Parole italiane
VERITÀ E POLITICA
Semplificando: se coltivate un cavolo, avrete un problema, o meglio, una serie di problemi. Se col-tivate mille cavoli, avrete mille problemi. Se allevate una capra avrete un problema, se le capre saranno mille, avrete altrettanti problemi. Ora mettete qualche decina di milioni di cavoli con un egual numero di capre e avrete la politica. Come non mentire, se la vostra prima esigenza è quella di con-vincere il vostro prossimo che avete, o potreste avere, se eletto, la situazione sotto controllo, che siete competenti e quindi in grado di produrre previsioni attendibili e dar vita a progetti realizzabili?
Quale principe può vantarsi di avere per padre un leone e per madre una volpe? Se le vostre ambi-zioni o le circostanze vi hanno portato in alto ricordate che è necessario gestire bene le bugie politi-che. Primo: è meglio tacere, facendo credere a ognuno ciò che più gli aggrada, piuttosto che raccontare troppe frottole. Secondo: è meglio occultare che distruggere. La distruzione sembra un mezzo più sicuro per eliminare le difficoltà e le prove a carico, ma genera spettri e i fantasmi del passato a volte acquistano una potenza incontrollabile.
Oggi la menzogna può vestire i panni della realtà virtuale, spacciata tout court per verità, ma i tempi moderni, avendo profondamente cambiato il rapporto capra-cavoli, richiedono bugie nuove. Salvare capra e cavoli: vi siete mai chiesti che fine abbia fatto il lupo?
GESTIONE DEL POTERE
Dalla notte dei tempi è risaputo che non si possono salvare capra e cavoli. La soluzione più ovvia è quella di sacrificare i cavoli, far indossare loro una divisa, irreggimentarli in rigide strutture gerar-chiche e favorire il loro istinto distruttivo, auto ed eterodiretto. Quanto alle capre, oggi non è facile mantenerle in buona salute in tempo di guerra (i cavoli sono più pericolosi per le capre che viceversa) e, per la loro stessa natura, sono poco inclini alla docilità, mai si sono lasciate intruppare in istituzioni rigidamente gerarchiche. Il segreto per gestirle politicamente è stato quello di ignorarne to-talmente le potenzialità e mantenerle ignoranti, come capre, appunto. Un tempo si imponeva loro di rappresentare la virtù privata, lasciando agli uomini l’onere di manifestare pubblicamente vizi di ogni sorta. Ma “virtù” deriva da vir “uomo”, ne consegue che per essere virtuose non è importante mantenersi caste e pure, per essere virtuose ci vogliono le palle, bisogna essere coraggiose e assertive, a proprio rischio e pericolo.
SACRO E PROFANO
Bisogna decidersi: o crediamo che le Tavole della legge siano state date da Dio a Mosè sul monte Sinai, o pensiamo che le leggi le produca il parlamento. È comodo comportarsi come se il sacro e il profano corressero su binari paralleli, incontrandosi solo all’infinito. Gli uomini di poca fede e gli inaffidabili non hanno problemi: Passata la festa, gabbato lo Santo; fatta la legge, trovato l’inganno, non si può negare il parallelismo. Il politico dovrebbe unire in sé il leone e la volpe (oggi il gatto e la volpe), saper servirsi del diavolo e dell’acqua santa, ma ha motivo di temere che il Buon Dio decida di condurre il suo gregge in massa fuori dal partito (Esodo 3,8).
La Democrazia Cristiana si reggeva sulla fede degli elettori, non certo su quella degli eletti, ed è collassata quando le vecchine, invece di frequentare il prete, sono andate a confidarsi col geriatra.
140 CARATTERI
Lombroso pensava di poter dedurre il carattere di una persona dai tratti del suo viso. Oggi la fisiognomica è abbastanza screditata e a ogni individuo pensante, presidente degli Stati Uniti compreso, sono concessi ben 140 caratteri per esternare le proprie tendenze delinquenziali. L’ambizione non è più quella di sollevare il mondo servendosi di una leva, lo strumento che twitter (il termine si traduce: cinguettio) mette in mano ai pensatori di poche parole è il grimaldello.
