OBBLIGATORIETA’ DEI VACCINI ANTICOVID PER I LAVORATORI
Lavoratori e obbligo vaccinale. In questi giorni sta diventando sempre più invadente quella che alcuni media hanno già coniato come infodemia. Ovvero la pandemia della mala informazione. Quella che si butta sulla notizia per fare scalpore, spesso per suscitare timori ed ansie, non certo per fare una corretta, ed utile, informazione al pubblico. Noi la pensiamo diversamente. Noi non ci “buttiamo” sulla notizia ma la affrontiamo. Con la curiosità e l’onestà intellettuale del buon giornalismo che fa inchiesta, senza pregiudizi né tantomeno paraocchi, e che chiede lumi solo ad esperti riconosciuti del settore. Per aiutare innanzitutto se stessi, e tramite noi gli altri, a capire come stanno realmente le cose e, soprattutto e quando è possibile, a suggerire soluzioni. Nello spirito di servizio del “Che fare?” di leniniana memoria. Per questi motivi, in un momento cruciale della pandemia in cui nel mondo del lavoro si sta facendo sempre più pressante la richiesta di una “obbligatorietà morale” alla vaccinazione antiCovid, abbiamo deciso di intervistare sul tema un esperto del settore, il dottor Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica.
Chi è Marco Caldiroli
Marco Caldiroli è presidente di Medicina Democratica dal 2018. Lavora come tecnico della prevenzione presso la ATS (Agenzia Tutela della Salute) di Milano. Dai primi anni ’80 si è impegnato nel sostegno a realtà autorganizzate nelle lotte relative a impianti ad elevato impatto ambientale e sanitario (centrali termoelettriche, inceneritori, produzioni nocive). Ha svolto consulenze per numerosi enti locali nell’ambito di procedure autorizzative e di valutazione di impatto ambientale sempre al fine di contrastare opere nocive.
L’INTERVISTA
D. Recentemente il professor Pietro Ichino si è dichiarato
favorevole all’ipotesi di rendere obbligatoria la vaccinazione
anti-Covid per i lavoratori perché rientrerebbe negli obblighi del
datore di lavoro previsti dall’articolo 2087 del Codice Civile. E’
proprio così?
R. L’articolo 2087 del codice civile è una norma intermedia tra la
Costituzione e le norme specifiche sulla sicurezza sul lavoro (a partire
dal Dlgs 81/2008, Testo sulla Sicurezza sul Lavoro) che inquadra il
“debito” di sicurezza e salute sul lavoro da parte del datore di lavoro
nei confronti dei lavoratori/lavoratrici. Questo principio, nel caso di
specie, è regolato dal titolo X del dlgs 81/2008 sui rischi sul lavoro
da esposizione ad agenti biologici. Il professor Pietro Ichino fa una
proposta precisa la cui base normativa non può essere l’articolo 2087
che riguarda obblighi in capo ai singoli datori di lavoro in funzione
delle effettive condizioni (e i relativi rischi) delle singole attività.
L’eventuale atto di obbligo vaccinale, quale misura generalizzata di
tutela dei lavoratori/lavoratrici, potrebbe essere messo in atto
esclusivamente con un provvedimento dello Stato quale trattamento
sanitario obbligatorio a fronte di una dichiarata emergenza. Se qualcuno
ha ancora qualche dubbio in proposito può leggere la sentenza del TAR
Calabria del 15 settembre 2020 (n. 871/2020, su ricorso di una
associazione di medici) che ha valutato come illegittima l’ordinanza del
Presidente della Regione che introduceva l’obbligo per gli operatori
sanitari della vaccinazione antinfluenzale perché “risulta fondato il
primo motivo di ricorso, in quanto i trattamenti sanitari obbligatori,
quale l’obbligo di vaccinazione antinfluenzale, sono coperti da riserva
di legge statale, alla stregua dell’art. 32, comma 2 Cost., letto in
combinazione con l’art. 3 Cost. e l’art. 117, comma 3 Cost.”
