Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2023-2025, CMSi: “Aprire subito un confronto scientifico”.
Nel 2022 in Italia 11 casi di morbillo e 2 di rosolia; tanto basta per mantenere l’obbligo nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2023-2025, Aprire subito un confronto scientifico.
Dal 1° gennaio al 30 novembre 2022, in Italia, sono stati segnalati 11 casi di morbillo confermati in laboratorio, 1 caso probabile e 3 casi possibili. L’incidenza è pari a 0,3 casi per milione. Oltre la metà dei casi si è verificato in persone tra 15 e 39 anni di età (incidenza 0,51/milione). Sei persone, tutti con età maggiore o uguale a 15 anni, hanno riportato almeno una complicanza. In particolare, si è registrato 1 caso di trombocitopenia, 1 di cherato-congiuntivite, 2 di insufficienza respiratoria con polmonite, 3 casi di stomatite e 3 di diarrea e 3 di epatite/aumento transaminasi. Alcuni casi hanno riportato più di una complicanza.
Nello stesso periodo sono stati segnalati 2 casi confermati di rosolia e 2 casi possibili (incidenza 0,07 per milione). Non sono state riportate complicanze.
La legge 119/2017 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale) all’articolo 1-ter prescrive: “Sulla base della verifica dei dati epidemiologici, delle eventuali reazioni avverse segnalate … e delle coperture vaccinali raggiunte, nonché degli eventuali eventi avversi segnalati, (…) il Ministro della salute (…) può disporre la cessazione dell’obbligatorietà per una o più delle vaccinazioni di cui al comma 1-bis”. Anche la Corte Costituzionale, Sentenza n. 5/2018, in tema di Sanità pubblica, DL 73/2017, ricorda che “la legge di conversione ha introdotto (all’art. 1, comma 1-ter, del d.l. n. 73/2017) il potere del Ministro della salute di disporre la cessazione dell’obbligatorietà per alcune delle vaccinazioni contemplate, in base alla verifica dei dati epidemiologici, delle eventuali reazioni avverse e delle coperture raggiunte.”
La revisione prescritta per legge non è stata fatta, a distanza di oltre 5 anni e mezzo dal varo della legge. I dati epidemiologici forniti dall’Istituto Superiore di Sanità nel Rapporto N° 66 – Dicembre 2022. indicano che l’incidenza delle due malattie imporrebbe un ripensamento sul mantenimento dell’obbligo vaccinale.
Al contrario, invece di ottemperare a quanto disposto dalla normativa, si rilancia, aumentando il numero delle vaccinazioni proposte a bambini e adulti. In data 24 gennaio 2023 il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie ha inviato al Ministero della Salute e dell’Economia e a vari Assessorati copia dell’intesa tra Governo, Regioni e Province autonome del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2023-2025 e relativo Calendario Nazionale Vaccinale. Il documento introduttivo riporta dichiarazioni di intenti condivisibili in generale, ma senza concreta utilità nel dare supporto scientifico su quali vaccini raccomandare o obbligare. Mancano del tutto l’analisi dei risultati finora conseguiti in termini di efficacia e sicurezza, e dati analitici sull’efficacia delle misure proposte. Secondo il PNPV, si dovrebbe accettare la somministrazione di tutti i vaccini (18, oltre a quelli anti-Covid) proposti senza che vengano forniti i dati epidemiologici per ciascuno. Nel Piano viene citato strumentalmente l’articolo 32 della Costituzione solo nella prima parte, sorvolando sulla seconda parte che riguarda l’obbligatorietà vaccinale: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” La vaccinazione è, infatti, un atto medico non esente da rischi e in quanto tale dovrebbe essere un’azione volontaria, espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario. Eppure, la Consulta ha appena ribadito nella Sentenza 14/2023 che: “un trattamento sanitario obbligatorio ex lege è ammissibile alle seguenti condizioni: a) se è diretto non solo a migliorare o preservare la salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri (…)”. Secondo questa logica svanisce qualsiasi equilibrio tra salute collettiva e salute individuale, tra diritto alla salute e libertà di scelta terapeutica, tra diritto alla cura e diritto all’autodeterminazione: la nostra salute individuale deve essere subordinata ad una presenta salute collettiva secondo infondati doveri inderogabili di solidarietà[1]. Partendo da questi presupposti, la CMSi segnala alcune criticità contenute nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2023-2025:
- Nel PNPV si considera che la vaccinazione può essere utile alla comunità tramite un’alta copertura[2], assicurando così la cosiddetta “immunità di gregge” senza precisare di quali vaccini si stia parlando e in base a quali dati epidemiologici. Il documento non distingue quali vaccini possono dare solo protezione individuale, cosa che vale per le vaccinazioni anti-tetanica, anti-difterica, anti-polio IPV, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-haemophilus influenzae tipo B, anti-meningococco B, anti-influenzale e in parte anche per l’antiparotite, che decade rapidamente; e quali vaccini assicurano “protezione comunitaria”. I vaccini sopracitati non hanno mai assicurato “immunità di gregge” e non hanno mai avuto il merito di aver eradicato alcuna malattia. La letteratura medica è concorde sul fatto che la scomparsa della difterite e quella del tetano sono dovute ad altri fattori come il cambiamento di condizioni di vita e misure igieniche. La CMSi ritiene che vadano valutati in modo adeguato costi e benefici di ciascun vaccino e strategia vaccinale, cosa che il PNPV non fa proponendo nuove procedure di vaccinazioni con più iniezioni nella stessa seduta, di cui dovrebbero essere disponibili ampie prove di efficacia e sicurezza.