FUOCO
Il dilemma per i portatori del cromosoma Y è se essere uomini o caporali, se mettere a rischio la vita pensando con la propria testa o ubbidendo ai superiori e facendosi ubbidire dai sottoposti. La dimensione del rischio è inevitabile, in entrambi i casi il destino s’incarica di far pagare cara ogni scelta: c’è chi è morto come Giordano Bruno o Gerolamo Savonarola, reo di “aver predicato cose nuove”, ci sono caporali che mai si sono permessi di proferir parola, se non per impartire ordini, che sono stati falciati da proiettili, granate e schegge. C’è chi ha affrontato il fuoco nemico e chi è finito sul rogo, in entrambi i casi il rischio ultimo, definitivo, è quello di ritrovarsi, insieme a tutti gli altri, nel fuoco dell’inferno.
FUOCHETTO
Anche le donne rischiano di finire all’inferno, il peccato peggiore per loro non è l’omicidio, ma la disobbedienza, il tentativo di sottrarsi al potere maschile. Guai a loro se non riferiscono il minimo turbamento erotico al confessore, guai a loro se tradiscono, se uno dei loro difettacci, come l’invidia e l’innata propensione a dissimulare e a mentire, insinua la discordia tra uomo e uomo, tra l’uomo e Dio. Sono brave a cadere in tentazione, loro che commettono l’imprudenza di dar retta ai serpenti e di intrattenersi con i lupi (parliamo di Cappuccetto Rosso, non di chi balla coi lupi). È difficile per-donar loro il cattivo uso della debolezza quando, invece di essere virtuose, coraggiose e assertive, sobillano, insinuano e ricattano, sottraendosi alle proprie responsabilità. Purtroppo chi esce incolu-me dalla pancia del lupo (sempre cappuccetto Rosso, piccola sovversiva) non ha le motivazioni per restare fedele alla promessa di non disobbedire mai più.
BANALIZZARE IL MALE
Per banalizzare il male è sufficiente fare un cattivo uso del vocabolario, stravolgendo la nostra lin-gua madre. Basta definire i pacifisti degli imbelli, i razzisti dei patrioti, sminuire gesti crudeli defi-nendoli ragazzate, come se uccidere fosse un gioco (spesso in battaglia si sono fronteggiati soldati giovanissimi: i ragazzi del 99 sono stati chiamati a partecipare alla Grande Guerra a diciott’anni; quindi una delle più grandi stragi della storia è stata una ragazzata). Chi pensa male parla male e finché borbotta e mugugna in privato sembra abbastanza inoffensivo: tra il dire e il fare c’è di mez-zo il mare. Però quando la marea sale e molti la pensano come lui, diventa normale travisare i fatti e negare le proprie responsabilità. Può anche essere vero che chi ferisce gli extracomunitari non lo fa con piena consapevolezza: lui non intendeva nuocere, non è colpa sua. Perché processarlo? Il caso non è di competenza del giudice, ma dell’esorcista che dovrebbe liberare il posseduto, smascherando il vero autore del misfatto.
PALLE E PALLINI
Recentemente otto uomini hanno sparato con fucili a pallini ferendo ignari extracomunitari. Nessu-no di loro lo ha fatto per motivi razziali: pulendo l’arma è partito un colpo. Il termine fascista deriva da fasci littori: un fuscello si spezza subito, un fascio resiste. Ora, a mio parere, alle donne spetta un compito preciso: impedire la formazione dei fasci o decostruirli, estraendo la propria pagliuzza dal mucchio: à la guerre comme à la guerre. Bisogna essere virtuose, forti e disponibili a sacrificare qualcosa. Non c’è più l’esigenza di far disertare ai mariti le sedi di partito, ma se il pericolo è rap-presentato dallo stadio, di domenica può rendersi necessario simulare un grave malore e farsi ac-compagnare al Pronto Soccorso. Vostra suocera s’incaricherà di scendere in campo la settimana successiva e se in futuro dichiarerete di non poter restare sole perché il pupo ha la febbre e la diar-rea, state tranquille: lui non verificherà né la prima, né la seconda circostanza. Se vostro marito ha acquistato un fucile a pallini, il gioco si fa duro, ma potete assaporare l’euforia della battaglia. A lui potrebbe partire un colpo pulendo l’arma, e chi più di voi fa le pulizie? Se avete disponibilità eco-nomica sparate al suo computer, mentre anche le mogli più indigenti possono permettersi di buche-rellare la sua maglietta preferita (a buon intenditor…). Se lui ostenta il suo razzismo in privato, ne-gandolo in pubblico e non è proprio cretino, agite con coraggio le peggiori provocazioni: centrate le sue chiappe perché vi sono sembrate la faccia di un cinese, sparate alla televisione perché sullo schermo è comparsa l’immagine di Martin Luther King, comprate al mercato nero una P38 e pulite l’arma tutti i giorni, vicino a lui e lontano dalle finestre (attente però, un inconscio lo avete anche voi). Se avete sposato un buon uomo e avete solo il sospetto che rischi di venir traviato da chi ce l’ha duro da anni (priapismo? abuso di Viagra?), a volte è sufficiente tingere di verde tutte le sue T-shirt o pregarlo di indossare nell’intimità un elmo da vichingo.
