POLO NATO A TORINO, TAV: OPERE DI GUERRA E REPRESSIONE DEL DISSENSO

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TORINO CAPITALE DELLA GUERRA OVVERO LA GUERRA COME SISTEMA SOCIALE MONDIALE

Torino capitale della guerra? È una domanda legittima alla luce di come sta procedendo il “polo bellico” e, cioè, l’insieme di aziende, istituzioni, enti diversi, stampa mainstream che, sotto la copertura morale del double use, sviluppano il business degli armamenti militari per gli USA e per la NATO. Ma cos’è il double use? Si indica così una produzione o una filiera produttiva finalizzata verso merci o servizi (ad es.: software e know-how) che trovano impiego tanto nell’ambito civile quanto in quello militare. Nella pratica, dire doppio uso evoca in sé una sorta di equiparazione quantitativa: fatturato per il civile uguale a 100, fatturato per il militare pari a 100. Non è così: il double use può tranquillamente esistere, nella penna di giornalisti dal pensiero unico, in un fatturato di € 1,00 per il civile e di € 1.000.000.000,00 per il militare; sempre double use è! Inoltre, l’ambiguità della definizione è doppiamente falsificante poiché mai si chiarisce se con double use si voglia indicare un singolo prodotto o l’intera azienda. Questa mancata precisazione apre la possibilità, del tutto concreta, in cui coesistano produzioni diverse, dove una produzione è volta al civile, l’altra al militare. In questo caso i singoli prodotti sono distintamente diversi fra loro e quello militare è del tutto differente da quello civile. Anche in questo secondo caso fatturare € 1,00 per il civile e € 1.000.000.000,00 per il militare giustifica la definizione di double use ma è chiaro, in entrambi i casi, che si stia lavorando per il militare e, cioè, per la guerra.
Non è una truffa ma certo siamo in presenza di una chiara distorsione informativa, vera e propria perversione mediatica a cui il pensiero unico si sottomette di buon grado, vedi RAI, Mediaset, La Stampa, Repubblica, Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, et similia.

La domanda circa Torino capitale della guerra ritorna quando guardiamo a qualcosa di apparentemente diverso da quanto sopra, ai dintorni esterni dei confini municipali torinesi come, ad esempio, la questione “No Tav”. In Val Susa abbiamo una militarizzazione della valle inedita nel panorama italiano dal 1945 in atto dal 2003, del tutto estranea alla nostra Costituzione con stravolgimento della vita quotidiana di tutti gli abitanti. Militarizzazione che ha comportato l’inserimento della violenza come elemento quotidiano, tanto allo stato potenziale quanto in quello materiale negli innumerevoli casi di repressione ossessiva, violenta, spesso del tutto gratuita, inaudita. Alla violenza dei corpi armati (tutti: Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Esercito, manca la Marina) si è da subito aggiunta la violenza della Magistratura con in testa la Procura della Repubblica di Torino specializzatasi in assolvimento delle divise da ogni reato come dalle denunce di: violenza gratuita, fermi e arresti illegali, repressione brutale delle manifestazioni, distruzione di tende e di ogni materiale dei manifestanti, locali pubblici, violenza sessuale, violenza privata, distruzione dell’habitat naturale, e altre piacevolezze varie. Non paga, la Procura si è anche specializzata nella creazione di castelli accusatori frutto di fantasie patologiche verso ogni forma di opposizione alla costruzione della tratta ferroviaria detta TAV (nome improprio di una TAG vaneggiata), costruzioni accusatorie sempre e prontamente accolte dal Tribunale penale di Torino, a prescindere da prove, documentazioni, testimonianze circoscritte. Insomma: la legge al di sopra della Legge (1).

La militarizzazione della Val Susa si sta dimostrando per quello che da sempre abbiamo sostenuto essere: il laboratorio dove sperimentare la più vasta e generale militarizzazione dello Stato. Parliamo di un progetto complesso dove la fisicità dei reparti schierati con elmetto, manganello, scudo, pistola, fucili, lacrimogeni, elicotteri, mezzi blindati, etc. sono solo la parte più visibile e l’insieme è completato dalla militarizzazione della magistratura, dalla produzione militare, dal progetto di un corridoio ferroviario double use, pronto alla movimentazione veloce di prodotti e truppe militari NATO o al servizio di essa, della strumentalizzazione in chiave militare dei media, della cultura del pensiero unico e, infine, dell’opinione pubblica.

