Perché non ha più senso parlare di democrazia
“La spaventosa concentrazione del potere economico nelle mani di una ristretta oligarchia plasma a suo immagine l’intero sistema dei rapporti in cui viviamo”. Questa frase, contenuta nell’introduzione e ripetuta – in diverse forme, come base o risultato di diverse analisi – un po’ in tutto il libro, è il cuore dell’ultimo lavoro dell’economista Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio – La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico (ed. Piemme). Una piccola enciclopedia della politica economica di oggi sotto forma di “50 brevi lezioni” che gettano luce sulle tendenze di fondo dell’epoca che stiamo vivendo, e subendo.
Dalla scienza all’informazione, fino al potere politico in senso stretto e le istituzioni che lo regolano – spiega perfettamente Brancaccio nel libro – sono ormai concentrati in poche mani. Da qui parte l’analisi del volume. Il dramma è nelle conseguenze, che sono sotto gli occhi di tutti ma che pochi osano denunciare con tale nettezza: “Dal punto di vista decisivo della politica economia e sociale, l’azione di governo è in larghissima misura sempre uguale a sé stessa”.
Che si tratti di democratici o repubblicani, di progressisti o conservatori, le differenze tra i partiti che di volta in volta escono vincenti dalla selezione democratica e sono chiamati a governare appaiono sempre più limitate.
Brancaccio riconosce che “talvolta lo scontro si infiamma”, e qui l’accento è sulle prime fasi di quello che chiama il “decennio populista”. Ma a ben guardare si tratta di una dialettica che “in fin dei conti riflette solo tensioni interne alla classe dominante”. Uno scontro che si combatte tra grandi capitali transnazionali da una parte e piccoli capitali nazionali dall’altro. Il risultato è un dato di fatto che viviamo tutti i giorni sulla nostra pelle, forse così assuefatti da arrivare a sorprenderci quando qualcuno con dati alla mano arriva a ricordarcelo:
Per la classe lavoratrice e le fasce sociali più deboli cambia poco, perché tutti i governi restano sempre soggetti al medesimo imperativo: reprimere le istanze egualitarie delle classi subalterne, se necessario anche restringendo lo spazio delle libertà civili e politiche.
Con questa sua ultima opera Brancaccio fornisce l’ennesima prova che, sebbene in grande crisi, la sempre invocata categoria degli intellettuali capaci di pensiero critico non è affatto sparita. Il luogo comune “non ci sono più gli intellettuali di una volta” è una banalizzazione fuorviante. Il vero problema è che ogni intellettuale agisce nelle trame della struttura sociale, un tempo più favorevole e oggi terribilmente ostile al pensiero critico. I riflettori dei media mainstream sono ormai incentrati su una disputa tra due finti estremismi di cui proprio Brancaccio mette in evidenza la totale funzionalità al sistema del potere: “L’annosa disputa fra tecnocrati e populisti si riduce a poco più che un simulacro, una finzione scenica, uno spettacolo”. Ecco allora che in tv è meglio invitare, mostrare, far apparire generici no green pass, no vax, no qualcosa. Folklore, siamo soliti bollarlo così. Ma è qualcosa di più. “Nel nuovo universo concentrazionario in cui viviamo”, spiega Brancaccio, “le uniche frange di dissenso tollerate rimangono soltanto quelle del più bieco irrazionalismo anti-scientifico”. Motivo? Si delegittimano da sole “e quindi rafforzano ulteriormente il potere costituito”. E “tutto il resto deve uniformarsi”.
La centralizzazione capitalistica è dunque alla base dell’attuale regresso economico e in prospettiva potrebbe minacciare la sopravvivenza stessa delle istituzioni della liberaldemocrazia. Il capitalismo tende così a precipitare in una crisi ancor più minacciosa, non solo economica ma anche democratica.
Bastano queste frasi per capire perché Brancaccio risulta indigesto al mainstream mediatico italiano. Nelle sue 50 brevi lezioni parla espressamente di “nuovo capitalismo oligarchico”, di “giochi della finanza capitalistica”, di “oligarchia che domina l’attuale universo economico” da cui scaturisce tutto, dall’attacco al lavoro all’impossibilità, stando così le cose, di arrivare a una vera unificazione europea. E ancora: le carenze della ricerca, i buchi nella produzione e distribuzione dei vaccini e nelle terapie anti-Covid, fino alla revanche autoritaria che proprio dalla pandemia ha avuto nuova spinta. Denunce già fatte, si dirà. Ma in questo caso presentate con l’autorevolezza di prove empiriche schiaccianti e tramite le ammissioni dei tanti economisti mainstream che si sono misurati con questo studioso eretico e sono arrivati a riconoscere la forza scientifica dei suoi avvertimenti. Così l’eresia prende una luce nuova perché si fa pericolosamente ineludibile, non può essere più liquidata.
Le indagini dette di network analysis riportate nel volume, “che sfruttano la potenza di calcolo dei moderni processori per esaminare le complesse ramificazioni della proprietà globale del capitale”, mostrano che “oltre l’80 per cento del capitale quotato nelle borse mondiali è controllato da meno del 2 per cento degli azionisti”. Un “ristretto manipolo di grandi capitalisti”, come li definisce Brancaccio, che tende a restringersi ancor di più a cavallo delle crisi economiche e si consolida in tutti i settori, dalla logistica alla farmacia fino ad arrivare – ovviamente – ai media e all’editoria. Una tendenza che riguarda l’Europa, gli Stati Uniti, la Cina. E che ha un ulteriore, drammatico effetto: “una volta raggiunto l’olimpo, questa nuova oligarchia del capitale difficilmente viene scalzata”. Così, “i giganti del capitalismo diventano un po’ come quei vecchi signori medievali, comodamente seduti sul loro ormai indiscusso potere”.
Il messaggio di Brancaccio è chiaro e terrificante: il capitalismo è destinato a sopprimere la democrazia perché somiglia sempre più al vecchio feudalesimo. Forse è in questo senso che non si vedono più in giro gli intellettuali di una volta. Ormai sui grandi media c’è rimasto spazio solo per i giullari di corte.
Daniele Nalbone
11/2/2022 https://www.micromega.net
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