Le
prime dichiarazioni del presidente del consiglio incaricato che si propone “di essere l’avvocato difensore del popolo italiano” lasciano chiaramente presagire quale sarà il vettore che segnerà le scelte legislative e amministrative della maggioranza dei d
ue partiti populisti usciti vincenti dalle ultime elezioni politiche.
“Popolo italiano” che, anche a causa dell’infausto stop della
legge sulla cittadinanza, favorito dalle tattiche parlamentari scelte del Partito democratico nella scorsa legislatura, sarà sempre più connotato dall’appartenenza per nazionalità dei genitori e non dalla cittadinanza per nascita o di residenza. Un viatico per prassi amministrative e
movimenti d’opinione che si caratterizzano giorno dopo giorno per
una crescente pulsione discriminatoria,
se non apertamente razzista, che ha trovato sanzione formale nel cosiddetto
“contratto di governo”.
Una espressione, quella usata da Conte all’uscita dallo studio di Mattarella, che nella sostanza riafferma
“il primato degli italiani” vessillo elettorale di Salvini, e che lascia presagire una larga maggioranza in parlamento, quando sui provvedimenti contrari ai migranti ed ai diritti dei richiedenti asilo si aggiungerà il voto delle destre di Berlusconi e della Meloni, rimaste tagliate fuori nella formazione del nuovo governo.
Nella prospettiva della riforma del diritto di asilo europeo,
che si vorrebbe fare passare con Regolamenti vincolanti, che prendano posto delle attuali direttive che assegnano troppa discrezionalità ai legislatori nazionali, si potrebbe però consumare un primo scontro tra partiti populisti dell’Europa centrale, da sempre contrari a qualsiasi forma di
redistribuzione (relocation) verso nord e i partiti populisti italiani, che chiedono maggiori possibilità di transito, verso altri paesi europei, dei migranti soccorsi nelle acque del Mediterraneo (dal momento che ormai gli sbarchi veri e propri sono, di fatto, ridotti al minimo).
Il vicolo cieco nel quale si trova la proposta di modifica del Regolamento Dublino e lo scarto tra le posizioni del Parlamento europeo e quelle del Consiglio e della Commissione Ue lasciano presagire un ennesimo accordo al ribasso che ben difficilmente soddisferà le richieste dei paesi più esposti come Grecia e Italia.
Su due questioni, particolarmente delicate perché legate a un cardine delle costituzioni democratiche,
l’habeas corpus (art. 13 della Costituzione), i nuovi governanti, “difensori del popolo italiano”,
tenteranno di partire come un rullo compressore, forti di un consenso parlamentare interno, già annunciato, assai più ampio della maggioranza che esprimerà ministri e presidente del consiglio. Sono due punti chiaramente indicati nel
Contratto di governo, il prezzo imposto da Salvini per dare via libera alla formazione di un governo affidato alla guida di un premier indicato dal movimento Cinque Stelle. Un prezzo che andrà adun rapido incasso elettorale in favore della Lega, mentre
ci vorranno anni prima che gli italiani vedano i benefici promessi dai pentastellati sul piano del lavoro, delle pensioni e dei diritti sociali (se mai arriveranno).
La seconda decisione, di portata prevalentemente propagandistica, che il nuovo governo potrebbe assumere nei primi giorni del suo mandato, sarà certamente costituita da una
riorganizzazione dei voli di rimpatrio, anche quelli finanziati da Frontex, attualmente quasi bloccati, dopo i ricorsi alle Corti internazionali e ai giudici nazionali per gli
abusi riscontrati in diverse operazioni di allontanamento forzato, oltre che per la scarsa “collaborazione” dei paesi di origine. Sotto questo profilo l’Unione europea continuerà a fornire risorse che non saranno sufficienti neppure per una minima parte delle 600.000 persone che le destre, nei loro manifesti elettorali, volevano rimpatriare. Per il resto,
il costo di questi rimpatri, in termini di conflitto, oltre che di oneri economici, ricadrà tutto su quel “popolo italiano” che oggi si vuole assumere come soggetto al quale garantire una tutela prioritaria. Ci vorrebbero decine di miliardi di euro per finanziare i centri di detenzione, i voli di rimpatrio, anche in versione “congiunta” Frontex, ed i paesi che dovrebbero accettare gli accordi di riammissione.
Vedremo nei fatti chi pagherà davvero il costo maggiore di queste politiche e quanto benessere o maggiore sicurezza ricaverà il “popolo italiano” da una diffusa conflittualità con i migranti. Perché il conflitto non si limiterà soltanto ai migranti irregolari, ma riguarderà anche i milioni di immigrati e asilanti regolarmente residenti in Italia da anni, comunque sottoposti a una
situazione di precarietà e di discriminazione, che può produrre ogni giorno il passaggio in una condizione di irregolarità.
E dalla irregolarità al carcere il passo sarà sempre più breve.
