Po in secca e agricoltura in crisi, l’alternativa c’è
Allarme siccità al nord, le coltivazioni sono in pericolo. Con i fiumi in secca e le poche precipitazioni, gli agricoltori chiedono aiuti urgenti per sopravvivere alla stagione più arida degli ultimi 70 anni. La paura è che con l’estate la situazione peggiori e che si debba buttare il raccolto, bruciato e mangiato dalle infestanti: senz’acqua pure pesticidi e fertilizzanti fanno meno effetto. Per i risicoltori il problema è ancora più evidente, perciò chiedono l’apertura delle dighe dell’arco alpino e invocano a gran voce un commissario straordinario. Tutti pensano all’emergenza e a come tamponarla, ma dimenticano di citare vie alternative che guardano al futuro e alla crisi climatica che ormai attanaglia l’intero pianeta. In Piemonte è attivo da qualche anno il primo biodistretto per la produzione di riso biologico al mondo, che utilizza per le sue coltivazioni solo un terzo dell’acqua, senza fertilizzanti e pesticidi, rispettando la biodiversità e favorendo il ritorno di fauna e vegetazione naturale (riforestazione). Siamo a Rovasenda, comune di mille persone in provincia di Vercelli, dove l’agricoltore Giuseppe Goio ha iniziato nel 2015 la transizione verso un sistema di produzione sostenibile e oggi fa parte del gruppo di sette aziende che animano il distretto. In tutto duemila ettari e 12mila quintali di produzione di riso annui.
L’avocado non è la risposta al cambiamento climatico
Goio, quanta acqua serve alle vostre piantagioni di riso?
Neanche la metà di quella convenzionale, perché bagniamo e asciughiamo il campo una volta sola. Chi coltiva nell’altro modo invece allaga, diserba, asciuga per buttare via il diserbo, riallaga per seminare, riasciuga perché se non riesce questo passaggio, la radice muore. C’è un consumo di acqua mostruoso.
Niente diserbanti e pesticidi sui vostri campi?
Assolutamente no. Non usiamo nessun tipo di concime o fitofarmaco, neanche quelli consentiti dall’agricoltura biologica, come la cornunghia, lo zolfo e il rame.
Come avviene la coltivazione?
Serve che ci sia sempre un terreno molto fertile. Per ripristinare gli elementi del terreno che vengono assorbiti di più dal riso, oltre che alla rotazione delle colture, seminiamo alcune piante che fissano azoto, un componente importante per la nutrizione delle radici. Poi cerchiamo di arare il meno possibile così da non liberare l’anidride carbonica che c’è sotto.
Le foreste assorbono davvero l’anidride carbonica?
Dove avete imparato questo metodo?
L’ha scoperto, per prova ed errori, un’azienda della zona, quella di Fulvio Stocchi. Ha sperimentato, ha rischiato e alla fine ha trovato un modo per far germogliare le piante diverso da quello imposto dalle multinazionali.
Cambia qualcosa anche nel vostro lavoro di agricoltori?
Una delle più grandi differenze con l’agricoltura tradizionale è che non sei più l’ingranaggio di un meccanismo grande e anonimo, in cui al contadino sono consegnati semi e diserbanti, ma è sempre l’agronomo a dirgli come lavorare e intervenire. Chi coltiva nel modo tradizionale è ormai un esecutore, deve seguire le indicazioni, non conosce le persone a cui vende il suo prodotto, non è libero di fare nulla. Prima di passare al biologico io avevo persino perso il desiderio di scendere nei campi, adesso ho di nuovo voglia di lavorare la terra.
Da cosa capiamo la differenza tra i vostri campi e gli altri?
Ci sono un po’ di elementi che si possono vedere a occhio nudo: innanzitutto, gli argini. I nostri hanno erba e alberi, che li mantengono saldi e non li fanno franare, gli altri sono brulli, non cresce un filo d’erba. Da noi ritornano anche specie di uccelli che trovano alberi e piante dove stare e ci sono meno insetti infestanti. Ad esempio, il punteruolo d’acqua dell’Asia va nelle risaie sommerse, perché qui non riesce a deporre le uova.
Quanto costa il vostro riso?
Un chilo di biologico lo si vende dai 4 ai 6 euro. Quello chimico al supermercato è circa 2 euro al chilo. Però si deve pensare che da un sacchetto si prendono 12 porzioni. Se raddoppia il prezzo, si spendono 15 centesimi di più a piatto. Ne vale la pena.
Natalie Sclippa
16/6/2022 https://lavialibera.it/
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