Pioniere nella pandemia
Maria Rosaria Capobianchi racconta di aver immaginato che il suo destino sarebbe stato un laboratorio fin da bambina. Quando poi, durante gli studi universitari, si è imbattuta nella storia delle scoperte che hanno segnato il progresso della biologia degli ultimi 80 anni, si è innamorata della genetica e della biologia molecolare, e ha deciso che questa sarebbe stata quella che oggi definisce “la via del suo futuro”.
Originaria di Procida, figlia di “un capitano di macchine, nel rispetto della più radicata tradizione isolana in cui il capo-famiglia fino allo sconvolgimento dei sistemi di trasporto, di prassi era navigante” racconta, ha svolto gli studi superiori e universitari a Napoli, dove si è laureata in Scienze biologiche nel 1976. Sono seguiti 20 anni di carriera nella facoltà di Medicina dell’Università Sapienza di Roma. Poi nel 2000 quella che chiama “la seconda svolta” della sua vita, con il passaggio da ricercatrice a direttrice di Virologia presso l’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani. “Una svolta che ha rappresentato un vero punto di lancio, in quanto nei 20 anni che sono seguiti sono stati raggiunti traguardi importanti quali l’allestimento del primo laboratorio Italiano a livello di biosicurezza 4 e l’allaccio di relazioni internazionali con le istituzioni più prestigiose del mondo nell’impegno nella lotta alle infezioni emergenti” spiega.
Oggi, quello dello Spallanzani “è il più grande laboratorio di virologia italiano, e mette insieme la cultura classica basata sulla coltivazione dei virus e la loro caratterizzazione biologica con la cultura dell’innovazione diagnostica e tecnologica, in cui ha raggiunto traguardi pionieristici quali l’applicazione del sequenziamento massivo di ultima generazione alla ricerca e diagnosi virologica”. Un caso virtuoso, spiega Capobianchi, dovuto anche alle scelte di una “regia istituzionale” che non ha lesinato nel tempo “supporto e iniziative coraggiose”.
Capobianchi coordina proprio allo Spallanzani un team di ricerca composto da circa venti donne d’età compresa tra i 30 e i 67 anni. “Niente di nuovo” commenta “le donne sono state sempre preponderanti nel laboratorio da me diretto. Devo dire che molte di noi hanno potuto fare affidamento su compagni comprensivi e flessibili, che si sono adattati agli orari impossibili dettati dalle esigenze del laboratorio, sostituendo quasi completamente le donne nei tradizionali ruoli familiari”. Un cambiamento culturale indispensabile che ci auspichiamo possa presto estendersi dalle scelte individuali al fare collettivo, soprattutto nei settori delle scienze e delle tecnologie che ancora tendono a privilegiare gli uomini negli avanzamenti di carriera. Fin’ora è servita “tanta tenacia e caparbietà, e una grande voglia di imparare, coraggio di aprire strade nuove, entusiasmo e determinazione nel voler trasmettere agli altri le proprie passioni, pazienza e resilienza contro le ‘forze oscure’ che a volte sembrano coalizzarsi contro. Pensare positivo, in poche parole” ci racconta Capobianchi a proposito della sua di carriera.
“Ogni volta che a livello internazionale viene segnalata un’allerta dovuta all’emergere di un nuovo virus, il team di virologi del laboratorio si mette in moto, allestendo i metodi diagnostici, perfezionandoli sul campo, e avviando gli studi di caratterizzazione molecolare e biologica” spiega Capobianchi. “Questo è quanto accaduto all’inizio del 2020, fin dai primi momenti in cui è stata segnalata la comparsa di una patologia severa dovuta a un nuovo virus, che evocava lo spettro della Sars manifestatasi più di 15 anni fa, e che per le somiglianze genetiche è stato battezzato Sars-Cov-2”.
I primi due casi in Italia sono stati ricoverati proprio allo Spallanzani, e diagnosticati nel laboratorio diretto da Capobianchi. “La diagnosi è stata fatta sulla base del test molecolare che all’epoca era allestito in forma di prototipo non commerciale. Ed è stata fatta in tempi record, il giorno stesso del ricovero dei due coniugi turisti. I campioni biologici, messi subito in coltura, hanno mostrato la presenza di virus infettivo appena 24 ore dopo. Quindi nell’arco di pochissimo tempo il laboratorio ha isolato il virus, ne ha determinato l’intera sequenza genomica, e lo ha messo a disposizione della comunità scientifica internazionale mediante circuiti e banche di ceppi certificati, quando nel mondo intero erano stati isolati appena 4 o 5 ceppi. Da allora il laboratorio ha avviato numerosi filoni di ricerca sul virus, dalla caratterizzazione molecolare a quella biologica. Oltre alla ricerca di base si è impegnato anche nel campo della ricerca di trasferimento, quale l’allestimento di vaccini di ultima generazione e di anticorpi monoclonali umani, e la caratterizzazione di molecole potenzialmente dotate di capacità di contrastare la replicazione virale”.
6/8/2020 http://www.ingenere.it
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