Ora come faranno a accusare i comunisti di filoputinismo? Intervista a Luciano Canfora
Nel pantano del conflitto russo-ucraino affonda anche la propaganda. Ad esempio quella che vorrebbe la Russia di Vladimir Putin ancora in odor di comunismo. Per avere lumi chi meglio del professor Luciano Canfora, filologo di straordinario valore accademico e soprattutto uomo libero?
Professore, ha letto? Nelle pieghe dell’ammutinamento del capo dei mercenari della Wagner, Yevgeny Prigozhin, Vladimir Putin ha cercato un parallelo storico con il 1917. “Non lasceremo che questo accada di nuovo”, ha ammonito il leader del Cremlino. Proteggeremo il nostro popolo e il nostro Stato da qualunque minaccia, anche da tradimenti interni”. Come giudica questo improvvido parallelo?
Direi che è perfettamente coerente con la forma mentis di Putin, quella che si è via via palesata e che potremmo definire potentemente nazionalistica e tradizionalistica. La lettura della rivoluzione leninista del 1917 come un tradimento, mentre la guerra secondo loro andava bene, è stata quella tipica dello zarismo e poi, se vogliamo, dello stesso Kerenskij. Putin è un nazionalista che ha rotto completamente i ponti con l’esperienza comunista. Celebra ogni 9 maggio la vittoria militare nella “guerra patriottica”, come i russi hanno sempre chiamato la Seconda guerra mondiale, ricordando la capitolazione della Germania nazista nel 1945. Ma considera un’esperienza negativa la Rivoluzione d’Ottobre, cioè la distruzione dello zarismo. Sotto il nuovo regime instaurato in Russia dopo la fine dell’esperienza comunista, hanno beatificato e reso santi della chiesa ortodossa lo zar Nicola II e i suoi parenti, che furono uccisi a Ekaterinburg nel 1918. Quello di Putin è un giudizio storico completamente sbagliato, anche perché la guerra andava malissimo per la Russia già prima della Rivoluzione. Però è sintomatico di un cambio di prospettiva, per cui va bene, in parte naturalmente, l’esperienza staliniana della guerra patriottica, e non va affatto bene l’esperienza della rivoluzione bolscevica, sovietica. È tutto chiaro, quindi ognuno deve cavarne qualche conseguenza. Il fatto che si possa giustamente ritenere che la guerra in corso è in larga parte responsabilità della Nato e dei suoi disegni egemonici, nulla toglie al giudizio storico e politico che si deve dare dell’attuale regime russo.
Sui media di casa nostra Putin paragonerebbe Prigozhin a Lenin e il tentato golpe alla Rivoluzione d’Ottobre….
Questo paragone l’ha fatto lui, mandando in visibilio i nostri giornali, che sono piuttosto patetici. A un certo punto hanno avuto anche una fiammata di simpatia per Prigozhin. Poi hanno capito che non era il caso di insistere, ma siccome è bene parlare sempre male della Rivoluzione di Ottobre, il paragone è piaciuto. Però così si è pronunciato Putin, allora non va bene. I nostri media soffrono moltissimo nella gabbia in cui si sono cacciati, una gabbia piena di menzogne e faziosità di ogni tipo.
Per noi inguaribili romantici la rivoluzione russa resta un avvenimento epico, con il popolo che si ribella al dispotismo zarista. Come si fa a mettere sullo stesso piano questi due fatti?
La storia del 1917 in Russia è molto ricca di dettagli importanti, e si sviluppò in varie fasi. Ci fu la rivoluzione a febbraio, sostanzialmente capeggiata e comunque egemonizzata dai socialrivoluzionari, cioè dal partito di Kerenskij che era una forza composita e molto “insediata”, tanto è vero che quando si votò all’inizio del ‘18, vinsero le elezioni alla Costituente. In aprile ci fu però un riflusso, con una presenza molto vivace del soviet di Pietroburgo, che raccoglieva il consenso delle grandi masse scontente. Sia quelle militari, che non amavano andare al fronte a farsi massacrare, sia quelle contadine. Realtà che spesso coincidevano, perché ai contadini mettevano in mano un fucile e li mandavano a combattere. Poi in autunno arriva il tentativo di restaurazione monarchica di Kornilov, il generale che tenta un colpo di Stato ad ottobre, l’inizio di novembre per il nostro calendario. Di qui prende il via quell’operazione fulminea, molto ben organizzata soprattutto da Trotsky, che porta alla presa del potere da parte dei bolscevichi. Con l’occupazione simultanea dei palazzi del governo, del Palazzo d’Inverno, delle stazioni della radio e delle caserme. Fu un’operazione militare, oltre che politica, di grande efficienza. Lo stesso Trotsky ne ha parlato nella sua opera “Storia della Rivoluzione russa”. Quindi è una vicenda in cui si incontrano il protagonismo delle masse e la capacità direttiva dei capi. Non ci vedrei, se non su un piano poetico, tanto romanticismo, termine peraltro che non mi entusiasma molto. Piuttosto direi che la situazione era matura per una rivoluzione. E un piccolo partito come quello bolscevico, non certo consistente sul piano dei numeri, riuscì a interpretare i bisogni e le aspirazioni delle grandi masse. Ecco il segreto del suo successo, del resto la crisi dello zarismo era profonda ed era iniziata già nel 1905. Non so quanto Putin conosca la storia del suo paese, certo è stato ufficiale del Kgb e dovrebbe avere qualche cognizione della cultura storica di epoca sovietica. Magari l’ha ormai rifiutata, cancellata dalla sua cultura, non lo so. Di sicuro ha fatto questa dichiarazione ritenendo, evidentemente, che fosse bene accetta al pubblico al quale si è rivolto. Direi quindi che si tratta di un giudizio storico in sé privo di senso. Ma al di là della sua pochezza la cosa interessante è un’altra: il suo obiettivo è il consenso, essere apprezzato, specie in un momento così difficile come è stato il tentato colpo di Stato. Questo vuol dire che Putin sa che per il pubblico quel paragone va bene.
