell’area del Paolo Pini quello del prozio Ercole un modo per saperne di più una suggestione affascinante alla fine sono contenta di aver subito la prepotenza dei miei genitori diventare operatrice per l’infanzia o peggio psicologa per me sarebbe stata una vera iattura anche il Lagrange sia pure ai margini sta nell’ex Paolo Pini la cosa che ho notato il primo giorno di scuola superiore passeggiando nell’area è la scritta nessuno è normale visto da vicino in effetti si tratta di un dato oggettivo incontestabile a cominciare da me
avevo quasi quindici anni facevo il minimo indispensabile ho preso il diploma senza difficoltà con un voto più vicino alla media bassa che alla media alta sessantasette in estate 2019 avrei fatto meglio a farmi bocciare così facevo un altro anno in pace senza il continuo devi trovare un posto devi fare domanda con cui mi torturavano a tavola mentre mangio una cosa che non sopporto è il predicozzo durante il pasto toglie appetito guasta il fegato comunque ascoltavo in silenzio mai fatto una piega ho imparato a stare dentro ma contro nello stesso tempo non c’è contraddizione la passività come difesa pigramente rintanata al Lagrange mi sono allenata per cinque anni alla resilienza Chi lavora è perduto è il titolo di un film da cineteca girato da Tinto Brass nel 1963 lo avevo visto all’aperto sul prato dell’ex Paolo Pini un certo Bonifacio prende il diploma pure lui ha due amici in manicomio erano gli anni in cui Ercole stava rinchiuso a Bonifacio gli fa schifo il sistema fondato sul lavoro si chiama fuori va in giro per Venezia senza combinare niente l’ho trovato educativo
c’era dentro il Lagrange un gruppo del CCS il coordinamento dei collettivi studenteschi legato al centro sociale Cantiere ogni tanto organizzavano uno sciopero una manifestazione riunioni assemblee avevano un camion con il megafono le bibite noi dietro con lo striscione si ballava per strada tutti insieme a scuola però anche quelli di Casa Pound non erano mica pochi facevano il saluto romano giusto per provocare capitava che i più furiosi delle due parti venissero alle mani però senza esagerare il più delle volte si limitavano a scambiarsi ingiurie minacce poi ognuno se ne andava per conto suo destra sinistra un doppio sciame con vite parallele andavamo in bar diversi pizzerie diverse al Parco ex Paolo Pini tre ettari i fascisti non venivano o se venivano restavano in incognito era presente spesso Radio Popolare li ho sempre trovati noiosi però sono brava gente al posto del vecchio obitorio hanno aperto un ristorante con un nome strano Jodok che poi sarebbe Giacomo in una qualche lingua montanara una creatura della cooperativa Olinda prezzi circa medi con i tavolini fuori cibo anche vegano perché bisogna pur stare sul pezzo a un passo c’è il teatro nel Giardino degli aromi il clima è moderatamente orientale andavo spesso quando frequentavo il Lagrange mi trovavo bene con quelle donne bizzarre in mezzo alle piante io non mi sono mai associata a niente questa è stata l’unica eccezione intanto guardavo intorno pensavo a Ercole ascoltavo le storie del manicomio
la provincia di Milano aveva comperato un terreno agricolo quasi disabitato ad Affori nel 1924 l’ingegner Italo Vandone aveva terminato la costruzione della Grande Astanteria Manicomiale più tardi chiamata Paolo Pini nel 1945 per omaggio al defunto dottore nel pieno dell’attività la struttura ospitava oltre mille internati con varie patologie mi sono letto il Diario di una diversa in cui Alda Merini la poetessa racconta del suo lungo ricovero negli anni sessanta di elettroshock di fascette cioè le corde di canapa per legare i matti agitati al letto del suo amore per Pierre rinchiuso come Ercole che al tempo ancora viveva mangiava goloso la ciambella di Giacomo girava negli stessi vialetti controllato dai medesimi infermieri pare non abbiano più documenti per verificare ma io sono convinta che gli abbiano fatto la lobotomia a Ercole si parla di centinaia di interventi in quel periodo senza chirurgo senza sala operatoria il medico inseriva attraverso lo strato orbitale sopra la palpebra con il martello un punteruolo di ghiaccio detto orbitoclasto zac questione di un attimo cessava l’agitazione si imponeva così la disciplina poche chiacchiere conclude Alda Merini che il manicomio è il tempio di una aberrante religione oggi la lobotomia è vietata non rinchiudono i matti per omologare i disobbedienti si trova modo di farli lavorare la propensione all’inattività produttiva viene equiparata ad una malattia mentale l’attrazione per il Tangping dei giovani cinesi allegramente sdraiati rientra nelle anormalità va curata nei casi gravi con un adeguato ricovero coatto in clinica se occorre usando la galera vediamo se giunti al bivio preferiscono lavorare o digiunare ingabbiati
