Palestina. L’epicentro
Ci sono stati massacri in passato, ma nessuna delle innumerevoli esplosioni di violenza era stata trasmessa ininterrottamente per un mese e chissà quanto ancora. La difesa acritica di Israele fa parte prima di tutto di un processo di auto-difesa della civiltà occidentale declinante. È questo lo scenario di fondo nel quale emerge questa violenza. Il genocidio di Gaza, scrive Franco Berardi Bifo, è l’epicentro di un cataclisma che dividerà il genere umano: “Il sud del mondo e le periferie delle metropoli occidentali circondano la cittadella bianca con un muro di odio che alimenterà vendetta nei mesi e negli anni a venire. Questo evento inaugura il secolo della resa dei conti tra razza coloniale e mondo colonizzato…”
La catastrofe palestinese e quella israeliana
Moshe Dayan disse nel 1967 che Israele deve agire come un cane pazzo, così che i suoi nemici possano sapere che le loro azioni ostili riceveranno una risposta smisurata: una strategia che espande all’infinito il biblico “occhio per occhio”.
Colpire scuole, ospedali, uccidere uccidere uccidere. L’abbiamo capito, ma non so se i dirigenti di Israele si rendono conto dello tsunami di orrore che stanno riversando sulla psicosfera globale. Un mese di orrore ininterrotto che prima di tutto ha cancellato nella psiche collettiva l’orrore del 7 ottobre, poi ha prodotto le condizioni di una mutazione mostruosa nella percezione di Israele da parte della mente planetaria.
A uno sguardo clinico gli israeliani nella loro grande maggioranza appaiono oggi come psicopatici che hanno perduto ogni inibizione morale, e dunque sono pericolosi per gli altri ma anche per sé, e per chiunque si fidi di loro, per chiunque in qualche maniera abbia consegnato loro il suo destino.
L’intero Occidente, per ragioni che non hanno nulla di nobile (il senso di colpa legato all’Olocausto che si è trasformato in un’identità negativa d’Europa), ha consegnato a Israele il suo destino. Il presidente Bieden ha improvvidamente consegnato a Israele il suo destino, e sta affondando.
Ci sono stati massacri in passato – quelli di Daesh e di Bashir el Assad in Siria, quelli di Falluja sotto il fosforo bianco degli americani nel 2005, eccetera -, ma nessuna delle innumerevoli esplosioni di violenza era stata trasmessa ininterrottamente per un mese e chissà quanto ancora. Nessuna aveva occupato in modo così totale l’Infosfera e di conseguenza la psicosfera dell’intero pianeta.
Quali conseguenze si attendono i vendicatori israeliani, da questo tsunami di orrore, al di là dell’improbabile annullamento di Hamas? È possibile esporre sugli schermi di tutto il pianeta il corpo torturato di un’intera popolazione senza poi pagarne il prezzo?
Nessuno sa come sia destinata a evolvere la situazione politico-militare, ma si può supporre che gli stati arabi, molto più attenti al portafoglio delle elite nazionaliste che alla solidarietà islamica, continueranno con le loro condanne senza rinunciare agli affari e agli accordi con Israele. Non è questo il prezzo che Israele pagherà. L’establishment occidentale e l’establishment arabo non romperanno con l’entità sionista.
Il prezzo che Israele pagherà è la sua disintegrazione morale. Il ceto dirigente di Israele è impastato nel cinismo, nell’arroganza, non recederà di fronte a nessun crimine pur di mantenere il controllo della situazione, ma non potrà mantenere a lungo quel controllo, perché il martirio dei palestinesi è la catastrofe morale degli israeliani. La memoria ebraica non può convivere a lungo con la responsabilità di un genocidio. La comunità ebraica americana ha occupato le sale di Capitol Hill e la Statua della Libertà per dire: Not in my name, per respingere l’identificazione con gli sterminatori di Israele.
Israele non è più (se mai è stata) una rappresentazione dell’ebraismo; è la sua vergogna, la sua immagine rovesciata.
Quello che impropriamente e pericolosamente il sionismo ha identificato come stato degli ebrei non potrà sopravvivere in mezzo all’odio che il genocidio israeliano sta suscitando nelle popolazioni che hanno memoria dell’umiliazione coloniale. E soprattutto lo stato di Israele è oggi isolato nelle nuove generazioni che in tutto il mondo si identificano con i palestinesi, non tanto per un ragionamento storico e politico, ma per la percezione di una comune, condizione claustrofobica, di un’assenza di futuro e di vie d’uscita che fa dei palestinesi l’avanguardia dell’ultima generazione globale.
C’è qualcosa di orribile nel modo in cui gli europei si voltano dall’altra parte mentre si svolge a poca distanza da loro un genocidio, così come gli europei fecero negli anni trenta e quaranta, quando il genocidio si svolgeva nel loro territorio, ma non sotto i loro occhi mediatizzati come accade oggi.
