NYTimes: America in forte crisi con Israele sui crimini di guerra
Per ora più l’opinione pubblica che il governo, ma anche alla Casa Bianca e nel Congresso, le ‘sofferenze’ crescono. I dubbi sui crimini di guerra che si teme possano essere contestati ad Israele per i bombardamenti indiscriminati su Gaza, ma non soltanto. E il giurista avverte, «Gli attacchi israeliani a cui abbiamo assistito dovrebbero sollevare seri interrogativi su come vengono utilizzate le armi americane».
Israele, Stati Uniti e resto del mondo
Più Gaza viene polverizzata dalle bombe israeliane e più aumenta lo sconcerto dei giornali americani. E quelli ‘liberal’, come il New York Times, non fanno più sconti. Secondo il NYT, gli americani stanno perdendo la pazienza con gli israeliani. Pubblicamente li difendono, ma dietro le quinte li criticano. La risposta militare assomiglia più a una rappresaglia, che avvelenerà definitivamente i pozzi. La manifesta noncuranza verso i civili, poi, rischia di creare un fossato sempre più largo tra Israele, gli Stati Uniti e il resto del mondo.
Crimini di guerra uguali per tutti?
Ma in questa riflessione, si inseriscono anche preoccupanti valutazioni di tipo giuridico. Praticamente, il New York Times rilancia gli echi di un dibattito che si è già aperto nell’Ufficio per i Diritti umani delle Nazioni Unite. Quegli attacchi aerei israeliani in cui ci sia ‘palese sproporzione’, tra obiettivi e vittime civili collaterali potrebbe essere giudicati ‘crimini di guerra’. Significa che se per colpire un capo di Hamas uccido anche cento innocenti, allora sono passibile di essere accusato di ‘crimini di guerra’. Certo, si dirà, poi la legge la applica (o la interpreta) chi vince. Ma resta, comunque, il giudizio morale.
Armi Usa usate come?
Di più. Il New York Times avvisa anche il suo governo. Ci sono inchieste interne, al Dipartimento di Stato, sull’eventuale utilizzo illegale di armi cedute dagli Stati Uniti agli alleati. Si tratta, in particolare, di casi in cui l’uso di questi mezzi bellici provochi vittime civili. «Ad agosto il Dipartimento di Stato ha inviato un cablogramma alle sue ambasciate e ai consolati, annunciando un’indagine sulla questione», scrive il NYT. Come mai tutti questi scrupoli?
Il caso delle bombe ai sauditi
Il NYT rivela che nel 2016 l’Ufficio legale del Dipartimento di Stato ha messo in guardia il governo: vendere bombe all’Arabia Saudita, che le impiegava nello Yemen, ammazzando civili, era un crimine di guerra. Un’accusa che avrebbe potuto essere estesa alla Casa Bianca. Ora, conclude il New York Times, citando Brian Finucane, un ex avvocato del Dipartimento e attuale componente dell’International Crisis Group, «gli attacchi israeliani a cui abbiamo assistito dovrebbero sollevare seri interrogativi su come vengono utilizzate le armi americane».
Retroscena a mala politica
Ancora il report del New York Times. «Di fronte alle critiche globali per la sanguinosa campagna militare a Gaza, che ha ucciso migliaia di civili – scrive il NYT – i funzionari israeliani si sono rivolti alla storia in loro difesa. E hanno sulle labbra i nomi di numerosi famigerati luoghi di morte e distruzione». In sostanza, le riservate fonti diplomatiche del NYT hanno rivelato che, nei colloqui privati, gli esponenti dello Stato ebraico hanno giustificato il loro approccio ‘con pochi scrupoli’, ricordando come, in caso di necessità, avessero già fatto lo stesso anche gli americani.
Pro memoria di Israele agli Usa
Si comincia sempre con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, che hanno causato quasi 200 mila morti, e la cosa fa venire i brividi, dopo la sparata del Ministro Eliyahu per una atomica su Gaza. Quindi, niente di paragonabile ai «‘soli’ 10 mila palestinesi finora uccisi -per ora- a Gaza». Inoltre, scrive sempre il New York Times, gli informatissimi israeliani hanno ricordato, ai diplomatici statunitensi, tutte le vittime civili provocate dall’US Army durante gli attacchi di Falluja e di Mosul, in Irak. Quindi, loro vanno avanti e la tregua se la possono scordare: Onu e Washington per primi.
La Casa Bianca e la trappola
La Casa Bianca si è infilata in una trappola, e il vento gira male: nell’ultimo sondaggio per le Presidenziali (NYT-Siena), il plurinquisito Trump supera largamente Biden. Se si votasse domani, lo Studio Ovale cambierebbe inquilino. Insomma, dopo il disastro ucraino, anche in Medio Oriente gli Stati Uniti devono trovare il modo per limitare i ‘danni collaterali’ in politica interna. Tutta la solidarietà di questo mondo allo Stato ebraico, colpito dal bestiale attacco di Hamas, ma, come dicevano i latini, «est modus in rebus». Cioè, c’è modo e modo di fare le cose. E a molti la reazione ciecamente truculenta di Tel Aviv non sta piacendo per niente.
Israele in crisi di identità
Non si può rispondere a un indegno massacro con uno sterminio, che non distingue minimamente il bene dal male. Specialmente, poi, se le giustificazioni che accompagnano la furia iconoclasta israeliana non convincono nessuno. Le esigenze di ‘sicurezza nazionale’ impallidiscono, infatti, di fronte alla catasta di morti, quasi tutti civili, che l’aviazione con la stella di David sta provocando quotidianamente nella Striscia. Dunque, sotto questa narrazione spuntano probabilmente altre verità, molto più complesse. A cominciare da un sofisticato gioco di ricerca del consenso, che ha molto a che fare con la cronica instabilità istituzionale del Paese, che appare ormai spaccato in due.
Dall’incapacità israeliana di pensare e di parlare con una voce unica, nasce oggi la montagna di problemi che deve affrontare tutto il Paese, nella sua interezza.
La questione palestinese
E, proprio in questo senso, deve essere sottolineato come la ‘questione palestinese’ sia stata brutalmente trascurata, negli ultimi anni o, peggio ancora, affrontata con un approccio pericolosamente conflittuale. Questo gli americani lo sanno, ma tutti presi com’erano dalla guerra in Ucraina e dal confronto con la Cina, hanno completamente messo da parte il Medio Oriente.
Piero Orteca
8/11/2023 https://www.remocontro.it/
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