fino al diploma non c’erano problemi mi davano qualche soldo a casa facevo la baby sitter nel quartiere quando capitava poca roba giusto per arrotondare non avevo grandi esigenze pizza birra cinema magari aperitivo tequila a farmi non ci pensavo proprio mi facevano un po’ paura quelli che si facevano di brutto cioè intendo dire che mi spaventava diventare io così non che se la pigliassero con me sia chiaro una volta con Gloria una delle mie amiche più strette sono andata a lavorare sotto Natale trenta giorni al Conad di Via Ceva mettevamo la merce sugli scaffali se occorreva alla cassa le otto ore non finivano mai non so se mi irritavano di più i capi che gentilmente sollecitavano o i capi che con malagrazia strillavano di darsi una mossa due forme di tortura comunque Gloria era contenta sperava la chiamassero ancora le piaceva spendere i quattrini racimolati alla fine avevamo preso circa 1500 euro a testa con i ratei di 13^ 14^ ferie TFR il primo stipendio brava hanno festeggiato i miei genitori tutti contenti l’ho capito subito a me lavorare non piace proprio per niente non capisco questa smania generale di indossare una divisa ripetere sempre gli stessi gesti trottare con poche pause per un tizio che nemmeno conosci decide lui se vendere mele saponette biscotti diceva a mio padre il saggio tranquillo collega Fulvio quando il padrone della Faren ordinava loro qualche cosa di incomprensibile lasciandoli sconcertati dubbiosi attacca l’asino dove vuole il padrone se si rompe il collo suo danno io intanto stavo dalla parte dell’asino non trovavo giusto che ci rimettesse il collo inoltre mi sembra poco dignitoso avere chiaro che quella che stai facendo è pura idiozia ma farla lo stesso perché lui comanda perché il suo ordine è legge
i ragazzi e le ragazze del Cantiere si tenevano abbastanza alla larga dal lavoro poi quando trovavano un buon impiego magari si tenevano alla larga dal Centro Sociale però insieme al gruppo giovane ribelle nelle case occupate di Piazza Stuparich 18 nello Spazio di Mutuo Soccorso abitavano circa trenta famiglie lavoravano nelle officine nella logistica nelle pulizie dove capitava faticavano assai guadagnavano poco stringevano i denti decisi a sopravvivere guardavano avanti non indietro insomma una fusione interessante non erano santi d’accordo nemmeno missionari tuttavia si davano una mano per come potevano mi piaceva l’ambiente si rafforzava la mia diffidenza per il lavoro salariato con il lavoro avevamo poco in comune quasi niente da dirci non avevo nessun programma politico la rivoluzione mi sembrava una fiaba non avevo alcuna idea di quale mondo nuovo si potesse mettere al posto di quello vecchio sapevo soltanto che dovevo fare il possibile per sgattaiolare via dal destino salariale confezionato
dopo il diploma i nodi tentavano di venire al pettine scadenze fastidiose inquietanti si accavallavano in rapida sequenza mica era facile districarsi a vent’anni nel labirinto del vivere quotidiano cercavo di galleggiare in mancanza d’altro in assenza di alternative ero stata per quaranta giorni al centralino più reception in un mobilificio di Bruzzano sostituivo a termine una tizia dieci turni li avevo saltati mettendomi in malattia volevo evitare che avessero la tentazione di chiamarmi ancora andavo con i mezzi ci mettevo abbastanza ma in bicicletta era troppo lunga in più era ottobre spesso pioveva insomma un purgatorio comunque arrivai alla fine tirando un sospiro di sollievo una settimana dopo stavamo festeggiando il compleanno della mia amica Agata che era attivista nel collettivo una tavolata alla Cascina California zona Niguarda Via Ornato un posto carino a me piace anche perché i padroni sono due gemelli uguali non capisci mai chi sia l’uno chi sia l’altro pensavo al nonno Giacomo ma lui immagino fosse difficile confonderlo con Ercole il pazzo questi della Cascina California al momento sembravano un po’ strambi ma poi non sbagliavano una comanda secondo una leggenda metropolitana la locanda l’aveva aperta un americano venuto con il circo di Buffalo Bill per viverci insieme alla sua sposa che era nata nei paraggi
