Per una scienza da rifondare
«…la lotta per la salute è in definitiva una lotta per la diminuzione dei ritmi, per la diminuzione della produttività e, quindi, contro lo sfruttamento…»
Giulio Alfredo Maccacaro
Uno dei numerosi problemi che affliggono le scienze umane e sociali riguarda l’uso che ne viene fatto nelle prassi e il livello di trasmissione del sapere nell’ambito della formazione accademica e specialistica. In questo senso, come tecnici, ci pare opportuno portare alcune considerazioni di ordine generale su questi problemi, perché sentiamo l’urgenza di reinterrogarci e di reinterrogare Medicina Democratica su questioni che furono centrali nel lavoro e nella lotta di questo movimento all’indomani della sua fondazione e del suo impegno militante per la salute. Partendo da un celebre scritto di Maccacaro “Una facoltà di medicina capovolta” (G. A. Maccacaro, Una facoltà di medicina capovolta, in “Per una medicina da rinnovare”, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 377-382. ) ci chiediamo cosa sia diventato l’insegnamento della Medicina nelle Facoltà universitarie, e che cosa, più in generale, siano diventati l’istruzione e l’apprendimento delle scienze umane e sociali negli atenei e nei dipartimenti universitari di questo paese. Se dovessimo, infatti, valutare l’insegnamento sulla scorta di ciò che “produce” in termini di professionalità e di ruolo tecnico, non andremmo molto lontano dai problemi che lo stesso Maccacaro dovette affrontare negli anni ‘70, con l’aggravante di una situazione politica, economica, culturale e sociale decisamente mutata da allora.
A noi sembra che le due questioni fondamentali toccate allora dalla critica radicale del movimento – e cioè il problema della “neutralità della scienza” e il “ruolo politico della funzione tecnica”– siano oggi completamente rovesciate nell’ipertecnicismo e nello specialismo dei nuovi consapevoli o inconsapevoli “funzionari del consenso”. In generale vediamo sempre più tecnici e operatori che hanno smarrito la consapevolezza del ruolo politico della loro professione, ruolo politico che ne smaschera le contraddizioni e costringe continuamente a ripensarne la funzione e il significato. Mancata consapevolezza che si traduce spesso in specialisti che eseguono il loro lavoro “meccanicamente”, come mera prestazione d’opera, come risultato di un processo di “automazione” dell’apprendimento che serializza e compartimentalizza il loro sapere svuotandone il senso e semplificandone la funzione. Ne è testimonianza il lavoro nei servizi, sempre più inondato da linee guida, da funzioni protocollari, da indicazioni puramente burocratizzate legate al contenimento dei costi e della spesa, e coartato nell’idea di una “clinica” che satura tutta la questione della salute e della malattia relegandole a pure condizioni di segno opposto da trattare separatamente, e non ad aspetti contraddittori di un’organizzazione sociale e di una divisione del lavoro che continua a essere gestita dal capitale.
Ne sono testimonianza il disorientamento e il senso di frustrazione di migliaia di studenti che, usciti dal comparto universitario, si ritrovano a fare i conti con una realtà del lavoro che li costringe immediatamente alla catena di montaggio istituzionale dei servizi, ai ritmi, ai ruoli e alle funzioni che questa macchina istituzionale determina nella riproduzione quotidiana di sé stessa.
Ne è ancora testimonianza il degrado culturale e sociale di una gran parte del ceto intellettuale in campo scientifico, ceto ormai quasi esclusivamente interessato a riempire i salotti buoni dell’establishment, per pura auto-riproduzione incensatoria, e incapace di fornire reali strumenti di analisi e di lettura del reale per gli operatori, per i lavoratori, per gli studenti e per tutti coloro che lottano per migliori condizioni di vita e di salute. Un ceto intellettuale che si è fatto ormai ceto politico di rappresentanza, lontano dai problemi e dalle contraddizioni in cui sono costretti a vivere la società civile, gli stessi tecnici e tutti coloro che si occupano di questioni sanitarie e sociali.
In questo senso, noi pensiamo che il movimento debba interrogarsi fino in fondo sui motivi di questa deriva e sulle responsabilità che esso stesso ha avuto nel corso di questi ultimi trent’anni e che debba porre con forza la questione del superamento dell’attuale livello di criticità generale.
Non riteniamo, infatti, che l’attuale situazione sia da ascrivere solo ed esclusivamente al mutato quadro politico ed economico, alle responsabilità istituzionali e di governo, al degrado della funzione politica di ogni professionalità, né pensiamo all’ineluttabilità di una situazione che sembra oggi non avere sbocchi sul piano politico e istituzionale.
