Persone Lgbtqia+ Tempi ostili

Nonostante l’aumento di violenza e discorsi d’odio, le persone Lgbtqia+ in Europa hanno iniziato a vivere orientamento sessuale e identità di genere più apertamente. In Italia invece la situazione è diversa, e c’è chi pianifica di emigrare all’estero per sfuggire a una persecuzione di genere. Gli ultimi dati dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea

In vista della giornata mondiale contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, il 14 maggio 2024 l’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea (FRA) ha pubblicato i risultati dell’indagine sugli episodi di discriminazione contro le persone Lgbtqia+ nei 27 stati membri dell’Unione. 

L’indagine è arrivata alla sua terza edizione – dopo quelle del 2012 e del 2019 –, e ha visto la partecipazione di oltre 100.000 persone Lgbtqia+ dai 15 anni in su, residenti nell’Unione europea e nei paesi candidati a farne parte (Albania, Macedonia del Nord e Serbia), che sono stat intervistate nell’estate del 2023.[1]

Le persone che hanno partecipato all’indagine hanno condiviso le loro esperienze di discriminazione, violenza, crimini e discorsi d’odio. Inoltre, sono state interrogate sulla scelta o la possibilità di vivere apertamente il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere, sia nello spazio pubblico che in famiglia, o sul posto di lavoro. Infine, è stato chiesto loro di riportare se presenti esperienze di discriminazione nell’accesso ai servizi – scuola, assistenza medica, ecc. – e all’abitazione. 

Rispetto all’indagine precedente, è emerso che, oggi, le persone Lgbtqia+ vivono il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere più apertamente, e che le discriminazioni – seppur ancora numerose – stanno lentamente diminuendo.

Tuttavia, violenza e bullismo stanno invece aumentando in modo preoccupante. In termini di tutela e protezione dei diritti delle persone Lgbtqia+, le differenze tra i vari paesi europei sono lampanti. Lo dimostra chiaramente anche la mappatura annuale dell’International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (ILGA Europe) pubblicata a maggio 2024, che colloca l’Italia al 36esimo posto in Europa, con un punteggio del 25% – ben lontana dal primo posto, detenuto da Malta (88%).

Nel 2023, un terzo (il 37%) delle persone che hanno partecipato all’indagine a livello europeo afferma di aver subito un episodio di discriminazione nell’anno precedente alla rilevazione, con picchi del 50% a Cipro e in Bulgaria. 

Le discriminazioni avvengono principalmente sul posto di lavoro (18%), in bar o ristoranti (17%), a scuola (15%) e all’interno dei servizi sanitari (14%). 

Quanto alla visibilità, il 45% delle persone Lgbtqia+ non rivela il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere sul posto di lavoro: anche in questo caso, Cipro detiene il record negativo, con il 71% delle persone rispondenti che scelgono di “non uscire dall’armadio”. 

I gruppi che riportano i tassi più alti di discriminazione sono le donne lesbiche e pansessuali e le donne trans. Un dato che non stupisce, in società patriarcali e sessiste come quelle europee. 

Anche le persone Lgbtqia+ razzializzate, appartenenti a minoranze religiose o con background migratorio sono particolarmente esposte a discriminazioni: ha riportato di aver subito discriminazioni il 54% delle persone Lgbtqia+ richiedenti asilo o rifugiate. 

Una percentuale simile è stata registrata anche tra le persone Lgbtqia+ povere. Il 13% del campione ha dichiarato di aver subito aggressioni fisiche nei cinque anni precedenti all’indagine: anche in questo caso, le donne e gli uomini trans e le persone intersex risultano essere i gruppi più colpiti da questo tipo di violenza. 

Le persone trans e non binarie sono anche quelle che subiscono maggiormente forme di molestie e abusi. 

