Occupazione studentesca a Milano, «vogliamo una riforma dell’educazione»
«Protestiamo per le solite motivazioni», ci dicono gli e le studenti che stanno occupando in questi giorni il liceo Alessandro Manzoni di Milano, nel momento in cui chiediamo le ragioni della loro mobilitazione. E il fatto che una tale risposta grosso modo la stessa da due anni a questa parte, così come da due anni a questa parte si ripetono le proteste (non solo nel capoluogo lombardo ma anche – lo si è visto prima delle vacanze invernali – anche a Roma) è il segno che le rivendicazioni di ragazzi e ragazze rimangano il più delle volte inascoltate.
Sul rientro in classe di questo gennaio vige il caos più totale. L’impennata dei contagi, dovuta al diffondersi della variante Omicron nel nostro paese, ha scatenato fra le altre cose discussioni e accese polemiche su un possibile slittamento dell’inizio delle lezioni.
Ma il premier Mario Draghi, nella tardiva conferenza stampa di ieri, ha ribadito che «la scuola va protetta e tutelata» e deve dunque restare in presenza a tutti i costi. Aggiungendo: «I ragazzi hanno risentito delle passate chiusure dal punto di vista psicologico e dell’apprendimento: la Dad (didattica a distanza, ndr) ha provocato diseguaglianze destinate a restare anche nella vita professionale degli studenti».
Italia circa 2,3 milioni di cittadine e cittadini non hanno accesso a Internet e che il nostro paese si posiziona spesso agli ultimi posti in Europa per competenze digitali e accesso ai servizi online. Ancora più lancinante la questione se la si allarga poi al tema della salute psicologica: uno studio della fondazione Soleterre condotto lo scorso dicembre ha messo in luce come quasi il 70% delle persone intervistate ritiene che l’evento pandemico sia diventato «parte della propria identità» mentre un 17,3% afferma che, rispetto a ciò che sta vivendo, «sarebbe meglio morire o farsi del male».
Il problema, però, inizia forse quando si inizia a pensare alla Dad come una causa strutturale e non come un “sintomo”, o comunque un detonatore di diseguaglianze e situazioni critiche preesistenti.
E, soprattutto, inizia quando si pensa al contesto scolastico quasi esclusivamente in un’ottica emergenziale, per cui da una parte si fanno pagare ai e alle più giovani le deficienze della gestione pandemica o dall’altra si strumentalizza la “concessione” delle lezioni in presenza come la difesa di un diritto.
Lo spiegano bene propri gli e le studenti del Manzoni, che dicono: «È inutile parlare di scuola solo in termini di “aperto” o “chiuso”. Siamo rientrati in classe dopo le vacanze invernali e non abbiamo trovato nulla di diverso rispetto al solito. L’unica priorità dei professori era cercare di dare delle valutazioni, in un modo continuo e ossessivo mentre quella che dovrebbe essere la reale formazione personale degli individui viene ogni volta lasciata indietro e non le si dà priorità».
Per questo i ragazzi e le ragazze del liceo milanese hanno deciso di dar vita a un’occupazione di una settimana, che arriva oggi al terzo giorno e che fra le altre cose venerdì ospiterà un’assemblea allargata con numerosi collettivi di diversi istituti cittadini.
Il malcontento (e la voglia di mobilitarsi) non riguarda infatti solo il singolo contesto, ma un’ampia fetta dell’ambito educativo: lo dimostra l’analoga ondata di occupazioni e mobilitazioni che si è verificata a Roma prima del periodo natalizio, con oltre cinquanta realtà in agitazione e un lungo e partecipato corteo che è andato a contestare il Miur.
Pure in questi giorni la “Lupa” (questo il nome dei vari collettivi studenteschi romani) è tornata a far sentire la propria voce: nella giornata di lunedì, sempre davanti all’edificio del ministero a Trastevere, è stato srotolato uno striscione che diceva «riconquistiamo il rientro in sicurezza». Perché, appunto, risulta talvolta quasi grottesco discutere dell’opportunità o meno (anche da un punto di vista pandemico) di mantenere la didattica in presenza se spesso non è possibile garantire le normali condizioni di tutela e di sicurezza.
E qui si torna alle richieste di chi sta occupando in questi giorni il Manzoni, che sono – più o meno – sempre “le stesse”: «Vogliamo che vengano portate a termine nuove assunzioni, anche per evitare le “classi pollaio”», ci dicono gli e le studenti dell’istituto meneghino.
«Vogliamo che gli edifici in cui studiamo non siano a rischio, vogliamo che vengano ripensate le politiche giovanili e che, anzi, ci sia una riforma generale del settore educativo. Ma è chiaro che questo non interessa alle istituzioni di questo paese, anche a giudicare dalle risorse destinate a questo ambito col Pnrr».
Tutte questioni e problematiche che, quindi, hanno poco a che fare con l’emergenza Covid ma che caratterizzano la scuola oramai da molto tempo e per le quali si è fatto probabilmente troppo poco. Ha detto dunque bene Draghi in conferenza stampa: a quanto pare la priorità del governo non è la scuola in sé ma, più semplicemente, che «la scuola resti aperta in presenza». Whatever it takes.
Francesco Brusa
12/1/2022 https://www.dinamopress.it
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