Piemonte, da una estate di fatti disabili a un autunno di iniziative

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Occorre operare per ottenere che le Rsa siano di fatto e a pieno titolo parte del Servizio sanitario e siano pertanto inserite nelle convenzioni tra Servizio sanitario ed enti privati norme per rendere obbligatorie prestazioni sanitarie e socio-sanitarie.

di Andrea Ciattaglia

Csa – Coordinamento sanità e assistenza e della Fondazione promozione sociale

«Autunno caldo». L’espressione, ormai elevata a modo di dire, condensa bene lo stato delle cose in Regione Piemonte sul fronte della residenzialità e della domiciliarità per i malati cronici non autosufficienti. I prossimi mesi saranno decisivi per la scrittura del piano socio-sanitario regionale; le associazioni di difesa dei diritti dei malati, ma anche i Sindacati e i gestori delle strutture accreditate chiedono alla Regione passi concreti di impegno a garantire il diritto alle cure dei malati che hanno perso la loro autonomia a causa delle gravi malattie che li hanno colpiti.

Uno degli ambiti di maggior urgenza è quello dei ricoveri in Rsa, con la richiesta revisione delle delibere sulla residenzialità: per i rappresentanti degli utenti sono provvedimenti che negano il diritto esigibile alla convenzione (il 50% della retta in Rsa, che secondo la legge nazionale è a carico del Servizio sanitario) e vanno radicalmente rivisti; i Sindacati lamentano negative condizioni di lavoro degli operatori – è in corso, per esempio, una vasta contestazione che riguarda il trattamento dei dipendenti della catena Sereni Orizzonti – che una nuova normativa regionale potrebbe in parte arginare; i gestori hanno incassato i bonus della Giunta Cirio – 16 milioni di euro di aumento delle quote sanitarie per gli utenti in convenzione – ma premono per un adeguamento delle tariffe e del sistema di inserimento degli utenti, in sostanza ancora definite dalle delibere del periodo 2012-2013, quando il Piemonte era in Piano di rientro, con i conti sanitari sorvegliati da Roma.

Proprio sulle prestazioni residenziali, ha posto l’accento la Fondazione promozione sociale nelle istanze alla nuova amministrazione regionale, la Giunta Cirio II. «Sui 32.700 posti Rsa oggi attivi, solo 15-16mila sono convenzionati a titolo definitivo con le Asl del Piemonte» dice la Presidente della Fondazione promozione sociale, Maria Grazia Breda. «Questo significa – continua – che per questi posti l’Asl paga il 50% della retta e il restante deve essere coperto dagli utenti e dai Comuni, mentre tutti gli altri posti letto vengono pagati a tariffa piena dai privati, generando situazioni di impoverimento delle famiglie, perché gli oltre 3mila euro della retta intera eccedono quasi sempre le disponibilità del ricoverato, costringendo la famiglia ad erodere pesantemente il patrimonio».

La Fondazione, insieme al Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base ha stilato un cronoprogramma di interventi necessari, che ha sottoposto all’amministrazione regionale nel giorno dell’insediamento del Consiglio regionale «con l’obiettivo di legislatura di abolire completamente le liste di attesa per i malati non autosufficienti».

In ambito residenziale, la prima misura, secondo Breda, deve «prevedere lo stanziamento immediato di risorse finalizzate al riconoscimento della convenzione agli anziani malati cronici non autosufficienti in lista d’attesa: un percorso a tappe forzate che consenta l’inserimento immediato in convenzione di tutti i casi valutati ‘urgenti’ e il riconoscimento della convenzione a chi è in ricovero privato da oltre un anno». Poi, occorre che l’Assessorato alla sanità «preveda un cronogramma perché il rientro si stabilizzi nel primo biennio, con l’avvio delle convenzioni per i punteggi sanitari più alti e poi a scendere verso gli altri». Uno strumento efficace di indirizzo delle attività delle Asl su questi campi di azione sarebbero «gli incentivi ai Direttori Generali dell’Asl e a quelli di Distretto, finalizzati alla garanzia delle prestazioni socio-sanitarie Lea», criterio che oggi non è presente negli indicatori considerati per i premi di risultato.
In termini di risorse economiche, l’importo a regime sarebbe di 500-550 milioni di euro all’anno, il doppio di quanto è stanziato oggi, ma che rappresenterebbe solo il 6% del bilancio sanitario regionale complessivo. A quanti ne fanno «una questione di soldi che mancano», Fondazione promozione sociale e le associazioni del Csa rispondono: «Si tratta di prestazioni Lea e quindi di spese obbligatorie dello Stato, che non possono essere negate per ragioni di bilancio; queste ultime, intervengono legittimamente solo sulla limitazione della spesa accessoria, per prestazioni discrezionali. Non è questo il caso, perché siamo in presenza di diritti fondamentali».

A livello strutturale, le Rsa richiedono profonde ristrutturazioni. Si tratta di realtà con modelli gestionali antiquati, tarate su esigenze di malati meno complessi.

È significativo – in negativo – che le Rsa di oggi siano addirittura meno attrezzate dal punto di vista degli operatori e dei percorsi di cura di quanto non fossero all’inizio della pandemia Covid, che proprio nelle Rsa ha trovato – spesso per mala gestione – un terribile sfogo, con migliaia di vittime.

«In merito alle prestazioni residenziali – hanno scritto Csa e Fondazione alla Giunta Cirio II, insediatasi appena prima della pausa estiva – occorre operare per ottenere che le Rsa siano di fatto e a pieno titolo parte del Servizio sanitario e siano pertanto inserite nelle convenzioni tra Servizio sanitario ed enti privati norme per rendere obbligatorie prestazioni sanitarie e socio-sanitarie adeguate alle esigenze dei malati ricoverati, con la necessaria revisione degli standard del personale».

L’organizzazione interna delle strutture, oggi, «non prevede un direttore sanitario che interviene sulla cura dei pazienti: molto spesso lo fa, ma le delibere regionali di riferimento stabiliscono che il suo ruolo è di gestione del personale e della struttura, non clinico sui malati, che hanno come unico riferimento il medico di medicina generale», spiega Breda. Di qui, e dalle tante segnalazioni dei parenti di malati ricoverati,

La proposta di Fondazione e Csa di modificare l’impostazione delle Rsa, rendendole strutture con una direzione sanitaria vera e un’equipe di medici e operatori coordinati dal direttore. «La ricaduta dei maggiori oneri che ne deriverebbero – spiega Breda – in quanto spesa sanitaria andrà imputata al Servizio sanitario, affinché le rette alberghiere (cioè, la parte che avanza della retta totale) siano sostenibili dall’interessato. Oggi la ripartizione tra Asl e utente è di 50% a testa, domani potrebbe essere 70 a carico dell’Asl e 30 dell’utente, con il riconoscimento del 100% a carico delle Asl nei casi con prevalenti esigenze sanitarie, come riconosciuto da molteplici sentenze della Cassazione».

Infine, il personale. Operatori e loro rappresentanti chiedono da anni all’amministrazione regionale la revisione del «minutaggio», quel sistema di calcolo di “minuti a prestazione per utente” che oggi determina la dotazione minima (alla quale non viene aggiunto personale) delle strutture. «Per la qualità delle cure è necessario – conclude Breda – che non vengano più autorizzate strutture con capienza di 120 o più posti letto e che rimanga una robusta percentuale di gestione pubblica, anche per avere parametri di confronto dell’organizzazione del lavoro e dei costi con le strutture private da accreditare».

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