Per quanto riguarda i discorsi d’odio nello spazio pubblico, il 76% delle persone che hanno partecipato all’indagine hanno affermato di essersi imbattute in riferimenti alla cosiddetta “propaganda Lgbtqia+” o “all’ideologia gender”, all’idea che le persone Lgbtqia+ costituiscano una minaccia per i valori tradizionali (75%) o che siano innaturali o patologiche (64%). Online, episodi di incitamento alla violenza contro le persone Lgbtqia+ sono stati sperimentati dal 38% delle persone intervistate. 

Non va meglio a scuola: hanno riportato di aver subito bullismo, ridicolizzazione e scherno durante il proprio percorso scolastico i due terzi delle persone che hanno preso parte al sondaggio (il 21% in più rispetto al 2019), rendendo evidente la necessità, in tutti i paesi dell’Unione europea, di programmi di educazione alle differenze e all’affettività nelle scuole. Soprattutto considerando che solo il 17% del campione riporta che questi temi vengono affrontati apertamente e positivamente nelle aule scolastiche, e che il 64% sceglie di non rivelare orientamento sessuale e identità di genere a compagni, compagne e insegnanti. 

Infine, la sanità: il 14% del campione ha riportato episodi di discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari. A essere più esposte a questo tipo di discriminazione sono, ancora una volta, le persone trans. Il 18% di loro, infatti, ha evitato di rivolgersi ai servizi sanitari di cui aveva bisogno per paura del trattamento che avrebbe ricevuto. 

Quest’ultima costituisce una palese violazione del diritto fondamentale alla salute, riconosciuto da tutti gli ordinamenti statali dell’Unione europea e dal diritto stesso dell’Unione. 

Una menzione specifica va fatta, infine, alle persone intersex, ancora oggi sottoposte in molti paesi – inclusa l’Italia – a trattamenti medico-chirurgici o ormonali non necessari e non consensuali in giovane età, finalizzati ad attribuire il genere binario maschile o femminile: il 57% delle persone intersex che ha partecipato all’indagine racconta che il personale medico non ha chiesto né a loro, né ai genitori il consenso informato per trattamenti di questo tipo.

L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha inoltre reso pubblici i dati relativi ai singoli paesi.

Per quanto riguarda l’Italia, la paura della visibilità viene riportata da più della metà del campione: il 53% evita di tenere spesso o sempre la mano al o alla propria partner nei luoghi pubblici, e il 27% evita spesso o sempre certi luoghi per paura di subire aggressioni. 

La percentuale di persone che riferisce di essersi sentita discriminata sul lavoro o nella ricerca di un’occupazione è pari al 21%. Gli episodi di discriminazione raccontati riguardano diversi ambiti della vita, come andare al bar, al ristorante, in ospedale o in un negozio. 

Complessivamente, in Italia, nell’anno precedente all’indagine, si sono sentite discriminate in almeno un ambito della vita il 38% delle persone. Episodi di violenza e aggressione hanno riguardato rispettivamente il 10% e il 4% del campione, mentre le molestie sono molto più frequenti, e vengono infatti riportate dal 51% delle persone partecipanti. 

Tuttavia, solo l’8% ha scelto di denunciare alle forze dell’ordine episodi di aggressione fisica o sessuale. La percentuale si colloca al di sotto della media europea dell’11%, evidenziando come l’underreporting sia un tema strutturale, che denota una mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni preposte al contrasto dell’omo-lesbo-bi-transfobia. 

È altamente probabile che, ad alimentare questo sentimento di sfiducia, abbia contribuito anche l’avvilente dibattito che ha accompagnato ogni proposta di introdurre nell’ordinamento penale del nostro paese un’aggravante di omo-lesbo-bi-transfobia – dal disegno di legge di Scalfarotto fino al più recente, proposto dal deputato del Partito democratico Alessando Zan. 

Del resto, in Italia l’incidenza di fenomeni di bullismo, scherno, insulti o minacce contro le persone Lgbtqia+ a scuola è ben al di sopra della media europea (43%), e hanno riguardato il 68% dei e delle partecipanti al sondaggio. 