In questo disegno trova spazio l’impianto accusatorio contro il movimento NO TAV disegnato dai PM torinesi come diviso in due: da una parte i valligiani veri e propri, dall’altra i militanti/attivisti della sinistra di classe, in particolare contro i CSO Askatasuna, Gabrio, Pablo Neruda. L’obiettivo della magistratura torinese è chiaro: dipingere, agli occhi dei media e dell’opinione pubblica, la sinistra militante come criminale (poco importa se definita negli atti come terrorista, eversiva o semplicemente associazione a delinquere) e manipolatrice delle semplici menti dei valligiani, comunque complici di un disegno criminoso volto ad aggredire lo Stato. In sintesi: secondo la magistratura è il movimento NO TAV ad essere in sé criminoso poiché si schiera contro gli interessi privati delle ditte appaltatrici e contro l’organizzazione statale-militare a difesa degli interessi privati rappresentati dalle Ditte appaltatrici.

La funzione di laboratorio della questione NO TAV ha, però, un altro valore: la dimostrazione della capacità repressiva della macchina statale contro ogni forma di potenziale lotta organizzata. Capacità repressiva all’occorrenza in grado di dispiegare prontamente un tasso di violenza senza limite apparente e con la copertura della legittimità istituzionale garantita dalla stessa magistratura al servizio della volontà di governo. Letto sotto questa lente, la querelle sull’indipendenza dei magistrati acquista una colorazione ben diversa da come viene presentata dai media ossequiosi. Altrettanto, diviene più chiara la necessità di tutelare le forze dell’ordine nel corso del servizio, a prescindere dalla liceità dei comportamenti assunti. Detto più chiaramente: se dovesse capitare un altro Carlo Giuliani, vorrà solo dire che se l’è cercato provocando le forze dell’ordine che, a loro volta, nient’altro hanno fatto che difendersi per garantire l’ordine pubblico. Tutti avvisati. Un ordine pubblico mortifero che puzza di obbedienza cieca lontano un miglio.

L’attacco del Tribunale di Torino alla sinistra di classe ha alle spalle una storia lunga e corposa che ha già erogato in più occasioni molti decenni di carcere. In sé, a parte la gravità politica, non costituirebbe una novità. Il dato nuovo è la sostituzione (che viene venduta come derubricazione (quindi, apparentemente, di minore gravità) del capo d’accusa da “organizzazione con finalità di terrorismo” ad “associazione a delinquere”. Il CSO Askatasuna e altri non tramerebbero più per rovesciare lo Stato (associazione eversiva e/o terroristica) ma, più prosaicamente, si assocerebbero per compiere atti criminosi diversi. In questo nuovo quadro accusatorio, decisamente più agevole per la magistratura accusatrice e di conseguenza, per la magistratura giudicante, trova il ddl Piantedosi come arma finale in un combinato disposto micidiale. Da qui la prontezza a infliggere anni e decenni a chiunque compia un atto che possa essere giudicato soggettivamente dai rappresentanti dell’ordine come ostile, dall’atteggiamento scazzato del ragazzino cui vengono chiesti i documenti per l’identificazione e qualsiasi altro gesto possa essere interpretato come “ostile”, compresa la resistenza pacifica. Ergo: muovere un dito contro la TAV è reato, punibile in modo esemplare. Il saggio L. Ferrajoli (2) esprime bene con argomentazione seria e puntuale la preoccupazione per una più accentuata deriva autoritaria. Pensiamo, tuttavia, che questo approccio analitico, per quanto fondato, non sia sufficiente alla luce dell’evoluzione del quadro politico nazionale e, ancor più di quello internazionale. Il salto di qualità della repressione implica il passaggio da una società civile a una società sotto tutela militare, il tutto senza neppure aver bisogno di imporre giunte militari sudamericane: i politici assumono le istanze dei militari e le fanno proprie. La crescita delle destre, in Italia come in Europa e negli USA, avviene nel crollo delle percentuali di partecipazione al voto, con imponenti investimenti elettorali, con l’asservimento passivo dei media mainstream (vessilliferi del pensiero unico) a seguito dell’esito dello scontro inter-capitalistico tra grandi capitali, dove ha avuto il sopravvento il capitale delle forniture militari (military use e double use in un’unità per nulla strana, visto che gli azionisti sono gli stessi). Il business militare si è rivelato più importante per dimensioni e tasso di crescita di altri settori d’affari ed è divenuto il core di investimenti crescenti dalle dimensioni oramai inaudite. Il nuovo equilibrio tra capitali necessita però di un ordine sociale nuovo, ordine che sia funzionale agli scenari indispensabili del capitale militare. Un ordine sociale che garantisca da qualsiasi conflitto sociale disturbante. Scenari che necessitano di condizioni di guerra in essere, con la doppia funzione di creare domanda di armamenti e di ricatto sociale per la quota di società non immediatamente coinvolta negli scenari di guerra. All’interno di questa dinamica si sviluppa un altro scontro: gli USA contro l’Europa. La potenza industriale europea è, per gli americani, un fattore di freno economico, un intralcio al loro sviluppo.

