Pfas, l’avvocato Usa delle class action: “Basta ignorarli, sono già dentro di noi e incidono sulle nostre difese naturali dai virus”
I Pfas sono un’autostrada che ci conduce in bocca al Covid-19. Questo è il pensiero di Robert Bilott, che i Pfas, con l’equipe scientifica dello studio legale Taft Stettinius e Hollister di Cincinnati, li ha analizzati e oggi cita nuovi studi. “Siamo debolissimi nella battaglia contro il Coronavirus. Siamo arrivati all’appuntamento contro il più micidiale virus di questo secolo in condizioni di grande fragilità immunologica. Una fragilità globale. E siamo deboli anche a causa dei Pfas. Sono nel nostro sangue”.
Parliamo di sostanze perfluoroalchiliche: impermeabilizzanti che vengono usati per realizzare abbigliamento sportivo, pellicole, prodotti plastici, schiume per estintori, detergenti, fertilizzanti e pentole antiaderenti. Sono ovunque. Utili, se vogliamo, ma fortemente tossici. Se rilasciati nell’ambiente, possono causare cancro, problemi di tiroide, infertilità femminile, gravi danni all’apparato genitale maschile nei bambini e danni al cervello. Inodori, incolori, insapori: gli inquinanti “perfetti”. Bilott è ormai una leggenda delle class action statunitensi e anche del cinema, da quando la sua storia è stata raccontata nel film Cattive Acque, diretto da Todd Haynes. Il suo ruolo è interpretato da Mark Ruffalo, che della pellicola è anche produttore. Autore del libro Exposure, l’avvocato di Cincinnati ha ingaggiato una battaglia giudiziaria contro il colosso industriale DuPont. I Pfas sono noti anche in Italia. In Veneto – fra le province di Vicenza, Verona e Padova – la società Miteni è accusata di aver contaminato una falda grande come il lago di Garda. La Procura di Vicenza ha portato a processo 13 manager che fanno capo alla Miteni, oggi in fallimento. La contaminazione riguarda 350.000 persone, destinate – stando alle proiezioni – a diventare 800.000. E poi c’è tutta la filiera alimentare, perché il Veneto esporta cibo in quantità. I Pfas sono finiti nei terreni, negli acquedotti, nell’acqua destinata all’irrigazione e agli allevamenti. La Regione Veneto ha installato dei filtri a carboni attivi, ma tante famiglie, dopo anni di avvelenamento, non si fidano e non utilizzano più l’acqua del rubinetto. Ora, per la prima volta, l’avvocato Bilott, citando le ricerche del gruppo Ewg, parla del pericoloso intreccio tra Pfas e Covid. “Ci sono analisi scientifiche – spiega – che dimostrano come i Pfas indeboliscono il nostro organismo. Siamo tutti più deboli di fronte ai virus”.
Di Pfas si parla poco. La gente pare molto concentrata sull’emergenza Covid.
Certo, ma pensiamoci un attimo. Io penso che la situazione di
allarme per il Covid-19 farà aumentare la preoccupazione per la
contaminazione da Pfas. Quando la gente parla del virus si riferisce
alla possibilità di esserne contagiata. Invece, per quanto riguarda le
sostanze chimiche di cui parliamo, abbiamo la certezza della loro
presenza. Il Covid-19 ce lo possiamo prendere. I Pfas invece sono già
dentro di noi e queste sostanze incidono sulle nostre difese naturali ai
virus. Il nostro sistema immunitario – che dovrebbe essere
incredibilmente forte nella battaglia contro il Coronavirus e tutti i
virus – è stato reso vulnerabile dai Pfas.
Ora si punta tutto sul vaccino.
E infatti un altro problema, collegato ai Pfas, riguarda
proprio i vaccini: i Pfas riducono l’efficacia dei vaccini, in
particolare nei bambini.
Negli Stati Uniti oggi ci sono limiti alla presenza di molecole di Pfas negli alimenti
No. Abbiamo limiti per l’acqua potabile. Non esiste un limite
nazionale standard. Ci sono delle indicazioni, delle linee guida: non
più di 70 parti per trilione di acqua potabile e quindi i singoli Stati
degli Usa hanno cercato di individuare standard e limiti effettivi
nell’acqua potabile.
Ora la produzione di Pfas è vietata negli Usa?
Purtroppo tecnicamente non è vietata. Le informazioni sulla
pericolosità dei Pfas hanno iniziato a circolare quando siamo andati in
causa nel 2003/2004. Le grandi società dell’industria chimica hanno
accettato di rinunciare ai Pfas, ma sono passate a prodotti correlati,
come il GenX.
Quanto ha pagato finora la DuPont?
È andata a processo nel 2015. Nel 2017 si è arrivati a 3500
cause individuali e la compagnia ha finito per patteggiare (670,7
milioni di dollari), ma non c’è stata alcuna decontaminazione né alcuna
bonifica. L’unica cosa che hanno fatto finora è stato pagare per i
sistemi di filtraggio dell’acqua potabile delle diverse comunità. Lo
Stato del Minnesota ha citato in giudizio la compagnia 3M nel 2008. Il
processo si è chiuso nel 2019 con un risarcimento di 850 milioni. Poi
anche altri Stati hanno intentato cause giudiziarie. La gente ha capito
che i Pfas non venivano usati solo per il teflon delle pentole
antiaderenti e le schiume antincendio. Sono stati usati per quasi tutto.