MACCHÉ RAZZISMO
Care signore, per fomentare la vostra indignazione pensate anche: “Macché maschilismo, noi amiamo le donne, quelle vere, non le femministe, le lesbiche e le professioniste che ci rubano il lavoro”. Le fanciulle, studiando, hanno modo di realizzare che i filosofi non pensano male, ma pensa-no da uomini. Ritengono che ad agire sia la parte luminosa, chiara del mondo (yang) e che a reagire, caricandosi di risentimento, sia la parte oscura, confusa, femminile (ying). L’unica cosa che acco-muna Laozi a Nietzsche è il cromosoma Y e noi donne potremmo per ora accontentarci di essere nanerottole sulle spalle di giganti: il problema non è teorizzare diversamente e rinunciare al risenti-mento, ma renderlo un’arma efficace nel depotenziare chi va assolutamente depotenziato. È un bel problema, la debolezza ha numerosi svantaggi, ma già le Scritture parlano di donne che hanno sapu-to cosa fare. Dalila fece tagliare i capelli di Sansone, Giuditta e Giaele ritennero opportuno tagliare la testa rispettivamente a Oloferne e a Sisara addormentati. Ester salvò il suo popolo entrando nelle grazie del re Assuero, dimostrandosi timida e rispettosa. Forse il femminismo è partito con il piede sbagliato, le streghe non sono davvero tornate o si sono dimenticate un paio di formulette utili ai lo-ro scopi. Un tempo lo ying veniva associato ai demoni e al colore nero (nero come molti dei nostri extracomunitari), lo yang agli Dei e al bianco (come le tuniche del Ku Klux Klan). Nel mondo cri-stiano si riteneva che l’uomo fosse un angelo e la donna un demone. Purtroppo oggi cerchiamo di essere politicamente corrette e non siamo più all’altezza della nostra reputazione.
MACCHÉ RAZZISMO, È TUTTA COLPA DEL CINEMA
In questi tempi bui molti uomini si sentono chiamati al disarmo. Dopo aver visto centinaia di film americani dove i buoni danno un sacco di botte ai cattivi, dissentono sui metodi violenti che il Bene, esasperato dalla malvagità, userebbe per trionfare. A volte restano a casa la sera per leggere un buon libro.
Esistono varie tipologie cinematografiche di cattivi, qui ci limitiamo a descrivere gli affiliati a gran-di organizzazioni criminali (CIA compresa) e il sottobosco urbano. Le caratteristiche dei primi so-no: giacca doppiopetto, capelli biondi, occhi di ghiaccio, viso impassibile in esiti di chirurgia plasti-ca, bel portamento, armi automatiche; sono gli implacabili, duri a morire e pronti a risorgere per un ultimo guizzo omicida. Poi ci sono i neri e i portoricani: pelle sudata, obesi o troppo palestrati, ta-tuati, abbigliamento casual, veloci con il coltello e lenti di comprendonio; sono gli impulsivi, pronti a morire alla prima pallottola che li centri.