Crediamo, piuttosto, che a questi livelli di criticità vada aggiunto un ulteriore livello che riguarda la responsabilità politica delle avanguardie storiche, dei movimenti di lotta, delle organizzazioni del lavoro nel processo di trasmissione dei valori e dei contenuti alle nuove generazioni, e nel mancato ricambio generazionale in grado di portare avanti quei valori, quei contenuti, quelle lotte in ogni ambito della vita sociale e del lavoro. E di questa riflessione riteniamo che il movimento debba farsi carico nella misura in cui, esaurita la “spinta propulsiva” dei vecchi militanti, se non altro per motivi spesso puramente anagrafici (ma non solo), è in gioco la sopravvivenza stessa del movimento e di tutto il patrimonio politico, culturale e sociale che esso porta in dote da quasi quarant’anni.
Infatti non possiamo non notare, con un certo disagio, che, nonostante in diverse aree del paese si assista al fiorire di iniziative di lotta, di auto-formazione, di auto-organizzazione spontanea di giovani studenti, di precari, di lavoratori, di operatori sanitari e di pezzi della società civile, queste iniziative abbiano poca presa sul movimento di Medicina Democratica. L’attenzione è sempre rimasta alta sui temi legati all’ambiente e alla nocività del lavoro, o su quelli dei grandi movimenti di lotta già organizzati, come il No Tav, ma è praticamente assente in ambito sanitario microcontestuale. Ci viene in mente, a questo proposito, lo sforzo quotidiano di piccoli gruppi di studenti, di operatori e di specializzandi in Medicina che in vari contesti territoriali stanno portando avanti iniziative editoriali, progetti di ricerca, di formazione e di dibattito aperto sui temi della salute pubblica e di cui la Rete Sostenibilità e Salute è solo una delle espressioni politicamente e tecnicamente più rilevanti. Ancora, è inconcepibile che il movimento di Medicina Democratica rimanga fortemente ancorato a una visione “generalista” della lotta politica, come a vecchie forme di rivendicazione sindacale ormai svuotate della loro dimensione conflittuale e ad un livello di negoziazione con il “politico” non su base allargata, ma su posizioni rappresentative di mediazione.
Questo quando è ormai chiaro il fallimento di ogni funzione simbolica e pratica di rappresentanza politica che sarebbe invece tutta da ricostruire. In questo senso ricordiamo alcune proposte della CGIL formulate durante il precongresso di Milano sull’opportunità di istituire un centro di raccolta di beni di prima necessità per gli iscritti più bisognosi, o ancora per rimanere nel contesto emiliano, quella della Fiom-Cgil di istituire uno sportello sindacale per assistere i lavoratori con problemi psicologici da stress lavoro-correlato.
Ebbene noi crediamo che queste “soluzioni” apparentemente poste nell’interesse dei lavoratori abbiano un solo nome: monetizzazione del rischio! Perché oggi la monetizzazione del rischio non si declina più solamente sul piano “risarcitorio” del danno fisico e materiale, nei tribunali e nelle aule della giurisprudenza di questo paese, ma anche sul piano “compensatorio” del danno psichico e immateriale subìto dal lavoratore negli stessi luoghi di lavoro. Ma queste due forme di “assistenza” risarcitoria e compensatoria hanno spesso un comune denominatore che è proprio quello di andare ad indebolire e depotenziare l’aspetto conflittuale e rivendicativo delle lotte! Sono azioni vertenziali o assistenziali che rischiano di schiacciare le organizzazioni dei lavoratori su questioni di mera sussistenza e di risarcimento passivo. Esse ci paiono ormai l’espressione di una politica sindacale lontana dai reali problemi dei lavoratori.
Ci pare, allora, che avallare questo tipo di proposte senza problematizzarle costituisca una pericolosa deriva strategica che rischia di dilapidare quarant’anni di lotte e di delegare a una mera funzione “istituzionale” qualcosa che, invece, si è sempre mosso su un piano politico e organizzativo di movimento.
La situazione appare complessa sia sul piano politico che su quello scientifico. Sul piano politico stiamo assistendo alla sostituzione di una vecchia classe dirigente con una nuova classe dirigente di “funzionari del consenso”, tecnici e amministratori perfettamente addestrati a riprodurre logiche del potere finanziario e poco interessati alla dimensione sociale come problema storicamente determinato. A questo fa sponda, sul piano scientifico e dell’istruzione in generale, lo smantellamento di un apprendimento “metodologico” – che sarebbe fondamentale nell’acquisizione dei contenuti –, e alla riproduzione di un nuovo (vecchio?)
Corso di studi in Medicina e Scienze Umane, oggi sempre più parcellizzato, frammentato e inteso a fabbricare nuovi funzionari del consenso.
