Omotransfobia, cosa dicono i dati sull’Italia
Il 17 maggio 2020 è ricorso il 30esimo anniversario della depatologizzazione dell’omosessualità da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Per celebrare questa data simbolica che – dopo decenni di lotte – ha liberato nel 1990 le persone non eterosessuali dal giogo psichiatrico è stata istituita nel 2004 la giornata internazionale contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, riconosciuta dall’Unione europea nel 2007. Una prima fondamentale tappa, dunque, a cui è seguita – il 18 maggio 2018 – la ridefinizione diagnostica dell’identità trans. Nella pubblicazione dell’11esima revisione della Classificazione internazionale delle malattie dell’Oms – l’incongruenza di genere (cioè la diagnosi che viene fatta alle persone trans nel momento in cui accedono ai servizi sanitari per intraprendere il percorso di transizione) viene rimossa dal capitolo sui disturbi mentali per essere inserita in un capitolo specifico denominato “Condizioni relative alla salute sessuale”. Un passo avanti per combattere lo stigma, anche se ancora molto resta da fare ai fini di una completa depatologizzazione dell’identità trans.
Ma i passi da fare per contrastare stigma e discriminazioni che ancora oggi colpiscono la comunità Lgbt in tutta Europa sono ancora molti e riguardano sicuramente le barriere istituzionali, ma anche il lavoro culturale di decostruzione del pregiudizio, essenziale per una società inclusiva. È proprio questo il tema dell’ultima pubblicazione dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) dal titolo A long way to go for LGBTI equality (La lunga strada da percorrere per l’uguaglianza delle persone Lgbt).
Il rapporto si basa sui risultati di un’indagine online condotta dall’agenzia nei 27 paesi membri, nel Regno Unito, in Macedonia del Nord e in Serbia, tra maggio e luglio 2019. 139.799 le persone che hanno risposto al questionario, tutte di età superiore ai 15 anni e che si identificano come gay, lesbiche, trans e/o intersex. Un’indagine cruciale perché si fonda, appunto, sui racconti e le esperienze che chi ha partecipato ha deciso in prima persona di condividere. Il supporto di organizzazioni internazionali per i diritti umani, esperti e associazioni Lgbt ha permesso all’agenzia europea di affinare ulteriormente la metodologia rispetto all’indagine già condotta nel 2012.
I risultati emersi non possono certo definirsi confortanti. A livello europeo, 6 partecipanti su 10 hanno dichiarato di evitare di tenere per mano in pubblico la persona che hanno scelto come partner. Due partecipanti su 5 hanno riportato episodi di molestie subite nell’anno precedente all’indagine. Una persona su 5 si sente discriminata sul lavoro e più di una persona su 3 si sente discriminata quando esce a mangiare, a bere o a socializzare. Uno studente Lgbt su due afferma che qualcuno tra compagni e compagne di classe o insegnanti sostiene le persone LGBTI. Una persona Lgbti su 3 dice di avere difficoltà ad arrivare a fine mese. La situazione per le persone trans e intersex sembra essere ancora più difficile rispetto a quella di altri componenti della comunità: una persona trans e intersessuale su 5 è stata aggredita fisicamente o sessualmente, il doppio rispetto al resto del campione; inoltre, una persona su due ha dichiarato di avere difficoltà a “sbarcare il lunario”.
Se si analizzano i dati relativi al contesto italiano è evidente quanto il problema riguardi il nostro paese. Tra chi ha partecipato all’indagine in Italia, il 62% evita di tenere per mano in pubblico la persona scelta come partner; il 30%, evita spesso o sempre di frequentare alcuni luoghi per paura di aggressioni. Il 39% parla apertamente di essere Lgbt, a fronte di una media europea del 47%. Per quanto riguarda gli episodi di discriminazione, il 23% del campione italiano dichiara di sentirsi discriminato sul lavoro e il 40% ha dichiarato di essersi sentito discriminato in almeno un ambito della propria vita nell’anno precedente all’indagine. Se si considerano gli attacchi diretti all’incolumità della persona, il 32% del campione italiano ha dichiarato di essere stato molestato nell’anno precedente all’indagine e l’8% di aver subito un’aggressione fisica nei 5 anni precedenti. Solo il 16% ha dichiarato di aver denunciato questi episodi alle forze dell’ordine, in piena continuità con una media europea del 14%.
Parte del campione italiano, inoltre, ha riportato di percepire un generale peggioramento delle condizioni di vita della comunità Lgbt italiana: il 41% ha dichiarato che pregiudizio e intolleranza sono aumentate in Italia e solo l’8% crede che le istituzioni pubbliche si impegnino effettivamente per contrastare tali fenomeni, contro una media europea del 33%.
Per quanto riguarda, infine, il contesto scolastico, il 28% delle persone Lgbt – di età compresa tra i 15 e i 17 anni – che hanno partecipato all’indagine dichiara di non aver rivelato il proprio orientamento sessuale e/o identità di genere a scuola. Il 52% ha riportato, tuttavia, di aver trovato qualcuno a scuola disposto, sempre o in molte occasioni, a fornire supporto e tutela; il 67% ha dichiarato che il gruppo di pari o il corpo docenti si sono rilevati spesso o sempre di supporto. Il 33%, infine, ha dichiarato che le questioni Legbt sono state affrontate a scuola in maniera positiva o bilanciata.
Il report di FRA contribuirà alla Lgbti Equality Strategy della Commissione europea, attesa per quest’anno. Nel frattempo, l’agenzia europea invita le istituzioni dell’Unione e gli stati membri a mettere in campo misure efficaci di protezione dei diritti delle persone Lgbt, promuovendo una cultura della “tolleranza zero” verso l’omo-bi-lesbo-transfobia.
Non sappiamo se e come la commissione e gli stati membri faranno tesoro dei dati raccolti dall’agenzia e delle sue raccomandazioni. Quello che per certo sappiamo è che dopo l’acceso e svilente dibattito politico che ha accompagnato l’approvazione delle unioni civili nel 2016, l’atmosfera in Italia per le persone Lgbt è andata sempre peggiorando. Aumentano gli episodi di discriminazione e i crimini d’odio nei confronti della comunità Lgbt. E le proposte di legge per introdurre l’aggravante di omo-lesbo-bi-transfobia rimangono a prendere polvere in qualche cassetto.
Intanto, nell’aprile 2020 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ricorda – se ce ne fosse davvero ancora bisogno – che dichiarare a mezzo radio – come fece l’Avv. Carlo Taormina nel 2013 – di essere contro l’assunzione di qualcuno perché gay, è una violazione della normativa comunitaria che tutela dalle discriminazioni nelle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro.
In questo panorama, l’epidemia di Covid-19 e la richiesta delle autorità di rimanere a casa hanno inciso negativamente sulle condizioni di vita della comunità Lgbt, facendo con molta probabilità alzare il livello di tensione nei conflitti intra-familiari legati all’identità Lgbt e favorendo l’isolamento delle persone Lgbt per cui – di fronte allo stigma che vivono dentro e fuori casa – le reti sociali e affettive rappresentano una risorsa insostituibile. Navighiamo, dunque, a vista, ma una cosa che diamo per certa è che la strada verso l’inclusione è lunga e abbiamo ancora molto da fare.
Marta Capesciotti
18/5/2020 http://www.ingenere.it
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