D. Nella stessa intervista, rilasciata il 29 dicembre al
Corriere della Sera, il professor Ichino sostiene anche che l’eventuale
rifiuto del lavoratore a vaccinarsi “costituirà un impedimento oggettivo
alla prosecuzione del rapporto di lavoro”, ovvero che il lavoratore
potrà essere licenziato. Come commenta questa affermazione?
R. Una posizione analoga, seppur più articolata, è stata espressa dal
dottor Guariniello. Quello che prevede la normativa sulla sicurezza sul
lavoro è ben altro rispetto alla posizione del professor Ichino. In
sintesi, ove il medico competente individua come necessario – per il
singolo lavoratore in funzione della sua mansione e del rischio
lavorativo per esposizione all’agente biologico SARS COV2 – “mettere a
disposizione” dei vaccini e il lavoratore/lavoratrice si rifiuta, il
medico può stilare un giudizio di inidoneità temporanea alla mansione
per il lavoratore/lavoratrice. A questo punto, come di prassi, il datore
di lavoro deve individuare una mansione/posto di lavoro diverso da
quello attuale e ove non vi sia un “rischio Covid” tale da rendere
necessaria la vaccinazione. Nel caso in cui non vi siano mansioni non a
rischio il datore può utilizzare il giudizio di non idoneità, a sua
volta “fondato” sulla mancata vaccinazione, per un procedimento di
licenziamento. Ovviamente, prima di questo esito, il lavoratore ha
diritto di ricorrere avverso il giudizio del medico competente entro 30
giorni dal rilascio del giudizio, presso la ASL/USL competente. Per
questo se un lavoratore/lavoratrice pensa di poter incorrere in tale
situazione è bene che raccolga giudiziosamente tutta la documentazione
per il ricorso, a partire dal precedente giudizio di idoneità alla
mansione.
D. Esistono leggi in Italia che prevedono l’obbligatorietà
vaccinale per certe categorie di lavoratori in generale e per medici e
personale sanitario in particolare?
R. Sì, esistono. Come già accennato sono norme statali che specificano
tipologia di vaccinazione e mansioni dei lavoratori. Il caso più esteso è
quello del tetano (L. 292/1963) per muratori, agricoltori, addetti allo
smaltimento rifiuti, conciatori e altre categorie definite. Nel caso
del personale sanitario le norme (Dpr 465/2001 e DM 22.12.1988)
prevedono l’obbligo di vaccinazione antitubercolare in rari casi e
l’offerta (non obbligo) per l’epatite B come per morbillo e rosolia. La
disponibilità gratuita della vaccinazione per l’epatite B è prevista
anche per mansioni quali lo smaltimento rifiuti, per i vigili del fuoco e
gli appartenenti ai corpi di polizia, ma non è comunque un obbligo. Per
i militari in servizio permanente sono obbligatorie le vaccinazioni per
polio, meningite, epatite A e B, rosolia, parotite, tetano e
antimeningococcica. La vaccinazione antitifica era obbligatoria per
alcune attività (addetti laboratori e smaltimento liquami), ma dal 2000 è
nelle facoltà delle Regioni introdurla, comunque non in modo
generalizzato. Pertanto l’ipotesi di una norma che obblighi in modo
generalizzato tutti i lavoratori/lavoratrici alla vaccinazione anticovid
sarebbe un primum ed unicum nell’universo normativo nazionale, allo
stesso modo sarebbe un provvedimento senza precedenti nella nostra
storia quello che accoglierebbe le proposte di limitazione di movimento
per i cittadini non vaccinati.
D. Cosa prevede il Testo unico sulla sicurezza sul Lavoro
(d.lgs 81/2008) sulla sorveglianza sanitaria dei lavoratori sul proprio
luogo di lavoro ed in particolare sulla valutazione del rischio
biologico dal momento che il Covid-19 è un agente biologico?
