Piano di stabilità europeo: nessun effetto

Spero che la Commissione Europea faccia il suo lavoro, cioè ricordi al Governo italiano che la dilatazione di 7 anni delle misure di contenimento di deficit e debito è concessa quando si intendono realizzare delle riforme strutturali e/o investimenti addizionali che aumentano il Pil potenziale, in particolare queste riforme devono essere collegate all’impianto di NGEU[1]. Sebbene il Patto europeo sia irragionevole[2] nella misura in cui chiede alla maggior parte dei Paesi europei di rientrare nei parametri del nuovo Patto di Stabilità Europeo[3], le riforme per implementare un lento e lungo rientro di deficit e debito non hanno nulla a che fare con NGEU. Indiscutibilmente il 2023 e il 2024 sono andati meglio del previsto, il deficit passa dal 4,3% previsto in aprile al 3,8%, mentre il saldo primario è previsto salire al 2,2% del PIL nel 2029, ma come il governo intenda governare l’evoluzione del debito, del deficit e degli investimenti necessari per far crescere il PIL potenziale rimane un mistero.

In generale, come si finanzia il governo? Proviamo a chiarire lo spazio fiscale che il Governo cerca di ricavarsi dall’andamento dei conti pubblici e dalla crescita del PIL intervenuta nel 2022 e 2023. L’indebitamento netto della PA programmatico migliora dal -3,8% del PIL del 2024, al -3,3% nel 2025, al -2,8% del 2026 al -2,6% del 2027, per poi scendere al -1,8% nel 2029; i deficit nominali, invece, sono inferiori a quelli a legislazione vigente, cioè il governo utilizza la differenza tra piano nominale e piano a legislazione vigente per finanziare le cosiddette politiche invariate e/o parte delle nuove misure che il Governo intende adottare. In qualche misura il governo cerca di ritagliarsi uno spazio finanziario/fiscale per adottare i provvedimenti “bandiera”, ma si tratta pur sempre di decimali che la Commissione Europea potrebbe non digerire, in particolare se il PSB (Piano Strutturale di Bilancio) abbraccia 7 anni di governo di finanza pubblica e investimenti legati a NGEU.

Il governo alleggerisce le stime EU e con buone e giuste ragioni, ma un piano di sette anni meriterebbe ben altra consapevolezza. Rispetto all’alleggerimento delle stime fatte dalla Commissione Europea, pur trattandosi di decimali, questi decimali sono lo spazio di politica economica lasciato al governo italiano. Più precisamente, la crescita della spesa primaria rimane più alta di quella delineata dalla Commissione Europea di almeno 0,4 punti, così come la variazione annua del saldo primario che è più contenuta (PSB, pp. 22-24), in particolare fino al 2027. Sono decimali, ma senza questi “decimali” sarebbe impossibile adottare nemmeno la riduzione delle aliquote fiscali.

Il quadro macroeconomico che emerge rimane comunque costretto all’interno di variabili molto strette, tanto più che il quadro macroeconomico a legislazione vigente tende a coincidere con il quadro programmatico. In altri termini, la politica economica del governo, e non solo del governo nazionale, è residuale e/o ininfluente rispetto all’andamento del PIL e delle sue variabili, tanto più che la dinamica della spesa primaria, la vera variabile di controllo della spesa pubblica adottata dalla Commissione Europea, è significativamente più contenuta rispetto a PIL potenziale nominale, cioè è programmata una riduzione della spesa pubblica nel tempo.

Quadro macroeconomico a legislazione vigente e programmatico

Fonte PSB

Obbiettivo di spesa netta nominale

Fonte PSB

Proviamo a indagare le misure di politica economica e fiscale del Governo che si delineano nel PSB. Il Governo conferma e rende strutturale gli effetti del cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente fino a 35 mila euro e l’accorpamento delle aliquote IRPEF su tre scaglioni, sebbene “gli effetti del cuneo fiscale assumeranno una nuova fisionomia al fine di raggiungere il medesimo obiettivo senza ulteriori tensioni sul piano della spesa pluriennale” (PSB, p. VIII). È difficile allo stato attuale valutare questa affermazione; presumibilmente si tratta di un contenimento o ridisegno del taglio del cuneo fiscale che è difficile da contabilizzare.

Ma quanto valgono le misure di struttura che il governo intende proporre al Paese e alla Commissione Europea? La giustizia, l’ambiente imprenditoriale e la pubblica amministrazione dovrebbero permettere una maggiore crescita del PIL dello 0,1% a partire dal 2029; solo gli investimenti del PNRR, implementati in parte o in tutto, permettono una certa crescita (stima del governo). Facendo finta che siano tutti utilizzati, permetterebbero una crescita dell’1,7% a partire dal 2025, per raggiungere il 3,9% del 2031; sottotraccia si intravvede un allungamento del periodo di attuazione del PNRR. Poi abbiamo le misure fiscali su cuneo e fisco. Sebbene la riforma del cuneo potrebbe rientrare tra le riforme da consegnare alla Commissione Europea, dobbiamo anche considerare che il cuneo nazionale ha delle caratteristiche proprie e non comparabile a quello degli altri stati[4]. Ma tutta questa fatica per avere quale risultato di crescita? Le stime del governo sono financo più realiste di quello che si potrebbe immaginare; nemmeno il più risoluto avversario del taglio del cuneo come il sottoscritto avrebbe mai stimato un impatto negativo del -0,2 punti di PIL. I miei calcoli danno valori positivi dello 0,2%, ma poco importa. In effetti, per definizione il moltiplicatore della riduzione delle tasse è una frazione molto più piccola degli investimenti, come del resto si può osservare dall’impatto economico del PNRR sotto indicati.

