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PANDEMIA: FINE PRIMA FASE QUALE SECONDA?

La pandemia ci ha insegnato molte cose e speriamo di averle apprese.
Abbiamo imparato, ma forse lo sapevamo già, che nonostante la globalizzazione delle informazioni dei media e scientifiche il metodo più efficace per capire un evento è andare a verificare sul campo e chi è chiamato a pianificare una risposta valida deve recarsi all’interno dell’evento.
Nonostante le immagini, i reportages, i defatiganti talk show con tecnici , esperti, commentatori, forse solo ora in casa nostra e a caro prezzo abbiamo capito il significato di una patologia diffusibile “nuova” anche se, a tutt’oggi numerose persone continuano a muoversi da casa senza giustificazione valida.
Molti giovani non hanno compresa la gravità della infezione e comunque percepiscono che per loro non si tratta di una evenienza particolarmente gravosa. Sicuramente abbiamo riscoperto la solidarietà durante le catastrofi, che in genere non si ripete subito dopo perpetuandosi le umane attività umane di sfruttamento, belligeranza, sopraffazione del più debole, come dimostra la storia.

Altre cose che abbiamo imparato: non esiste un sistema sanitario europeo e, a caduta, nazionale per una consistente , articolata ma coordinata lotta alle epidemie. La risposta è stata ovunque approssimativa e tardiva a causa dello smantellamento dei sistemi sanitari pubblici un po’ ovunque e della assoluta non-coscienza di prevenzione, a favore della salute , strutturale.
Il fallimento è motivato dalla restrizione economica in materia sanitaria, alla cancellazione e quindi alla assenza di una gerarchia di diritti (prima dovrebbe venire il bene comune e poi quello individuale) a causa della cultura dell’individualismo e di numerosi prodotti culturali dello stesso fra cui quello di una ingiustificata “privacy” in materia di salute pubblica e collettiva.

I sistemi sanitari e in particolare il nostro non hanno più da anni una rete di prevenzione sanitaria territoriale in nome della cosiddetta capillarità dei medici di medicina generale, dei pediatri di famiglia e degli specialisti ambulatoriali in convenzione, il cui impegno in questa epidemia , è stato

annullato dalla carenza di formazione, informazione, direttive e protezione. Tra questi settori e i servizi di igiene e sanità pubblica è stato azzerato nei fatti e negli anni non solo il raccordo scientifico culturale e , anche qui , la gerarchizzazione in corso di emergenze, ma ne è stata altresì annullata la forza a causa del taglio delle risorse, in particolare del personale.
I nostri ospedali europei hanno dimostrato di avere competenze e abnegazione eroiche , come purtroppo siamo costretti a dire, ma sono stati depauperati di mezzi e risorse umane sotto l’aspetto tecnico e parlo di operatori socio assistenziali, infermieri, medici.

La formazione del personale si interessa della infettivologia in misura limitata, gli ospedali sono concepiti come aziende alberghiere e, ove possibile ad eccellente capacità di intervento, o sono lasciati deteriorarsi dal punto di vista dei manufatti e della operatività. Abbiamo imparato che la Svezia è il paese europeo con meno posti di rianimazione, e chi l’avrebbe mai detto, così come anche li senza una rete di sanità territoriale efficace. Insomma le macchiette cinematografiche della sanità italiana, a fianco dei serial medici poco diversi da cinepanettoni mostrano a modo loro una realtà lacrimevole che sarebbe comica se non fosse drammatica.

A questo si aggiunge la scarsa capacità di formazione nei contesti più complicati come appunto quelli relativi a una epidemia/pandemia, che se sono pianificati restano sulla carta, la incapacità di risposta pianificata e modulare, la assenza di una riserva di protezione individuale a favore del personale, la incapacità di rapido collegamento fra problematiche territoriali e risposta ospedaliera.

I vecchi ospedali sono delle matrioske con servizi dentro servizi dentro servizi che si avviluppano su se stessi senza logica e sicurezza strutturale, privi di percorsi per le infezioni, ancorché teoricamente previsti, privi di spazi per mantenere isolati i pazienti, privi della necessaria cubatura e organizzazione per una vera pulizia , sanificazione, trattamento di decontaminazione finale. Questo ultimo aspetto inoltre è affidato ormai a cooperative con tutto quel che comporta tale sistema di intervento: scarsa formazione del perosnale, scarsa protezione dello stesso, scarsa possibilità di vigilanza sull’operato, incapacità di garantire standard di qualità quando non direttamente in mano alla criminalità locale.