La guerra con l’Europa direttamente partecipe costituisce così un quadro economico-politico ideale: messa in crisi economica del complesso europeo a causa del peso di costruire o acquistare armamenti a seguito degli stessi limiti economici che l’Europa si era data: il rispetto dei deficit di bilancio. Non a caso ora gli Stati Uniti impongono da un lato l’innalzamento al 5% del PIL della spesa militare dei paesi europei e dall’altro impongono nuovi dazi contro le merci europee. Maggiori oneri e minori guadagni: il collasso economico dell’Europa è dietro la porta. Si noti che in tutto questo gli USA non devono rispondere di alcun limite nel rapporto PLI/debito e quindi liberi di stampare bond di Stato ad libidum che trovano immediata collocazione gradita sui mercati finanziari. In altri temini, l’imponente debito americano è garantito da noi.

Al di là delle condizioni di salute mentale e della miseria morale e/o professionale dei soggetti che più si espongono in prima persona in questo teatrino di enfasi per la guerra (vedi Musk, Trump, Von der Leyen, Meloni, Macron, Scholz, Milei, Starmer, Tusk fra gli altri) è interessante notare come i più grandi gruppi industriali americani ed europei dedicati al business militare siano controllati da soggetti molto meno conosciuti al grande pubblico dei teatranti da prima pagina sopra citati. Soggetti finanziari di dimensioni enormi, ognuno di essi in grado di condizionare le politiche europee. I medesimi soggetti sono presenti nella maggior parte dell’azionariato delle industrie belliche americane ed europee e operano in singolare sintonia fra loro al fine di trarre il massimo profitto a breve dalle loro partecipazioni.

Il grande Capitale raccoglie oggi i frutti di una lunga, faticosa ristrutturazione tutt’ora in corso che ha portato a un altissimo livello di concentrazione dei capitali e alla sconfitta storica della lotta di classe in tutto l’Occidente, raggiunta la pace sociale vuole massimizzare i profitti, a qualsiasi costo e la guerra è oggi lo strumento più efficace a tal fine. La concentrazione di capitali non nasconde tuttavia la guerra economica tra capitali che ha per posta il mercato mondiale, questa guerra continua tutt’ora e rappresenta il terreno di cultura di prossime guerre militari nonché della prosecuzione di quelle in corso(3).
La pace sociale raggiunta è solo un momento di equilibrio precario e, come ogni risultato di ogni contrapposizione dialettica (nel nostro caso: lo scontro Capitale-lavoro) è soggetto a mutamenti se uno dei fattori acquista maggiore forza o è in grado di cambiare le condizioni reali nel rapporto. Proprio per questo la repressione è fondamentale: occorre impedire in tutti i modi che la componente Lavoro possa ricostituirsi quale fattore in grado di battersi. Restrizione progressiva e continua dei diritti sociali, compressione dei salari, diffusione della cultura del pensiero unico, marginalizzazione della componente sindacale, aumento della disoccupazione e precarizzazione di ogni forma del lavoro sono gli strumenti finalizzati alla perpetuazione dello statu quo.

Umilmente ne traiamo che, per battersi contro la guerra, il primo obiettivo che dobbiamo porci è la ricostruzione del conflitto di classe, a partire dal lavoro. Senza ricostruzione del conflitto sociale contro il Capitale ogni speranza di sconfiggere la guerra è vana, puro vaneggiamento.

Note:

1): cfr. https://www.notav.info/post/archiviato-il-film-completo-online/

e https://www.blog-lavoroesalute.org/comunicato-dei-difensori-no-tav-su-ingerenze-illegittime-nel-processo-sovrano/

2): cfr. https://volerelaluna.it/commenti/2025/01/28/askatasuna-no-tav-e-le-nuove-frontiere-della-repressione/

3): cfr. Emiliano Brancaccio, La guerra capitalista, ed. Mimesis 2022.

Redazione

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