Stima dell’impatto macroeconomico dei provvedimenti del governo e del PNRR

Fonte: PSB, pp. 77 e 177

La domanda lecita che dobbiamo fare è: perché non utilizzare queste risorse nel solco di NGEU che avrebbero dato una crescita del PIL maggiore? Sulla dinamica del debito è citato tantissime volte l’impatto del bonus fiscale 110. Qualcosa non ha funzionato, ma utilizzarlo per giustificare la crescita del debito, solo per coprire il debito contratto dal governo è insopportabile. La crescita del PIL tra il 2021 e il 2023 è, direi purtroppo per uno strutturalista, legata a questo bonus, e non sono mancate le entrate fiscali. Non hanno chiuso il cerchio, ma evitiamo di utilizzarlo come giustificazione per coprire provvedimenti inefficaci[5]. Come già ricordato, abbiamo dei miglioramenti dei saldi nel 2024, nel 2025 e nel 2026, sebbene il debito cresca ancora in ragione del taglio del cuneo e della riforma fiscale, ma tutte le misure vere sono proiettate oltre il 2027.  Le elezioni nel 2026-27 c’entrano qualcosa?

Ci sarebbero tante riforme di struttura da realizzare nel mercato primario, ma queste non sono nemmeno immaginate. Almeno proviamo a delinearne qualcuna: 1) pensione contributiva di garanzia; 2) riduzione del numero dei contratti nazionali di lavoro e/o determinazione di un contratto di riferimento; 3) salario minimo; 4) industrializzazione della ricerca e sviluppo pubblica via fondo privato-pubblico; 5) aiuti di stato per attività strategiche; 6) agevolazioni fiscali solo per i progetti che implementano la ricerca e sviluppo pubblica; 7) presenza pubblica nei settori strategici legata a NGEU; 8) allargamento della base imponibile; 9) aumento del personale pubblico di almeno 600 mila addetti nell’arco di 5 anni.

Non basta criticare. Il piano impegna tutto il paese e sarà bene avanzare delle proposte.

* * * * *

[1]  A.M. Variato, Maranzano P. e Romano R., 2020, Rotta Next Generation: tra narrazioni ed evidenza empirica, le sfide del possibile orizzonte della politica economica italiana, Moneta e Credito, 67 (262), pp. 169-205.

[2] Guarascio D. e Zezza F., 2024, Nuova austerità alle porte? Un’analisi delle nuove regole fiscali europee, ; Romano R., 2023, L’Europa progetta la sua dissoluzione?, Effimera, https://effimera.org/leuropa-progetta-la-sua-dissoluzione-di-roberto-romano/.

[3] Si chiede agli Stati con un debito superiore al 90% del PIL una riduzione media annua del rapporto pari a 1 punto, che diventa 0,5% per i Paesi con un debito pubblico tra il 60 e il 90% del PIL e, ogni volta che il deficit supera la soglia del 3%, una riduzione del deficit di 0,5 punti di PIL, a cui si deve aggiungere un addizionale percorso di aggiustamento per raggiungere il benchmark dell’1,5% del rapporto deficit/PIL pari a 0,4% e/o dello 0,25% per quattro e sette anni.

[4] Pizzuti F. R, 2019, Rapporto sullo stato sociale, ed. Università La Sapienza.

[5] Lucarelli S., 2022, Note bibliografiche: Sylos Labini S. (2022), La battaglia della Moneta Fiscale, Moneta e Credito, ” l’Istat ha di fatto avuto il compito di valutare la velocità di circolazione dei crediti fiscali in Italia per stimare l’ammontare di quei crediti da imputare immediatamente nel calcolo del deficit di bilancio, l’ammontare di essi destinati a non essere utilizzati e gli eventuali effetti positivi che la stessa circolazione poteva avere sui futuri risultati del bilancio pubblico. I dati diffusi il 1° marzo 2023 dall’Istat hanno sancito una revisione dei deficit per il 2020, 2021 e 2022 (rispettivamente dal 9,5% al 9,7%; dal 7,2% al 9%; dal 5,6% all’8%) dovuta proprio al fatto che i crediti fiscali per cui è concessa la cessione sono stati considerati come payable tax assets, concordando con Eurostat una riclassificazione dei bonus edilizi (Istat, 2023). Non è questa la sede per esprimere un giudizio definitivo su questa decisione difficilmente relegabile a mera questione tecnica che tuttavia sembra preannunciare conseguenze di estremo rilievo sulla percezione che i cittadini avranno circa la bontà dello strumento di politica economica che stiamo discutendo. Le limitazioni alle cessioni dei crediti fiscali, introdotte a più riprese a partire dalla fine del 2021, hanno trasmesso incertezza al settore edilizio e hanno avuto l’effetto di depotenziare gli effetti moltiplicativi della misura rendendo più difficile la monetizzazione dei crediti in questione. Le imprese edili, e quelle coinvolte nelle attività di ristrutturazione promosse dai diversi bonus, si sono trovate a corto di liquidità e in talune circostanze hanno dovuto fermare lavori già avviati, spingendo al ribasso il gettito fiscale. Solo se gli sconti fiscali tornassero ad essere liberamente trasferibili e frazionabili potrebbe esserci un impatto positivo sui conti pubblici.”

Roberto Romano

14/10/2024 https://effimera.org/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *