Pier Paolo e Anita, ottanta anni dopo
Pier Paolo e Anita si erano conosciuti a Roma quando lei aveva solo 17 anni e lui 29. Lui era di Ferrara ma a Roma svolgeva la professione di avvocato. Era socialista e fortemente antifascista. Già nel ’22 si era fatto notare per aver tirato dei volantini antifascisti dal loggione del Teatro Valle. La famiglia di Anita, che si era trasferita a Roma da Venezia, non lo vedeva di buon occhio perché non era ebreo praticante. Nonostante tutto si sposarono. Nel 1938, quando furono approvate le leggi razziali, gli era appena nata una bambina, Sylvia, e Anita era di nuovo incinta. Decisero di fuggire in Inghilterra attraversando l’Europa in treno. Alla frontiera olandese, furono fermati da un soldato, a cui si deve l’esistenza di tutta la loro progenie. Il soldato, di fronte ad una donna incinta e con una bambina piccola, decise di disobbedire agli ordini e di farli passare. Così arrivarono a Londra, dove nacque Peter. Era mio padre.Pier Paolo e Anita i miei nonni.
Mio nonno era un burlone. Tanto tempo dopo, diceva scherzando di dover ringraziare Hitler e Mussolini per averlo costretto a cambiare lavoro, a lasciare la carriera di avvocato che non gli piaceva, e ad approdare alle Nazioni Unite. Ma mio nonno era un burlone e questa fuga fu tutt’altro che facile. Una volta giunti in Inghilterra, lui ripartì impegnato con i servizi segreti inglesi. Anita invece rimase sola, poco più che ventenne, con due bambini da crescere e poche parole di inglese.
Sono passati 80 anni ma il mondo è sempre più pieno di Pier Paoli e Anite. Forse oggi si chiamano Ahmed e Samira, e invece che sul treno, viaggiano su una barca. Scappano allo stesso modo cercando rifugio in qualche paese, e come loro provano a fatica a costruirsi una vita diversa. Pochi hanno la fortuna che ebbero i miei nonni di incontrare qualcuno che disubbidisca agli ordini come quel soldato olandese. Pochi approdano in paesi pronti ad accoglierli.
Sono passati 80 anni ed io sono appena ritornata nel mio paese, quest’Italia dove l’odio imperversa di nuovo. L’odio per il diverso, per il nemico, per tutto ciò che fa paura perché non si conosce. Un paese dove l’odio è diventato l’ingrediente principale della politica. Un paese che Pier Paolo non poteva certo immaginare, se già nel 1941, ancora in piena guerra, scrisse un libro a dieci mani, sotto lo pseudonimo di Pentade, intitolato “L’Italia di domani” e pieno di speranza per il paese. Un libro “scritto da quattro italiani, che sono impegnati attivamente nell’opera di liberazione dell’Italia, che hanno sofferto sotto il fascismo, perché stimavano la libertà più della comodità; che sono ora esuli nella terra che ospitò Mazzini e Garibaldi.”
Tanto delusi da questo paese sarebbero stati i quattro autori italiani (il quinto era un ufficiale inglese) nel veder respingere profughi come loro e chiudere i porti. E ugualmente sarebbero stati delusi dall’Europa, che, invece di accogliere, erge muri; che invece di ospitare, si preoccupa ossessivamente di chiudere le sue frontiere. Sarebbero stati davvero delusi, visto che il libro si chiude così: “Il popolo italiano tenderà spontaneamente e lietamente la sua mano agli altri popoli per la ricostruzione di un’Europa pacificata e associata. Questa Europa che è pure creatura comune, fatta dal genio, dal lavoro, dal sangue e dalle lacrime di tutti i suoi abitanti; quest’Europa oggi così divisa e straziata, eppure così unitaria nel suo genio, nei suoi problemi, nelle sue aspirazioni; quest’Europa che è la nostra seconda patria.”
Laura Fano
8/9/2018 https://comune-info.net
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