Sono stati trovati anche vicino agli aeroporti o vicino alle basi
militari. Si trovano in tutto il mondo: in Australia, Nuova Zelanda,
Germania, Giappone e Italia.
Si dice che in Italia, con il caso Miteni, siamo veramente messi peggio rispetto agli Usa, con il caso DuPont. È così?
Sì, penso che abbiamo a che fare con situazioni molto simili.
Parliamo di grandi contaminazioni: nei campi agricoli, nell’acqua e
quindi nel sangue. So che nelle province di Vicenza, Padova e Verona
sono stati fatti dei prelievi. Ho visitato il Veneto e ho incontrato
quelle comunità. Ci sono studi sugli effetti sulla salute in quella
zona. La contaminazione da Pfas riguarda il 99% della popolazione
mondiale ma ovviamente in un’area come quella veneta i livelli sono
molto più alti che altrove.
Quella delle province di Vicenza, Padova e Verona è una zona
molto popolosa ed è strategica per l’agricoltura, per l’allevamento, la
produzione alimentare, il vino e il turismo.
So della preoccupazione per la possibile cattiva pubblicità
derivante dalle inchieste giudiziarie sulla contaminazione da Pfas. È
chiaro che può esserci un impatto in un’area che produce carne, vino,
formaggio o alimenti in generale, ma i cittadini sono molto preoccupati.
E fanno bene ad esserlo. Negli Stati Uniti la maggior parte delle
persone non ha idea di ciò che sta accadendo in Italia. Se n’è parlato
pochissimo.
Ma la decontaminazione è possibile?
Questo è il problema principale in questo momento. Come
possiamo ripulire, se non sappiamo quale sia il livello di sicurezza nel
suolo o se il governo non ci dice qual è il livello di sicurezza nelle
colture? C’è il rischio concreto che non si riesca a rimuovere niente e
intanto le uniche linee guida che abbiamo sono solo quelle che
riguardano l’acqua potabile. C’è un grande dibattito in corso e se le
cose andranno in un certo modo ci sono molte società industriali che
dovranno sostenere costi enormi, ma intanto non si fa niente. In Italia
avete problemi analoghi con un impianto industriale che per tanti anni
ha rilasciato Pfas nell’ambiente. Difficile dire se voi, con le vostre
leggi, potrete ottenere gli stessi risultati che abbiamo ottenuto noi.
Ha qualche suggerimento per chi, come le “Mamme No Pfas”, anche in Italia chiede giustizia?
Credo che occorra un grande sforzo per far parlare della
vicenda italiana. Bisogna farla conoscere al grande pubblico. Anche in
Ohio e in West Virginia i media non avevano raccontato praticamente
nulla di quello che stava succedendo fino al 2016, quando ne ha parlato
il New York Times. E allora la gente ha iniziato a capire e a dire: “Oh!
Ma questo sta succedendo qui da noi?”. I gruppi di cittadinanza attiva
stanno combattendo per la diffusione di notizie sulle diverse
contaminazioni ambientali (darkwaters.participant.com). Spero che si
parli molto del caso italiano.
Cosa pensò quando Wilbur Tennant, un agricoltore, si presentò
nello studio legale associato in cui Lei lavora, chiedendole di fare
causa alla DuPont?
Mi colpì molto quando mi raccontò la sua storia e quando vidi
le immagini dei suoi animali ammalati e poi morti per avvelenamento.
Incise molto il fatto che lui venisse dalle zone di cui è originaria la
famiglia di mia madre. Volevo fare tutto il possibile per aiutare quella
gente. Al caso DuPont ho lavorato per 22 anni. Iniziai ad occuparmene
nell’ottobre del 1998 e continuo ancora oggi. Ora c’è una grossa novità:
la mia squadra sta lavorando ad una class action da parte di tutti gli
Stati della federazione. Non si tratta solo di Pfoa (una molecola di
Pfas, ndr) ma di un gruppo più ampio di Pfas nel sangue dei
cittadini. Chiediamo nuovi test fatti da scienziati indipendenti, così
come avevamo fatto nel caso della contaminazione in Ohio e West
Virginia. In questo caso parliamo di una gamma più ampia di Pfas e in
tutto il Paese.
Lei ha detto che oggi non ci sono leggi che vietano l’uso di queste sostanze.
È così negli Stati Uniti. Attualmente sono in vigore trattati
internazionali e poi c’è la proposta di una messa al bando nell’Unione
Europea. C’è la convenzione di Stoccolma. L’idea è di vietare queste
sostanze a livello internazionale. Molto si sta muovendo più a livello
internazionale che negli Usa.
Cosa le dicono i suoi figli?
Sono cresciuti durante questa battaglia. Il primogenito adesso ha 22 anni. È nato poco dopo l’inizio di tutta questa guerra legale. E anche gli altri due ci sono passati attraverso. Anche mia moglie è avvocato… lei capisce. Spero che anche i miei figli siano stati ispirati. Se un contadino è in grado di alzarsi e urlare la verità e se noi siamo capaci di ascoltarlo, allora cambiare il mondo è possibile.
Andrea Tomasi
24/6/2020 https://www.ilfattoquotidiano.it
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!