R. I provvedimenti emergenziali comprensivi dei protocolli tra le parti
sociali (14.03.2020 e 24.04.2020) per la definizione di modalità di
sicurezza anticovid nelle aziende non hanno modificato il dlgs 81/2008
(infatti la mancata o non conforme adozione dei protocolli suddetti è
sanzionata, quasi sempre, con i provvedimenti previsti dai dpcm
emergenziali). In altri termini non hanno introdotto un obbligo
specifico di valutazione del rischio “covid” se non nei termini di
revisione ove il rischio biologico era già esistente (in particolare le
strutture sanitarie e sociosanitarie ove l’esposizione ad agenti
biologici per contatto coi pazienti è “nell’ordine delle cose”). Lo
ricordo perché il Dlgs 81/2008 prevede diversi passaggi che devono
essere presenti tutti : 1) valutazione del rischio biologico specifico
da Covid ancorchè “esogeno”; 2) individuazione del livello di rischio
stimato per le diverse mansioni; 3) introduzione di sorveglianza
sanitaria specifica per i lavoratori/lavoratrici considerati esposti; 4)
valutazione del medico competente dell’esito della sorveglianza ed
eventuale proposta (ad personam) della proposta di sottoposizione a
vaccinazione già non obbligatoria per legge; 5) incontro tra medico
competente e lavoratori/lavoratrici per informarli sui “vantaggi ed
inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione”. A fronte del
rifiuto del lavoratore/lavoratrice, il medico competente, sempre ad
personam potrà stilare un giudizio di non idoneità temporanea alla
mansione con le possibili conseguenze indicate in precedenza.
D. Allora il dottor Guariniello ha ragione?
R. Il dottor Guariniello ha sottolineato questo processo dimenticando di
ricordare che lo stesso (ad oggi) si basa sulla presenza di un
documento di valutazione dei rischi (DVR) aggiornato e che riconosce il
rischio da Covid come rischio specifico lavorativo dell’attività
dell’impresa. Ma questa interpretazione della norma non è quella degli
enti di controllo (segnalo in particolare una nota dell’Ispettorato
Nazionale del Lavoro) né è quella della prassi : le imprese non sono
tenute ad aggiornare o inserire ex novo un “capitolo” nel DVR dedicato
al Covid dove questo rischio è esclusivamente esogeno ovvero è “portato”
nei luoghi di lavoro dall’esterno. I protocolli tra le parti sociali,
quale “surrogato” momentaneo degli obblighi connessi all’esposizione da
Covid dei lavoratori/lavoratrici sono stati accolti nei dpcm governativi
quale scelta atta ad evitare interventi normativi sul dlgs 81/2008.
Vorrei anche evidenziare che il dottor Guariniello ricorda che l’Unione
Europea ha classificato il Covid quale agente biologico da classe 2 a
classe 3 (più pericoloso) con obblighi più stringenti da parte del
datore di lavoro (es. registro degli esposti). Una applicazione
generalizzata di tale previsione creerebbe in molte attività (quelle non
sanitarie, per intenderci) il paradosso di un “obbligo” per i
lavoratori non accompagnato da una importante revisione del DVR come
pure dalla sorveglianza sanitaria specifica, esponendo i datori di
lavoro a violazioni penali (dopo l’art. 279 più volte citato c’è
l’articolo 280 …).
D. Il rifiuto della somministrazione del vaccino anti-Covid è
una delle due opzioni previste per legge nel modulo del “consenso
informato” che deve essere firmato dalla persona solo dopo aver
“compreso i benefici ed i rischi della vaccinazione, le modalità e le
alternative terapeutiche”. Tuttavia, il dottor Giuseppe Ippolito,
direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive
Spallanzani di Roma ha affermato all’Ansa del 29 dicembre che un tale
rifiuto da parte degli operatori sanitari può essere motivo valido per
essere sospesi dal servizio in quanto “non idonei al servizio che
svolgono”. Dove è prevista questa norma?
R. Forse il dottor Ippolito fa riferimento all’art. 64 del Contratto
Nazionale della Sanità Pubblica che, tra l’altro, prevede tra i diversi
obblighi del dipendente di “collaborare con diligenza, osservando le
norme del presente contratto, le disposizioni per l’esecuzione e la
disciplina del lavoro impartite dall’Azienda o Ente anche in relazione
alle norme vigenti in materia di sicurezza e di ambiente di lavoro”.