Adesso non potranno più accusare i comunisti di essere filoputiniani.
Ormai è un teorema che non si riesce più a proporre. Vanno avvisati i giornalisti italiani, magari non se ne sono accorti, che è un argomento da accantonare.
La ragione capitalistica genera i mostri della guerra, denuncia un corposo gruppo di studiosi autori di una lettera aperta, pubblicata a febbraio su Financial Times, Sole24Ore e Le Monde. Osservano che per avviare un realistico processo di pacificazione è necessaria una nuova iniziativa di politica economica internazionale, ed evocano una soluzione di “capitalismo illuminato”. In sostanza quella che venne delineata soltanto dopo due guerre mondiali, e sotto il pungolo dell’alternativa sovietica. In altre parole, solo se messi all’angolo i potenti dell’Occidente potrebbero cambiare la loro strategia guerrafondaia. Che ne pensa?
Per ora non sappiamo quanto l’angolo sia affollato, visto l’incremento nella produzione di armamenti da inviare agli ucraini per fare questa guerra per procura, che dura ormai da diciotto mesi. Che sia una guerra per procura è certo, ed è ridicolo dire che il conflitto riguardi solo la Russia e l’Ucraina, mentre si tratta di una guerra tra la Russia e la Nato. Da parte degli Stati Uniti anche una guerra per mettere in ginocchio l’Europa e in particolare la Germania, che ormai è spalle al muro. È difficile prevedere adesso una svolta di “capitalismo illuminato”, con la volontà di trovare un accordo. Bisogna sperare che da un lato le vicende militari si complichino per cui nessuno riesca a prevalere, e dall’altro che cambi l’amministrazione Usa. Sappiamo purtroppo che per quasi tutto il Novecento i democratici hanno fatto le guerre, e i repubblicani le hanno chiuse. È successo varie volte, un esempio celebre è la Corea, ma si può aggiungere anche la guerra in Indocina. Per cui, quale che sia il giudizio sui candidati repubblicani alle elezioni presidenziali del 2024, solo una batosta a Biden potrebbe provocare una svolta. A Biden o a chi lo dirige, perché l’attuale presidente non sembra più essere molto in sé, i suoi svarioni ormai non si contano più. Però dietro di lui ci sono forze molto temibili e preparate, che hanno deciso di cavalcare questa guerra nella speranza di disgregare la Federazione Russa. Non vanno dimenticate le recenti immagini del leader dei servizi segreti ucraini che divide una torta nel giorno del suo compleanno, simboleggiando la spartizione della Russia. Con la Siberia che si dà alla Cina, qualche territorio si dà alla Polonia, e via dicendo. Insomma chi dirige questa guerra per procura ha un piano preciso, quello di sfasciare la Federazione Russa così come, alla fine del ventesimo secolo, è stata sfasciata la Federazione Jugoslava. Questa è la posta in gioco, il resto è pura retorica che serve a riempire i giornali, i telegiornali e a rincitrullire i cittadini. D’altra parte la propaganda serve a questo.
Ma i costi della guerra sono imponenti. In termini di vite, di sofferenze, di devastazioni e anche di disastri ambientali.
Al capitale di questo non importa proprio nulla. Piangono come coccodrilli ma poi mandano la gente al macello senza problemi. È carne da cannone. Perfino un defunto capo di governo italiano, si chiamava Berlusconi, in un momento in cui non lo potevano tenere a freno disse che “questo signore”, cioè Zelensky, stava rovinando il suo paese. Si creò il panico, i giornali non sapevano cosa dire, implorarono una smentita mai arrivata. Alla fine lo zittirono. Ma è sintomatico che un signore non certo vicino alla sinistra e alle sue diramazioni abbia voluto dire una cosa di buon senso. Cioè che il costo umano della guerra è gigantesco, e chi come Zelensky se ne disinteressa è passibile di una critica anche morale, non soltanto politica.
Anche Papa Francesco viene criticato perché troppo pacifista…
Il Papa aveva detto che la Nato abbaiava ai confini della Russia, da quel giorno in poi è stato visto con sospetto, addirittura in odor di comunismo… E quando alcuni prelati sono andati in Ucraina a proporre una mediazione per far tacere le armi, Zelensky li ha trattati malissimo. Il quadro è abbastanza chiaro, tranne che per i nostri media.
Frida Nacinovich
10/7/2023 http://www.rifondazione.it
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