Inoltre, in Italia il 51% delle e degli studenti Lgbtqia+ non rivela di esserlo a scuola, e il 67% afferma che la propria formazione scolastica non ha mai affrontato le tematiche Lgbtqia+. 

Particolarmente preoccupante il dato relativo alle terapie di conversione finalizzate a cambiare l’orientamento sessuale e/o l’identità di genere delle persone Lgbtqia+: esperienze di questo tipo vengono infatti riportate dal 18% del campione italiano. 

Occorre infine evidenziare la forte preoccupazione di chi ha preso parte all’indagine di FRA per l’Italia per il progressivo deterioramento del discorso pubblico e politico relativo ai diritti delle persone Lgbtqia+ nel nostro paese: il 60% afferma che in Italia, nei cinque anni precedenti all’indagine, la violenza contro le persone Lgbtqia+ è aumentata, e il 54% che sono aumentati i pregiudizi e l’intolleranza nei confronti delle persone Lgbtqia+.

Coerentemente, solo il 4% del campione ritiene che il governo italiano combatta efficacemente i pregiudizi che colpiscono le persone Lgbtqia+.

Questi ultimi dati non devono stupire: è facile constatare come i discorsi di odio e intolleranza siano cresciuti negli ultimi anni anche a causa delle esternazioni e delle misure adottate dalle istituzioni italiane in tempi recenti. 

Gli attacchi ai diritti e alle libertà delle persone Lgbtqia+ sono avvenuti su più fronti: dal contrasto amministrativo al riconoscimento della omo-genitorialità, al discorso pubblico che favorisce la natalità e propone la primazia della famiglia cosiddetta naturale (ovvero eterosessuale), dal mancato riconoscimento del certificato europeo di filiazione alla scelta di non aderire alla dichiarazione congiunta proposta dalla presidenza belga dell’Unione europea sul contrasto alle discriminazioni omo-lesbo-bi-transfobiche, fino ad arrivare alla crociata contro la fantomatica “ideologia gender”.

Quest’ultima ha portato all’attacco frontale contro l’autodeterminazione delle persone trans e non binarie, con una riclassificazione di alcuni farmaci necessari per le terapie ormonali – che smettono quindi di essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale –, il tentativo di rendere impossibili i percorsi di affermazione di genere per le giovani persone trans, alimentando il panico morale sui sospensori della pubertà e utilizzando strumentalmente la difesa dei diritti dei minori per privare alcuni di loro di dispositivi medici e psicologici spesso salva-vita. 

In un contesto del genere, non stupiscono affermazioni come quella di un giovane uomo trans e bisessuale di 21 anni che ha risposto all’indagine, che ha dichiarato di stare pianificando di emigrare in altri paesi europei “per sfuggire alla persecuzione in corso contro le persone Lgbtqia+ in Italia”. 

Un quadro a tinte fosche, quello che si profila per le persone Lgbtqia+ in Italia. 

Per contrastare l’alternativa tra lasciare il paese in cerca di un ambiente meno ostile o soccombere ai continui attacchi ai nostri corpi e alle nostre vite, è necessario stabilire alleanze e costruire insieme pratiche, narrazioni e lotte di liberazione e autodeterminazione. 

Nella piena consapevolezza che, se toccano una persona, le toccano tutte.

Note

[1] In termini di orientamento sessuale, il 29% del campione è costituito da persone che si definiscono uomini gay, il 21% da lesbiche, il 13% da persone pansessuali e l’8% da persone asessuali. Per quanto riguarda, invece, l’identità di genere, il 37% del campione è composto da donne cisgenere, il 32% da uomini cisgenere, il 5% da donne trans, il 6% da uomini trans e il 20% da persone non binarie o gender diverse. Infine, il 2% del campione si definisce intersex.

Marta Capesciotti

30/5/2024 http://www.ingenere.it

Immagine:CreditsUnsplash/Alexander Grey

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