- La sorveglianza post-marketing dei farmaci e dei vaccini è affidata a un sistema di raccolta passiva delle segnalazioni degli eventi avversi attraverso la Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF), che fa capo ad AIFA. Ad oggi i dati riguardanti la registrazione delle reazioni avverse sono poco credibili dal momento che i numeri delle segnalazioni spontanee sono sottostimate del 90-99%..Un esempio clamoroso della differenza tra farmacovigilanza attiva e passiva in Italia riguarda le vaccinazioni contro Morbillo-Parotite-Rosolia-Varicella (MPRV) ed è stato pubblicato su una rivista indicizzata e con peer-review. L’Osservatorio Epidemiologico della Regione Puglia aveva attuato una sorveglianza attiva degli effetti avversi (AEFI) del vaccino MPRV, rilevando 462 effetti avversi ogni 1000 dosi, l’11% dei quali valutato grave. Iperpiressia grave, sintomi neurologici e malattie gastrointestinali si sono verificati rispettivamente in 38, 20 e 15 casi su 1000. Una proiezione di tali AEFI in una coorte di nascita italiana darebbe decine di migliaia di AEFI gravi. Questi dati sono molto superiori all’incidenza di AEFI gravi segnalata dall’AIFA per gli anni 2017 e 2018, basata essenzialmente sulla farmacovigilanza passiva. In un precedente studio epidemiologico in Puglia con sorveglianza passiva di 8 anni il tasso di segnalazione di AEFI gravi era centinaia di volte inferiore al dato emerso con la vigilanza attiva; per paradosso la differenza per le AEFI severe era ancor maggiore, arrivando quasi a 1000 volte. Ciò si conferma anche negli attuali Rapporti AIFA sulla Sorveglianza dei vaccini anti-Covid-19, che riportano sospette reazioni avverse molte centinaia di volte inferiori alla sorveglianza attiva dei CDC (v-safe) e dei trial registrativi dei vaccini Pfizer e Moderna, di nuovo con differenze vicine alle 1000 volte per le reazioni severe. Per le miocarditi il 13° Rapporto AIFA riporta un’incidenza di 2 per milione, mentre i due esempi al mondo di sorveglianza attiva (effettuati prima e dopo la 2a dose in Thailandia in adolescenti e la troponina dopo 3 a dose in Svizzera in 770 operatori sanitari) hanno documentato mio-/pericarditi subcliniche nel 2,33% e nel 2,8% dei vaccinati. È la prova che la farmacovigilanza passiva è del tutto inadeguata a documentare la reale incidenza di AEFI, anche gravi. Nel PNPV oltre a mancare una seria analisi della sicurezza dei programmi di immunizzazione di massa, mancano programmi di sorveglianza attiva su campioni rappresentativi di popolazione.
I dati forniti dall’ISS testimoniano che non c’è alcuna urgenza, né tanto meno emergenza, la Commissione Medica Scientifica Indipendente (CMSi) chiede pertanto di procedere con la temporanea proroga dell’attuale PNPV e, rispetto a nuovi obiettivi, richiede in via preliminare di:
1) anteporre il punto, ora al penultimo posto, “Completamento del percorso di valutazione previsto sull’obbligatorietà delle vaccinazioni”, come stabilito dalla L. 119/2017, aprendo un dibattito scientifico pubblico aperto anche a contributi scientifici critici su alcune strategie vaccinali in atto, tenuto anche conto della Sentenza 14/2023 della Consulta, che riafferma che un trattamento sanitario obbligatorio per legge deve comunque essere diretto “anche a preservare lo stato di salute degli altri”, il che palesemente non è. per almeno alcuni dei vaccini pediatrici oggi obbligatori.
2) attivare in modo contestuale serie ricerche con contributi pubblici per migliorare le pratiche vaccinali, a partire da programmi strutturati di farmacovigilanza attiva (a breve, ma anche medio-lungo termine, incluso il monitoraggio di possibili fenomeni di rimpiazzo e di interferenza di alcuni agenti patogeni), su campioni rappresentativi di popolazione. La disponibilità di tali ricerche, ineludibili per una corretta valutazione del bilancio tra rischi e benefici attesi, dovrebbe costituire precondizione ad estensioni di programmi vaccinali.
3) escludere, anche ai sensi della L. 119/2017, obblighi di vaccinazione in caso di avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale, nonché di pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche, documentate nei modi stabiliti. I medici, oltre a conoscere gli standard scientifici basati sulle prove che si rendono via via disponibili (e non solo sul “principio di autorità”), dovrebbero essere liberi di consigliare/prescrivere o meno specifiche vaccinazioni, valutando i casi individuali dei propri assistiti, senza indebiti condizionamenti statali o degli ordini professionali
4) rendere disponibili vaccini monovalenti per più oculate scelte da parte del medico curante in relazione a reali necessità della persona assistita.
[1] La Sentenza 7045/2021 della Sez. Terza del Consiglio di Stato considera che l’obbligo vaccinale per il personale sanitario “è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia”. Finora, in questa categoria, erano considerati solo la discutibile difesa della patria, il pagamento delle tasse e il mantenimento dei figli. Mai nessuno si era spinto a considerare la vaccinazione come un dovere inderogabile di solidarietà.
[2] ≥95% per quasi tutti i vaccini pediatrici, gli altri comunque ≥90%; per anziani ≥75% per Pneumococco e Influenza, in questo caso dai 60 anni; ≥50% per Herpes Zoster
27/2/2923 https://www.assis.it/
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