Tale disposizione prevede, tra i provvedimenti disciplinari conseguenti,
la sospensione dal servizio per privazione della retribuzione per
periodi più o meno lunghi. In ogni caso una legge dello Stato viene
prima di un contratto (cui rimanda, infatti) e quindi, a mio avviso, è
la normativa sulla sicurezza sul lavoro che ho descritto sopra che
costituisce il riferimento essenziale ed esclusivo. Come accennato le
attività sanitarie erano già soggette alla valutazione del rischio da
agenti biologici e ci si deve aspettare che i datori di lavoro (previa
consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza)
abbiano aggiornato i DVR per l’emergenza Covid. Se da tale valutazione è
emersa, come già detto, da parte del Medico Competente, la
individuazione della “misura speciale di protezione” costituita dalla
vaccinazione allora possono scattare i passaggi procedurali che possono
portare al cambiamento di mansione. Non mi risultano “scorciatoie” nel
campo della sanità ma, ovviamente, queste attività, oggi come in
precedenza, sono tra quelle più facilmente soggette alla individuazione
di una o più vaccinazioni ad hoc (oltre alle vaccinazioni obbligatorie
per legge, vigenti) come “misura di protezione” (pensiamo agli operatori
nei reparti covid, al pronto soccorso o a quelli dei laboratori che
processano i tamponi), contestualmente si tratta dei
lavoratori/lavoratrici ai quali verrà offerto in prima istanza uno dei
vaccini disponibili per tutti i cittadini e quindi uno dei primi
comparti ove si verificheranno i primi contenziosi in proposito. Per la
gran parte dei lavoratori/lavoratrici il tema non è all’ordine del
giorno perché la vaccinazione sarà loro offerta in qualità di cittadini
secondo le tempistiche previste in funzione del rischio individuale
presunto (età, presenza di patologie). In quei casi il contenzioso sarà
eventualmente post-vaccinazione generale, a tale proposito vorrei
sottolineare che il datore di lavoro non può chiedere l’esibizione del
certificato vaccinale, può farlo esclusivamente il medico competente.
D. E’ in corso in Italia una massiccia propaganda alla vaccinazione di massa ma molti rimangono perplessi ed esitanti quando leggono al punto 10 del Consenso informato che “non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”. Sono a conoscenza che, tuttavia, molti, soprattutto in ambito sanitario, per il timore di ritorsioni sul luogo di lavoro e/o di esclusioni “punitive”, accetteranno di vaccinarsi. La domanda è: nel caso che si verifichino danni da vaccino, chi paga? Vale anche per il vaccino anti-Covid di Pfizer-BioNtech (e per gli altri che arriveranno) la legge nazionale n.210 del 1992 che prevede un “indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”?
R. Per quanto mi risulta la legge sulle reazioni avverse comprende anche il caso in esame quindi, come “di prassi”, i danneggiati potranno rivalersi nei confronti dello Stato e non direttamente nei confronti dei produttori dei vaccini. A tale proposito va segnalato che, purtroppo, l’Unione Europea ha “scambiato” una accelerazione nella messa a disposizione dei vaccini anticovid con una clausola di esclusione di responsabilità da parte delle aziende produttrici, responsabilità che viene “caricata” sull’Unione e quindi sui singoli Stati membri. In parallelo alla campagna vaccinale è stato rafforzato il sistema di segnalazione e registrazione degli affetti avversi, vedremo se (finalmente) la raccolta dei casi sarà svolta in modo serio e trasparente. Sul tema più generale segnalo la campagna, cui possono aderire individualmente tutti, per la messa a disposizione di tutte le nazioni dei vaccini: I brevetti di vaccini e farmaci, ottenuti con il denaro pubblico, non devono essere privatizzati, ma diventare un bene comune disponibile per la tutela della salute di tutti. Non possiamo lasciare che sia un pugno di multinazionali a determinare il nostro futuro, a decidere chi potrà vivere e chi sarà abbandonato al suo destino, perché il suo Paese non è in grado di acquistare vaccini e farmaci ai prezzi imposti dalle aziende farmaceutiche.
E’ possibile sottoscrivere l’appello all’Unione Europea (occorre raccogliere 1 milione di adesioni nei paesi dell’UE) su www.noprofitonpandemic.eu/it
Beatrice Bardelli
12/1/2021 https://www.medicinademocratica.org
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