Insomma quello che manca è una normalità “normale” che , in tutti gli aspetti del nostro sistema Italia e in particolare in sanità , si inserisce in un contesto di burocrazia, lentezza amministrativa, catena di comando ora dittatoriale ora confusa, incapacità di dialogo con i lavoratori e le rappresentanze di questi oppure con dialogo unidirezionale o assurdamente conciliante.

Infine la aggressività forense ( qualcuno ha parlato di sciacallaggio forense) ha portato il nostro sistema sanitario a lavorare in uno stato di tensione che ha prodotto fra l’altro la cosiddetta medicina difensiva con rallentamenti delle attività e incrementi dei costi.

Negli ultimi anni si è assistito a una abitudine pericolosa, nata a causa delle ristrettezze economiche e strutturali in particolare ospedalieri, ma anche di una mentalità “aziendale” di gestione del caso clinico e dimissione rapida dello stesso, parametrando tale attività e premiando chi fosse maggiormente rapido nell’impiegarla. Anche i piani per il contenimento della spesa di farmaci sono spesso condotti in una logica “punitiva” verso il medico con aggravio della spesa sui pazienti che , per non potersi rivolgere al servizio sanitario pubblico sono costretti a pagarsi le cure direttamente. Ciò ha prodotto un sorgere di strutture convenzionate e private perché la domanda sanitaria ancorché a volte sproporzionata al reale bisogno è elevata e ha prodotto un corto circuito sul territorio con uno scarico di problemi spesso complessi sulle famiglie e sul loro budget per ri-prendere in carico il proprio caro malato.

La corsa al ribasso dei costi dei servizi ha praticamente azzerato la assistenza a malati gravi, al domicilio, a disabili di varia etiologia, ad anziani, scaricando sulle famiglie e/o su strutture con caratteristiche discutibili le persona fragili le cui garanzie di sopravvivenza sono spesso affidate a personale impreparato e scarsamente controllato dal servizio sanitario nazionale, si potrebbe definirli pseudo care givers che, qualora non familiari, vengono spesso pagati in nero.

L’assenza di cultura sanitaria fin dalle scuole, eliminando la medicina scolastica e lasciando voce ad elementi spesso di grave disturbo rispetto alla scienza, per esempio i no-vax, ha creato sacche di ignoranza o peggio di presunzione intellettuale nei confronti della scienza medica e infermieristica con aspetti anche qui comici se non fossero drammatici e spesso pericolosi. Una particolare riflessione merita la scarsezza di attenzione alla salute e sicurezza dei lavoratori anche questa, insieme alla sicurezza alimentare, sostanzialmente azzerata per motivi economicistici.
Ecco che senza voler analizzare quanto viene fatto o non fatto in condizioni “eccezionali” emerge invece un sistema sanitario, non solo italiano, ci tengo a dirlo, che funziona male in condizioni normali.

L’intento delle analisi riferite alla fase drammatica che stiamo attraversando a mio avviso deve mirare alla ricerca di responsabilità gestionali nel loro complesso e ai vari livelli di chi potere decisionale ha e aveva, non tanto per una mera giustizia giudiziaria o giustizialista, quanto per un richiamo alla importanza che riveste il ruolo di dirigenza della cosa pubblica, e non per una sorta di lotta individualista per risarcimenti ad eventuali danneggiati, ma in un contesto che provi ad incidere sul reale stato delle cose .

Quindi le analisi e le risposte devono essere politiche mettendo in discussione l’assetto odierno dell’europa, la Costituzione, la forma di Stato, la forma di governo, la struttura pubblica amministrativa e burocratica, il sistema fiscale, la capacità di controllo del territorio che, in questo nostro Paese devono ancora essere rimodellate o meglio devono essere rifondate. Ed è necessaria un ri-educazione profonda nei confronti del cittadino ancora troppo individualista e incapace di allinearsi, a volte, alle esigenze del bene comune.

Roberto Bertucci

Infettivologo

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Articolo pubblicato sul numero di aprile del periodico Lavoro e Salute http://www.lavoroesalute.org/

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