Si registrerà invece una
linea di continuità con la politica e le prassi imposte dall’ex ministro Minniti e poi dai vertici della Marina Militare e della Guardia costiera nelle attività di ricerca e salvataggio in mare (SAR), che
si tenterà ad affidare alla sedicente Guardia costiera libica anche in acque internazionali.Quando ormai dovrebbe essere a tutti evidente
che la Libia, o quello che ne rimane, non offre “place of safety” (porti sicuri di sbarco). Non esiste una zona SAR libica operativa e riconosciuta dall’IMO. E manca un coordinamento centrale (MRCC) libico, di fatto il coordinamento delle operazioni di
intercettazione in alto mare, anche con uso delle armi, affidato ai libici, è operato dai comandi della Marina militare e della Guardia costiera italiana.
Lo hanno accertato i giudici dei diversi tribunali che in Sicilia si sono occupati dei procedimenti penali contro le ONG. Ma gli italiani, gli stessi che hanno creduto alle promesse elettorali dei partiti di governo, si faranno certo convincere del contrario. E già partita la campagna propagandistica per dimostrare un calo dei rischi che corrono i migranti, bloccati o abbandonati in acque internazionali, e affidati alla
Guardia costiera di Tripoli , strenuamente difesa dall’ambasciatore italiano, e
alle milizie di Zawia. Sembra che delle
torture inflitte ai migranti in Libia, anche a
quelli trattenuti nei centri governativi, non importi nulla a nessuno.
Presto il nuovo governo italiano potrebbe essere chiamato a difendersi davanti la Corte Europea dei diritti dell’Uomo per gravi violazioni della CEDU commesse dal governo Gentiloni-Minniti.
La campagna di opinione che, a partire dallo scorso anno, ha avuto diversi risvolti giudiziari, contro quelle navi armate da Organizzazioni umanitarie, che sono state impropriamente definite come “taxi del mare”, deve ancora produrre i suoi effetti più devastanti, di certo ha segnato un punto di svolta.
Salvini pensa ancora che sarebbe meglio affondare le navi delle Ong?. Di Maio continuerà a sostenere gli accordi con il governo di Tripoli stipulati da Gentiloni e Minniti con Serraj? Al calo degli arrivi, anche quest’anno, corrisponde un forte aumento, in percentuale, delle persone che perdono la vita in mare.
I libici dimostrano in modo evidente di non sapere gestire una propria zona Sar in acque internazionali.Vanno solo a caccia delle imbarcazioni cariche dei migranti che sono state segnalate loro dalle navi delle missioni europee.
Gli attacchi contro le Ong proseguiranno, tutti i giorni, con scelte politiche, militari e amministrative che frapporranno ogni tipo di ostacolo al corretto adempimento dei doveri di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali. Vedremo quando i tribunali cominceranno ad occuparsi davvero dei casi sempre più frequenti di
omissioni di soccorso in alto mare. Sarebbe tempo che qualcuno cominci a sanzionare anche
l’omissione delle agenzie europee nel sostegno tempestivo alle operazioni di ricerca e soccorso in mare e le violazioni commesse dale stesse agenzie nelle operazioni di rimpatrio forzato.
Il
“diritto penale del nemico” non si applicherà solo ai migranti irregolari. Gli attacchi nei confronti dei migranti tutti, e dei
difensori dei diritti umani, saranno solo il
prodromo per aggressioni sempre più violente nei confronti di ogni forma di dissenso sociale e di aggregazione politica o abitativa realmente alternativa. Per quanto questi attacchi possano risultare in contrasto con i valori fondanti della nostra democrazia costituzionale e con le Carte dei diritti sancite a livello internazionale, potrà verificarsi che i giudici non possano, o non vogliano, esercitare un effettivo controllo di legalità, anche sul piano del pieno rispetto del diritto costituzionale. Non sappiamo neppure che ruolo di vigilanza potrà esercitare la presidenza della Repubblica, uscita ridimensionata da questa lunga fase di trattativa per la formazione del governo. Quali limiti a provvedimenti legislativi e misure amministrative che potrebbero diventare un’autentica valanga eversiva, un passo irreversibile verso una
democrazia autoritaria nelle mani degli interpreti più scaltri dei populismi di diverso segno? I loro nomi, le loro facce, i loro programmi li vediamo ormai a reti unificate.
Dalle organizzazioni civiche e dalle formazioni politiche che già esistono e sono diffuse in tutte le regioni italiane, anche in quelle governate dalla Lega, occorre passare alla costruzione di soggetti nuovi, di una
identità popolare resistente contro ogni forma di sfruttamento e di discriminazione, di una scorta civica dei migranti e delle persone più deboli, e malgrado tutto resistenti. Un nuovo percorso politico, culturale e comunicativo che non può essere segnato da protagonismi o da tentativi egemonici. Occorre una riaggregazione sociale sui territori
in grado di difendere i diritti e le libertà sotto attacco, ma anche capace di proporre, e praticare con
nuove forme di partecipazione e comunicazione, un governo locale delle
autonomie e
osservatori permanenti sulle attività delle forze di polizia, edin genere degli apparati amministrativi, in modo da garantire il principio di legalità,
i diritti fondamentali delle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità, e i valori costituzionali della solidarietà e della democrazia.
Fulvio Vassallo Paleologo
Avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Palermo. È componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell’Università di Palermo
Questo articolo è già stato pubblicato sul blog di Adif
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