vicino a me sedeva un certo Massimo conosceva Agata non lo sembrava proprio eppure era un avvocato seguiva cause di lavoro ma fuori dai patronati sindacali erano sportelli con la sigla San Precario si chiacchiera gli racconto di quanto poco mi piaccia lavorare lui ascolta divertito poi mi dice che con una vertenza posso ricavare qualche soldo io ci credo poco però Massimo mi ispirava simpatia non volevo spegnere il sorriso deludendolo con un rifiuto così mi faccio arruolare nell’impresa giudiziaria d’accordo vai avanti apre la borsa tira fuori un foglio firmo una procura cade dal bicchiere una goccia di barbera lui si offre di sostituirla ma lo fermo va bene così porta fortuna il giorno successivo porto busta paga contratto di lavoro ora dovevo solo aspettare dopo tre mesi si va in Tribunale nella stanza di un Giudice che parlava a bassa voce in più mandava le parole dentro la giacca non si capiva niente il padrone del mobilificio mi lanciava occhiate cattive trasudava forse odio forse disprezzo magari le due cose insieme a un certo punto l’avvocata del nemico lancia un amo non sarebbe dovuto un bel niente tuttavia si potrebbe chiudere la partita con cinquemila euro io la volevo baciare in fronte vittoria bingo invece Massimo interviene non è una somma adeguata io penso che è uno svitato ho la tentazione di imbavagliarlo invece si mettono a discutere il Giudice smette di infilare le parole dentro la giacca finalmente ci guarda in faccia dice con voce comprensibile propongo novemila euro più spese io sussurro a Massimo in un orecchio che se la tira ancora in lungo lo strozzo all’istante segue un breve tiramolla finalmente la firma non sto nella pelle per la gioia non devo neppure soldi a Massimo lo pagano loro il gruzzolo è mio
mi si apriva davanti l’orizzonte certo non somigliava molto al Sole dell’avvenire ma per il momento bastava per nove mesi avrei raccontato in famiglia di lavoretti pagati mille euro al mese certo non una pace ma almeno un armistizio molti insistono per un ritorno all’occupazione stabile intanto non vedo come sia possibile poi ho ben chiaro che non fa per me per un simile risultato non si troveranno mai corpi disposti a battersi una guerra perduta in partenza rimane sempre priva di soldati volontari preferisco invece trasformare in azione un diverso modo di pensare scelgo diserzione rifiuto attesa passività estraneità lentezza si dia da fare minaccia il coro dei collaboranti neanche per sogno replica la mia coscienza irriducibile nemica del produrre merci preferisco rallentare sottrarsi alla catena del lavoro viene percepito come atto ostile d’attacco invece è tattica difensiva autotutela
ho imparato la lezione nessuna lealtà legge della trincea nessun rispetto delle regole si aspettano che io mi comporti bene secondo la tradizione morale del sindacalismo socialista ma sono di un’altra razza sono meticcia precaria non conosco dio patria famiglia tanto meno governo stato piattaforma banca azienda carriera una nuova rivoluzione copernicana questa volta esiste solo quel che mi ruota intorno il resto non vale quando mi hanno proposto l’assunzione stabile in un’agenzia turistica sono rimasta di sale mai avrei pensato di usare il diploma ho risposto va bene mi sono mostrata brava durante il periodo di prova quando l’ho finito zac sei mesi di malattia non mi hanno visto più licenziamento per consumo totale del periodo di tutela quattro mesi di NASPI ormai stanno andando a terminare me la prendo con calma l’occasione per sfruttare qualche falla del sistema mi si presenterà davanti ne ho la certezza perché un sistema da manicomio come quello in cui ci si trova a vivere noi della Comasina assomiglia assai a quello del Paolo Pini prima della legge Basaglia lo organizzano custodi prepotenti ma le crepe in cui infilarsi non mancano.
19/7/2024 https://effimera.org/
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