Per questo motivo riteniamo fondamentale che il movimento torni a svolgere quella funzione di propulsore di lotta e di cambiamento che lo ha contraddistinto dalla sua fondazione, e un riferimento intorno al quale possano coagularsi esperienze, iniziative, lotte, organizzazioni e movimenti in grado di confrontarsi apertamente e dialetticamente tra loro.
Crediamo che il termine “rete” sia un termine ormai troppo abusato e inflazionato per avere reale credibilità. E’ divenuto il termine più utilizzato dai padroni. Quello che pensiamo è qualcosa di più. E’ riconnettere memoria ed esperienza politica e metterle al servizio della società e delle classi sfruttate, di una società rifondata non più sul dominio capitalistico. Da questo punto di vista riteniamo importante aprire una dialettica con Medicina Democratica, non solo come Associazione che si muove localmente nel contesto emiliano, ma anche come gruppo di tecnici e di uomini e di donne che si interrogano sulle sorti di questa professionalità, di questa società, di questa politica e di questa scienza.
Noi vediamo continuamente, nella quotidianità del nostro lavoro, quanto sia pervicace la logica capitalistica dello sfruttamento e della divisione del lavoro e come essa determini uno scorporamento della funzione politica del ruolo professionale, svuotandone il senso e smorzandone l’aspetto conflittuale; aspetto conflittuale che può essere proprio quello potenzialmente trasformativo e agente di cambiamento.
In un tale scenario resta poco dell’analisi contestuale e storica del “malato” – di qualcosa che lo ristoricizzi, che lo ricollochi in una dimensione sociale, politica ed economica oltre che psicologica, relazionale e biologica e che gli restituisca quel livello di emancipazione reale che l’istituzione da sempre tende a occultare e a gestire. Ancora, resta poco di analisi più approfondite che vedano la “salute” e la “malattia” come poli dialettici di una contraddizione che da sempre abita l’uomo e che può consentire di rifondare una medicina per il sociale e con il sociale e di utilizzare la scienza come strumento di liberazione e non di oppressione.
Nell’articolazione di una proposta che non voglia semplicemente porsi come indice puntato sul movimento, ma come stimolo concreto a lavorare insieme per cambiare le cose, noi riteniamo fondamentale tornare a formulare questi interrogativi e a coinvolgere il più possibile tutte quelle iniziative, in ambito locale e nazionale, che vadano nella direzione di un impegno politico collettivo contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, contro il degrado ambientale, contro la nocività dei ritmi e dei luoghi di lavoro e contro ogni forma di sofferenza degli esclusi e degli emarginati gestita dalla produttività del capitale e dai saperi/poteri ad essa asserviti. In questa direzione ci auguriamo che Medicina Democratica divenga nuovamente promotrice di produzione politica e culturale attraverso percorsi di formazione non protocollare e standardizzata.
Una formazione capace di coinvolgere i futuri tecnici e la società civile sul campo reale della prassi attraverso gli stimoli provenienti dal lavoro e dall’apprendimento sociale di nuove conoscenze. Una formazione che riscopra il valore di una metodologia che “permetta di comprendere la logica dei problemi sanitari e i loro rapporti con la società in cui essi hanno luogo e con le strutture di potere di quella società”, che esca da quella “didattica ombra” – propria di questo sistema di istruzione, che gestisce attività diverse e che insegna differenti nozioni tra loro slegate, non inserite in un contesto logico più generale –, una formazione che si apra alle giovani generazioni, al loro entusiasmo e alla loro capacità di inventare nuove possibilità di rapporto e di riproduzione sociale. Più in generale si ritiene che occorra recuperare il senso politico di una lotta che non si esaurisca in un’azione corporativa che porta avanti interessi individuali o di categoria, ma che esca dallo specifico di una disciplina o di un ambito di lavoro e che torni a essere espressione della lotta di una classe sfruttata contro chi la sfrutta.
Questa, per noi, può rappresentare davvero una linea di continuità con l’eredità del lavoro di Giulio Maccacaro e di un intero movimento di lotta per la salute. Non vorremmo che questo patrimonio di pratiche e di lotte si smarrisca nell’idea nostalgica di una lotta egemonica per “custodirne la memoria”, ma che esso si faccia materiale vivo, aperto e fruibile nelle lotte di tutti coloro che non si rassegnano all’ignominia e alla degradazione del nostro tempo.
2 G. Bert, Il medico immaginario e il malato per forza, Feltrinelli, Milano, 1974.
3 Ibidem
Bibliografia
Bert G. [1974]: Il medico immaginario e il malato per forza, Feltrinelli, Milano.
Maccacaro G. A. [1979]: Per una medicina da rinnovare. Scritti 1966-1976, Feltrinelli, Milano.
Riccardo Ierna
Centro Studi “Carla Grazioli” all’VIII Congresso Nazionale di Medicina Democratica, Firenze, 19-21 Novembre 2015.
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