Oggi, 5 maggio, nel 1818, nasceva a Treviri, in Renania, Karl HeInrich Marx
Ci siamo: oggi, 5 maggio, nel 1818, nasceva a Treviri (Trier), in Renania, Karl HeInrich Marx. Sarebbe morto a Londra, in miseria, il 14 marzo 1883. Oggi, in un‘altalena di fortuna e sfortuna, risulta secondo i dati Unesco, l’autore più studiato in assoluto nel mondo. Nessuno come lui, insomma.
Non è questa la sede per affrontare, seriamente, le ragioni di tanto sucesso del fondatore del materialismo storico, l’autore del “Capitale”, delle “Lotte di classe in Francia”, dei “Grundrisse” (Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica), del “18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, della “Sacra famiglia”, della “Ideologia tedesca”, di “Lavoro salariato e capitale”, e naturalmente del “Manifesto”, e di migliaia di altre pagine, molte delle quali ancora in attesa di un’attendibile edizione critica. Certo, la sua opera ciclopica dà già di per sè una risposta. Oggetto di continue riscoperte e ritorni al suo pensiero, Karl Marx ha ispirato centinaia di movimenti e partiti, guidato idealmente molte rivoluzioni, vittoriose o sconfitte, ma è soprattutto la sua analisi delle origni del capitalismo, e dei suoi svolgimenti, la ricostruzione storica della società borghese, della sua intima essenza e della sua prevedibile fine, la profetica analisi della globalizzazione, e dei suoi guasti, a suscitare l’interesse scientifico e il fascino ideologico di Marx. Eppure, il comunismo – “il movimento che abbatte lo stato presente di cose” – è in crisi, e la sinistra che a Marx si richiama è in via di ritirata, specie nella sua Europa, nell’Europa di Marx. L’Unione Europea è un blocco di interessi sostanzialmente antipopolari, nel quale sembra del tutto dissolto lo spettro del comunismo che Marx ed Engels nel “Manifesto” del 1848 vedevano aggirarsi sul continente. Oggi la Santa Alleanza delle banche, dei governi ad esse succubi, dei media da esse ingaggiati, di un intero sistema egemonico che presenta come «naturale » il dominio di classe e la disuguaglianza, appare vittoriosa su tutta la linea. Sarà il caso, al di là delle celebrazioni di occasione, di interrogarsi criticamente (e autocriticamente), sul retaggio vero, sulla eredità più autentica che questo gigante ci lascia.
Oggi possiamo immaginarlo mentre tra avvilimento e sconcerto guarda i suoi epigoni e, scotendo la testa, si accende l’ennesimo sigaro, e poi, senza dire una parola, si ripone a sedere alla sua scrivania, e si immerge nella stesura di un altro capitolo di quell’infinito laboratorio di idee che è “Das Kapital”. A lui, però, chiediamo sommessamente di darci ancora una mano, di suggerirci uno spunto nuovo, per uscire da una crisi che appare epocale. Insomma, vecchio Karl, non ci abbandonare!
Angelo D’Orsi
Storico, Università di Torino
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