Polveri criminali
«Chiedilo alla polvere», parafrasando il titolo dell’opera scritta nel 1939 dallo scrittore americano John Fante, sembra oggi suggerire l’incipit de Le cose innominabili, il romanzo noir di Girolamo De Michele uscito di recente per Rizzoli. Polveri «dai nomi familiari quasi domestici come ferro, alluminio o manganese, evocativi come selenio tallio o vanadio; misteriosi come diossina o berillio; difficili da scrivere come benzopirene o benzoantracene; o dalle sigle sbrigative come IPA e PCB». Polveri che entrano ormai da decenni nel sangue e nei polmoni degli operai della “Grande Fabbrica”, e negli organi vitali degli abitanti di Taranto e della sua provincia. Polveri che cadono sulle aiuole dove le ordinanze delle amministrazioni comunali vietano ai bambini di giocare, nel quartiere Tamburi dove le scuole elementari chiudono per inquinamento. Lì, le polveri sottili hanno persino cambiato il colore delle lapidi del cimitero, e nemmeno i morti sono al sicuro, a Taranto, Girolamo De Michele «ambienta un poliziesco dalle mille voci, una commedia umana in cui l’indagine si frantuma in un infinito gioco di specchi e la scoperta della verità non coincide col fare giustizia», un romanzo la cui trama si gioca tutta nel rapporto tra il dire il vero al potere e la finzione del noir.
È un viaggio in un tempo immaginato che è lungo 30 anni, si presume: tra personaggi veri e verosimili, storie che appaiono a tratti reali, e altre, invece, potenzialmente inventate. Il disastro ambientale tarantino rimane sullo sfondo, ciò che emergono sono le figure: su tutte quella di Emma Battaglia, professoressa di liceo che «Taranto ce l’ha nel sangue: come patologia forse causata dalla polvere del grande Siderurgico, e che il suo male, l’ha chiamato la Bestia». Emma osserva gli equilibri criminali e le relazioni di potere che si sfaldano ai piedi dell’ex Ilva; diviene testimone informata dei fatti che hanno precipitato Taranto in una sanguinosa guerra di mafia. Trovandosi a ricordare tradimenti amorosi e di amicizie, di patti sindacali e politici di un passato che ritorna sotto le spoglie dei personaggi di sempre – dei gattopardi che hanno cambiato pelle ed età – Emma appare nel romanzo come l’io narrante quasi inconsapevole di quelle stanze di compensazione dove abitano collusioni “verosimili” tra pezzi di chiesa, questura, malavita e potere di impresa. Luoghi di interessi che a Taranto più che altrove in Italia hanno “inquinato” la vita pubblica. Lo specchio d’Italia, come è stata definita qualche anno fa.
Nel Meridione che «racconta della vergogna di un paese intero, dove il profitto vale più della stessa vita umana, tra politici, sindacalisti e questurini corrotti», Emma Battaglia riferisce delle ferite di una città che è continuamente colpita dall’operato di un blocco granitico, politico, militare, imprenditoriale e sociale, rappresentativo di interessi e affari spesso inconfessabili, tutti commessi a danno del “Comune”, della collettività. Del sistema Taranto, appunto, città che da circa trent’anni è un laboratorio dei crimini commessi dai colletti bianchi. E della “sua” classe dirigente dei record. Dunque, perfettamente calato in questo contesto, lo scrittore Girolamo De Michele, attraverso il registro del noir riesce a fare, con audacia narrativa e coraggio militante, quel che fece nel 2015, attraverso la letteratura no-fiction e l’opera Fumo sulla Città, Alessandro Leogrande. Provare: «in una città densa di simboli, a scioglierli, quei simboli, per meglio comprenderli, per evitare che confondano anziché spiegare. Bisogna iniziare a scavare attraverso gli strati che si sono sovrapposti nella sua storia recente». Così suggeriva l’autore scomparso prematuramente due anni fa.
Oggi, ne Le cose innominabili che danno il titolo al romanzo scritto da Girolamo De Michele, Taranto viene immaginata così: come un luogo in continua transizione dove su tutto aleggia lo spettro dell’intreccio tra politica, economia industriale, malavita, ma anche caratterizzato da una barriera, e però frammentata, di resistenze di cittadini e lavoratori che non vogliono morire a norma di legge. Nel romanzo trovano posto, infatti, anche il rumore dei corpi di tali resistenze in carne ed ossa, che, come eroi tragici della democrazia, in una città che è alla periferia geopolitica del mondo globalizzato, hanno trovato il coraggio di dire il vero e di lottare. A denti stretti, per dirlo con il titolo di un’altra opera sulla tragedia tarantina che è uscita negli scorsi giorni. Ilva. A denti stretti, il film-documentario del regista e giornalista Stefano Maria Bianchi, che, insieme al romanzo di Girolamo De Michele, la redazione di Dinamopress presenterà il prossimo 21 novembre all’interno degli spazi di Esc atelier, in via dei Volsci, a Roma.
“Le cose innominabili” sono quelle più strettamente legate al passato prossimo della città. Alla fine del sistema delle partecipazioni statali con la conseguente privatizzazione dell’Italsider, all’inizio e alla fine di una guerra di mala tra decine di “famiglie” tutto agli inizi degli anni Novanta, all’implosione dell’intero sistema politico prima e dopo le inchieste giudiziarie per il disastro ambientale, fino allo sfruttamento cieco del lavoro in nome del mito dello sviluppo e al ricatto occupazionale che ancora oggi perdura. Con solidi radici in quel contesto storico a cui non concede attenuanti, l’autore, insegnante e scrittore che vive da anni a Ferrara, immagina “Un futuro per Taranto” a partire dal titolo di un convegno in cui è riunita la «crema dell’economia locale e nazionale», impegnata a spartirsi ciò che resta della grande mammella siderurgica. Nel romanzo il futuro è già scritto, quello che accadrà nei prossimi giorni in una partita di portata storica, invece, nessuno lo sa, è di là a venire. Solo le polveri lo sanno.
Gaetano De Monte
12/11/2019 www.dinamopress.it
Le immagini sono di Pierfrancesco Lafratta
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