Gli affiliati, guardie del corpo comprese, vivono nel lusso di ambienti minimalisti e asettici e non di rado precipitano dal ventesimo piano di grattacieli del centro città. I neri vivono nelle periferie, in condomini con lunghi e squallidi corridoi sui quali si apre una fila di porte, nemmeno blindate. I primi sono stati selezionati e addestrati, i secondi si sono improvvisati dopo essere cresciuti in un ambiente degradato. Dal momento che nessun svedese è disponibile a fare il turista in doppiopetto, esibendo una gelida indifferenza e aggirandosi silenzioso per i grattaceli di Milano, l’immaginario collettivo si è concentrato sugli extracomunitari che sbarcano da noi, con tutta l’aria di essere poveri e di essere destinati a rimanere tali. Il cinema è l’oppio dei popoli e purtroppo nessun capufficio obliga più propri impiegati a vedere La corrazzata Potemkin.
OZIO
Federico Pezzella sosteneva che “La guerra è una fornace che arde senza riposo”. Si narra che agli eserciti di Annibale risultarono fatali gli ozi di Capua: una sosta forzata durata un solo inverno. I soldati di oggi, dopo più di mezzo secolo di pace, non possono che essere inetti, impreparati a con-frontarsi con la paura, con la tensione e con il dolore. I giovani, incapaci del minimo sacrificio, po-trebbero però far strage di nemici se venissero reclutati per partecipare a una guerra-videogioco, ove tutto si consumerebbe tra schermi e tastiere: a questo compito sono stati preparati sin dalla primis-sima infanzia.
Molti psicologi ritengono che possediamo, per quanto ridotto a ben poco, un bagaglio istintuale immodificabile, se non per mutazione e selezione, quindi l’impulso al darsi battaglia potrebbe esse-re determinato da geni presenti sul cromosoma Y. Mentre la ferocia e l’aggressività godono di tutta la forza dell’impulso attivo e cogente, la pace sembra meno ancorata alle pulsioni, rappresenta un pio desiderio delle anime belle che aspirano a una vita migliore, che come il paradiso, viene dopo, sempre dopo. Insomma, c’è motivo di dubitare che esista una sincera aspirazione a rinunciare alle ostilità e mentre un tempo si diceva: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, oggi, mutatis mutandis, si potrebbe teorizzare: “Se vuoi la guerra, prometti la pace”.
OMICIDIO STRADALE E AEREO
Uno dei primi a usare un mezzo di trasporto come arma impropria fu Pietro Rigosi, Guccini racconta la sua storia in: “La locomotiva”. L’episodio avvenne nel 1893 alla stazione di Bologna, dove pa-recchi anni dopo si fece uso, con maggior danno, di armi fabbricate allo scopo di uccidere.
Da quando esiste l’automobile i pirati della strada sono stati autori di numerosissimi omicidi o omi-cidi-suicidi, ma solo da poco è stato introdotto nel codice penale il reato di omicidio stradale. Gui-dare male può essere un crimine, aggravato dall’uso di sostanze che diminuiscono la vigilanza. C’è chi si è autosospeso la patente a beneficio di tutta l’umanità, va a piedi, consapevole che se non mette il giubbotto arancione quando cammina sul bordo delle strade di campagna può venir falciato senza che il guidatore ne abbia piena responsabilità.
Detto questo, non è automatico che quanti evitano di compiere stragi, sulle strade e altrove, debba-no per forza identificarsi solo con le vittime e non concedano all’immaginazione la suprema libertà di vestire i panni di tutti i protagonisti di vicende terribili.
È un esercizio un po’ pericoloso, che rende meno ignari e fiduciosi. La fiducia di base è importante: ci fa andare al cinema per vedere un film sulla fine del mondo senza farci temere che scoppi una bomba in sala, che il palazzo crolli per un terremoto o che il nostro vicino di poltrona invece di ave-re un semplice raffreddore, sia affetto dal virus Ebola. Ci fa anche salire su un aereo senza pensare che in tempi recenti un pilota della Malaysia airlines e uno della Germanwigs si sono di suicidati coinvolgendo tutti i loro passeggeri. Non sono stati gli unici a compiere tale gesto, tanto che ora negli Stati Uniti il personale di volo è autorizzato a prendere il Prozac. Sarebbe un gran sollievo poter somministrare un antidepressivo, o ancora meglio un antipsicotico, a chiunque rappresenti una grave minaccia per l’umanità.
Cristina Biondi
3/9/2018 www.inchiestaonline.it
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