Patient Advocacy. Luci ed ombre
Sono sempre più numerosi i gruppi di pazienti che, costituiti in associazioni, rivendicano il diritto di partecipare alle scelte che riguardano loro salute. In molti casi questi gruppi ricevono finanziamenti dall’industria farmaceutica con il rischio che molte delle loro azioni siano, consapevolmente o inconsapevolmente, più allineate agli interessi commerciali delle aziende che alla salute pubblica.
Neoliberismo e “partecipazione”?
Con l’istituzione del SSN nel 1978, superando la frammentazione delle forme partecipative mutualistiche, lo Stato divenne l’attore principale nella tutela della salute della cittadinanza attraverso l’offerta di cure – almeno nelle intenzioni – universali ed eque.
Lo stesso anno, tra il culmine della stagione globale universalistica e l’avvio di quella neoliberista, nello sforzo di contrastare le disuguaglianze socio-economiche e sanitarie, la dichiarazione di Alma Ata formalizzò l’importanza della partecipazione, individuale e collettiva, alla progettazione e realizzazione dell’assistenza sanitaria (1) ; nel 1987 la Carta di Ottawa (2) ribadì il valore della partecipazione della società civile per la promozione della salute di individui, contesti e società, indicando l’advocacy come strategia chiave (3). Con l’affermarsi del neoliberismo, la centralità assunta dagli stati venne inesorabilmente erosa dal ruolo rivestito e dallo spazio occupato, a tutti i livelli, da mercato e settore privato e dal dilagare delle loro logiche, anche nel settore pubblico. Negli anni Novanta si assistette ad un impoverimento simultaneo delle politiche pubbliche, del welfare e dei settori e servizi pubblici, anche sanitari. L’espansione delle forze liberate del mercato e delle logiche commerciali coincisero con sempre maggiori possibilità partecipative, in molti settori, di attori e portatori di interessi prima esclusi, rese possibili dai concomitanti mutamenti legislativi. Ad esempio, in Italia, la legge 502/92 istituì, con “l’ospedale-azienda”, contemporaneamente l’aziendalizzazione del SSN e l’introduzione del principio di partecipazione come suo fondamento e del cittadino come attore; la legge 229/99 inaugurò quindi la possibilità di ricorrere al partenariato pubblico-privato.
Molte società industrializzate mutarono insieme ai propri sistemi sanitari. I modelli di co-produzione e co-progettazione multistakeholder e le forme cooperative tra potere pubblico e privato dei Partenariati Pubblico-Privati (PPP) divennero veicolo del trasferimento di potere dalle istituzioni pubbliche a quelle private, della commercializzazione di servizi e della mercificazione della salute. La narrazione dominante della partecipazione maturò contestualmente all’affermarsi del Terzo Settore a livello statale e del filantrocapitalismo (4) globale. In medicina emersero modelli di cura e salute tesi alla promozione della partecipazione attiva del paziente – non più concepito come passivo recipiente di cure – nelle forme del “patient engagement” e “involvement” (5) e modelli più personalizzati, con l’affermarsi della “medicina centrata sulla persona” (6), complementare e opposta alla “medicina di precisione”.
Col dilagare delle disuguaglianze tra e nei paesi, negli stati industrializzati i cittadini divennero consumers di beni e servizi di sistemi sanitari al cui centro si posero bisogni, preferenze ed esperienze dei pazienti organizzati in associazioni. Nella definizione dei bisogni di salute da coprire con le minori risorse disponibili, l’adozione del Global Burden of Disease (GBD) e delle fredde categorie di costo si accompagnò al più umano riconoscimento del ruolo della voce dei pazienti. Parte della società civile e dei movimenti per la salute – fuori e dentro le logiche istituzionali e professionali – continuò a rivendicare, dal globale al locale, condizioni di vita e cure più dignitose attraverso azioni di lotta, advocacy o lobbying nella medesima visione politica ispirata alla giustizia sociale delle mobilitazioni collettive degli anni Settanta. Contemporaneamente, le nascenti opportunità legislative di partecipazione su molti livelli (dalla co-progettazione alla valutazione (7)) per le associazioni di pazienti-cittadini, costituirono un campo di sperimentazione per entità commerciali che furono nutrite e nutrirono la retorica partecipativa della “cooperazione sinergica” (8) e della creazione di “valore condiviso”. L’avvio di questo processo viene collocato negli U.S.A., dove una parte del movimento per la salute delle donne e dell’attivismo per l’AIDS iniziò ad accettare regolari finanziamenti da parte delle aziende farmaceutiche, professionalizzandosi (9) e aumentando le proprie capacità.
Alla fine degli anni Novanta, normalizzata e normata l’intesa, erano presenti gruppi di pazienti finanziati dalle industrie farmaceutiche per moltissime patologie (7): queste iniziarono ad inserire pazienti nei propri comitati consultivi e a svolgere un ruolo determinante (anche attraverso processi formativi e professionalizzanti) per la vita delle associazioni (10), sempre più potenti, ma anche funzionali agli interessi commerciali e reputazionali. Negli ultimi decenni, viste le crescenti competenze e capacità delle associazioni, la loro richiesta di una maggiore partecipazione alla ricerca e alla politica sanitaria è stata sempre più riconosciuta a livello legale e politico, soprattutto in Europa, dove i governi sono maggiormente impegnati a creare strutture che consentano il coinvolgimento di organizzazioni in difesa delle malattie (11).