Il tradimento della cultura ebraica moderna
È difficile descrivere la mutazione di Israele senza fare riferimento al trauma originario, all’Olocausto, al desiderio di vendetta che cerca le sue vittime, e le costruisce nel corso di decenni. Tutto questo ha poco a che vedere con la politica, moltissimo a che fare con la psicopatologia. Il cane pazzo è pazzo veramente, occorre comprenderlo, comprendere la genesi della sua pazzia che non si manifesta da oggi ma ha cominciato a manifestarsi nel 1948.
Qui tocchiamo un punto estremamente delicato e doloroso, che riguarda l’evoluzione dell’Inconscio israeliano, in allontanamento e contrasto con la cultura ebraica.
Prima di morire, nel 1967, Isaac Deutscher scrisse a proposito dell’ebraismo preso nella trappola dello stato nazionale:
“Il mondo ha costretto gli ebrei ad abbracciare lo stato nazionale e ad esserne orgoglioso proprio quando in questo non c’è che poca speranza di futuro. Non si possono rimproverare di questo gli ebrei, colpevole di questo è il mondo. Ma almeno gli ebrei dovrebbero essere consapevoli del paradosso e capire che il loro entusiasmo per la sovranità nazionale è storicamente ritardatario. Spero che alla fine gli ebrei diverranno consapevoli dell’inadeguatezza dello stato nazione” (The non Jewish Jew, Verso, 2019).
Non è andata così: fin dall’inizio l’esistenza di Israele coincide con il tradimento della cultura ebraica moderna. Fin dall’inizio Israele si vuole nazione, e per questo mette in moto l’espulsione, la persecuzione, l’internamento, la sottomissione della popolazione presente su quel territorio. Ora tutti si rendono conto della trappola in cui è entrato lo stato sionista. Il regalo dei colonialisti inglesi, promesso da Balfour nel 1917 e consegnato nel 1948 si sta rivelando per quello che era fin da principio: un regalo avvelenato.
Anche i palestinesi sono entrati nel tunnel senza uscita dello stato nazionale. La formula “due popoli due stati” sanciva il carattere identitario e tribale dello stato nazionale, e negava ogni possibilità di convivenza pacifica di due comunità entro una stessa entità politica.
L’una e l’altra entità statuale (quella esistente di Israele e quella inesistente ma proclamata della Palestina) hanno finito per identificarsi con le loro componenti più identitarie, integraliste, religiose, o apertamente fasciste.
La linea di faglia
Il genocidio di Gaza è l’epicentro di un cataclisma che dividerà il genere umano: il sud del mondo e le periferie delle metropoli occidentali circondano la cittadella bianca con un muro di odio che alimenterà vendetta nei mesi e negli anni a venire. Questo evento inaugura il secolo della resa dei conti tra razza coloniale e mondo colonizzato. Israele è l’avamposto del razzismo colonialista nel mondo.
L’epicentro del terremoto sta nella terra dei tre monoteismi, ma il terremoto è dovunque. Non mi pare che da quell’epicentro vengano vibrazioni capaci di scatenare la guerra mondiale, piuttosto una guerra caotica composta di innumerevoli frammenti di violenza.
Forse il conflitto mediorientale è divenuto una guerra tra fanatici imbarbariti, ma l’occidente è responsabile dell’ecatombe e delle sue conseguenze, ed è destinato a farsi trascinare in questa faida folle. In nome della difesa di Israele l’Europa sta cancellando lo stato di diritto, vietando le manifestazioni pro-Palestina, criminalizzando i simboli palestinesi. Gli ipocriti si indignano per l’antisemitismo che risolleva la testa, ma è evidente che l’antisemitismo trova un terreno fertile nell’odio che Israele alimenta, e che Netanyahu ha condotto li suo popolo nella più spaventosa guerra suicida, dimenticando forse che nella guerra suicida il fondamentalismo islamico è imbattibile.
Per quale ragione l’Europa si rende complice del genocidio? Si dice in giro che il senso di colpa spinge gli europei a difendere Israele, ma credo che il punto sia un altro. La difesa acritica di Israele fa parte di un processo di auto-difesa della civiltà occidentale declinante. Ecco infatti che la destra si mobilita per difendere Israele con tutti i gagliardetti al vento. I discendenti di Pétain, i collaborazionisti antisemiti di sempre, insieme al razzista dichiarato Eric Zemmour sfilano rivendicando la rappresentanza della Francia bianca, mentre la settantaduenne militante per i diritti delle donne palestinesi Mariam Abu Daqqa viene espulsa perché ha osato dire che Israele è responsabile di un’occupazione coloniale, e mentre tutt’intorno alle metropoli le banlieux si ritraggono in un silenzio minaccioso.
Franco Berardi Bifo
15/11/2023 https://comune-info.net
Imamgine: San Francisco. Una delle grandi proteste contro Israele. Foto di Chris Carlsson
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