Per un’opposizione da sinistra (e dal basso) al Governo Conte bis

Si dice che, una volta, avendo chiesto a Vittorio Foa cosa desiderasse per Natale, la risposta fosse un poco spiazzante: «una destra democratica». È con lo stesso stato d’animo che ho desiderato che nascesse l’attuale governo: perché consideravo pericolosa la destra autoritaria, razzista e, sì, francamente fascista di Matteo Salvini. Sarebbe stato meglio, certo, che un cambio di presidente del Consiglio rendesse esplicita, e meno grottesca, la repentina discontinuità: ma, insomma, non si può pretendere di scegliersi l’avversario su misura. Già, un avversario: perché un Movimento 5 Stelle ancora a trazione Di Maio e un Partito Democratico ancora infeudato a Renzi non potevano che partorire un governo “dello stato delle cose”. Cioè un governo che manterrà invariati i rapporti di forza sociali. Un governo garante dell’oligarchia.

E dunque un governo di centro-destra, dal mio punto di vista: che è il punto di vista di una sinistra sociale e culturale che è viva nel Paese, ma non ha da tempo rappresentanza politica. Già queste primissime ore confermano che è così.

A partire dalla questione delle questioni: l’immigrazione. La (non) scelta del ministro dell’Interno è stato un segnale chiarissimo: nessuno dei due partiti si è assunto la responsabilità di dare una risposta politica al problema politico più grande che abbiamo di fronte. Partorendo così il paradosso che, in un governo di feroce spartizione professionistica, l’unico tecnico è stato messo al ministero, appunto, più politico. Il messaggio è chiarissimo: sui migranti business as usual. Cioè: linea Minniti senza la propaganda di Salvini. Cambiano (per fortuna) i toni, ma i porti restano chiusi. E mentre i 5 (!) migranti della Alan Kurdi venivano respinti fino a Malta da questo governo e i nemmeno cento della Ocean dovevano aspettare la (propagandistica quanto umiliante) suddivisione europea, il presidente Conte invitava le forze politiche «a non concentrarsi sugli slogan “porti aperti” o “porti chiusi”».

Fuori dal coro del miope ottimismo che ottunde la sinistra, Roberto Saviano ha ineccepibilmente commentato: «Quando il Primo Ministro parlava di “un anno bellissimo”, lo faceva in astratto. Così oggi se parla di “nuovo umanesimo” non pensa a nulla di concreto, dato che ai 5 migranti sulla Alan Kurdi e agli 84 sulla Ocean Viking è negato un Place of Safety. Umanisti sì, ma in astratto». E perfino dentro la politica politicata c’è stato un Matteo Orfini (!) capace di notare che liberarsi di Salvini, ma mantenere le sue politiche non è una grande idea. Ma io temo che l’idea sia esattamente questa, invece. E che la si debba alle ragioni francamente esposte da Giorgio Gori su twitter: «C’è voglia di voltare pagina. Sull’immigrazione: basta odio contro i migranti. Ma attenzione: secondo IPSOS solo l’11% degli italiani (neanche metà del Pd) chiede posizioni meno rigide sull’immigrazione. Eviterei quindi di passare da “porti chiusi” ad “accogliamoli tutti”». Ecco il punto, ecco il governo dello stato delle cose: un governo che non punta sulla costruzione di giustizia sociale verso tutti (compresi i migranti, da accogliere) per far calare il clima di paura alimentato ad arte, ma si nasconde dietro quel clima per non cambiare nulla. A partire dai decreti sicurezza, che verranno purgati secondo le (minimali, marginali, imbarazzanti…) osservazioni di Mattarella, ma non verranno abrogati.

Come ogni governo degli ultimi trent’anni, anche il Conte bis mette al centro del programma una riforma costituzionale: relativamente innocua nei contenuti, ma devastante nel messaggio. Che è sempre lo stesso: il problema dell’Italia sarebbe la sua Costituzione. Quando, esattamente al contrario, l’unico modo di salvarla è attuarla, quella benedetta Costituzione.

Contemporaneamente, c’è già freddezza sull’invece necessarissima legge proporzionale: contro cui si schierano Romano Prodi e Walter Veltroni, che danno cattivi consigli non potendo più dare cattivo esempio.

Un governo della restaurazione: la rivincita del sistema su un Movimento 5 Stelle suonato come un pugile a causa dei suoi stessi errori. Questa la fortissima impressione.

E d’altra parte come sarebbe possibile invertire la rotta, o anche solo mutarla di pochi gradi, con l’Economia presidiata da un cane da guardia della Commissione Europea e i due ministeri strategici per territorio e beni comuni (Infrastrutture e Beni Culturali) in mano a due figuri come quelli? La loro fedeltà, e le loro risposte, sono da sempre per i più forti: non certo per i più fragili. Né c’è da sperare in LeU, che premia con un ministero (e quale!) il piccolo capitano che aveva condotto la sua barchetta sugli scogli: un monumento al carrierismo politico.

E dunque il consenso a Salvini rimarrà lì: «nella pancia e nella testa delle persone» che aspettano quelle risposte, come hanno lucidamente ricordato Fabrizio Barca e Andrea Morniroli in uno dei pochi ragionamenti critici arrivati da sinistra. Che non sia un discorso facile da far passare lo dimostra la stessa pagina di «Repubblica» in cui è apparsa la loro lettera, e che contiene anche lo sfottò di Michele Serra verso i salviniani che credono «nell’ordoliberismo (che sarebbe il liberismo imposto dallo Stato, ovviamente venduto ai banchieri)». Luciano Gallino si rivolta nella tomba: mentre comprendiamo quanto sia stretta l’alleanza di fatto tra l’egemonia culturale della destra economica e l’egemonia popolare della destra fascista.

L’orizzonte è dunque assai grigio: che è sempre meglio di nero, sì. Ma da qua a dire che questo governo possa piacere a una qualunque sinistra, ce ne corre davvero. Se durerà, sarà vitale costruire una opposizione che non lasci tutto lo spazio dello scontento ai bracci tesi di Salvini e della Meloni. Un’opposizione da sinistra. Dal basso e da fuori. Propositiva, vitale, creativa, visionaria: radicata nelle lotte e nella solidarietà praticata ogni giorno. Lo spazio è enorme, il momento è questo.

Tomaso Montanari

13/9/2019 https://volerelaluna.it

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