Patient Advocacy
Definiamo la Patient Advocacy sia come forma di engagement del paziente da parte delle industrie di prodotti sanitari, sia come azione di alcune organizzazioni (Patient Advocacy Group/Organization, PAG o PAO) che, “oltre al supporto dei proprio associati, si occupano di essere un collegamento con clinici, istituzioni e mondo politico, per mettere davvero la persona che ha una patologia, e la sua famiglia, al centro del percorso di cura e dell’assistenza socio-sanitaria” (12), supportate dalle aziende.
Il terreno culturale per l’azione dei PAG è costituito dalla medicina centrata sulla persona e dal coinvolgimento dei pazienti come stakeholder in ambito sanitario e politico (16). Questi gruppi non si limitano a lavorare per il supporto tra pari, l’informazione ed educazione sanitaria, la consapevolezza e sensibilizzazione (anche attraverso i social, verso malattie considerate “invisibili” o “invisibilizzate”) (14, 15), ma partecipano ai livelli più alti dei processi decisionali sanitari: lo scopo è la prioritizzazione di determinate malattie per cui rivendicano maggiori diagnosi e accesso ai più recenti trattamenti, richiedendo maggiori investimenti, pubblici e privati, anche per la ricerca (12). I PAG sono gruppi di natura ibrida, non primariamente commerciale (16). La loro azione, spesso connessa a quella delle aziende produttrici con cui collaborano, da cui sono formate e finanziate (17), sta nell’intersezione tra rivendicazione degli specifici legittimi diritti e interessi (legati a particolari malattie dei cittadini/consumatori), interessi commerciali delle aziende produttrici e salute collettiva. Nonostante un numero crescente di PAG riceva sempre più finanziamenti dalle industrie della salute (18), la natura di tali relazioni è opaca (19), viste le cautele utilizzate da queste ultime (20) e la riservatezza e mancanza di trasparenza dei primi nel condividere informazioni (18,21). Un recente editoriale del BMJ (22) afferma che la natura dei rapporti tra PAG e aziende produttrici configurerebbe un conflitto di interessi più reale che potenziale per i PAG, preoccupante per via del crescente potere dei gruppi di pazienti a livello internazionale, con il rischio che molte azioni siano, consapevolmente o inconsapevolmente (21), più allineate agli interessi commerciali delle aziende che alla salute pubblica. Le strategie dei PAG per limitare il conflitto d’interessi appaiono, quando presenti, insufficienti (17, 18, 21).
Il caso italiano
In Italia c’è un crescente interesse verso la Patient Advocacy, come testimonia il fatto che il 6 Ottobre 2022 il Ministero della Salute abbia varato una linea di indirizzo (23) che regola ruolo, modalità e forme di partecipazione di associazioni o organizzazioni di cittadini e pazienti ai processi decisionali di politica sanitaria. Tale risultato, punto di partenza per l’inclusione delle voce dei pazienti nelle scelte di politica sanitaria, costituisce anche l’esito di un percorso, iniziato nel 2021 su spinta di alcune forze (24), che ha portato alla costituzione, presso il Ministero della Salute, del gruppo di studio sulla partecipazione delle associazioni dei cittadini operanti in ambito sanitario, il cui coordinatore del comitato ristretto era anche direttore del Patient Advocacy Lab (PAL) dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (ALTEMS) (25). Il PAL è il laboratorio formativo universitario di ALTEMS, con il supporto di Gilead, Astrazeneca, Merck e Roche: una tra le principali delle moltissime iniziative formative sostenute dalle aziende produttrici sul coinvolgimento delle associazioni di pazienti alla luce della loro centralità nella “sanità del futuro”. Tali iniziative, contestuali alla partecipazione dell’AIFA all’European Patients’ Academy on Therapeutic Innovation (EUPATI) (26) – che sancisce il riconoscimento della centralità strategica dei pazienti anche all’interno dei processi regolatori – hanno l’obiettivo di formare “pazienti esperti”, favorendone l’empowerment alla luce del cambio di paradigma della “rivoluzione partecipativa”.
Conclusione
Il coinvolgimento dei pazienti e delle loro organizzazioni può costituire una forza per politiche sanitarie, servizi sanitari e società se l’insieme di valori e assetti sociali con cui sono in relazione reciproca sono chiaramente definiti e condivisi. Differenti forme partecipative veicolano processi, sostanziano valori e conducono ad esiti radicalmente differenti in termini di opportunità di salute per l’intera popolazione e distribuzione di potere e risorse. Se la sanità del futuro passerà attraverso il dialogo tra pazienti e istituzioni (27), è cruciale riconoscere l’interconnessione tra paradigma neoliberista e retorica partecipativa.
Questa consapevolezza può fungere da difesa contro il rischio che la Patient Advocacy diventi, nel caso in cui già non sia, permeata dagli interessi di attori commerciali del complesso medico-industriale.
Matteo Bessone, Sportello TiAscolto.
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29/4/2023 https://www.saluteinternazionale.info/
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