Porto di Genova. La rabbia in piazza blocca la logistica della guerra

Foto e testo di Alessandra Mincone

È il 25 giugno, al nord Italia le continue piogge tropicali vanno in direzione opposta all’estate. Il SiCobas ha proclamato lo sciopero nazionale nel settore della logistica, e il porto di Genova è l’approdo dei sindacati e del Calp, il Collettivo autonomo lavoratori portuali, per opporsi al genocidio in Palestina, alla logistica delle armi e ai recenti pacchetti sicurezza del governo in carica.

Dalle sei del mattino ad arrivare al primo varco non ci sono solo i lavoratori dei comitati di base. Militanti dell’area antagonista provenienti da più regioni d’Italia colorano con fumogeni le prime ore dell’alba. In testa, anche stavolta i Giovani Palestinesi in diaspora e i collettivi studenteschi che negli ultimi mesi hanno organizzato le accampate nelle università per sciogliere gli accordi università-Israele.

Si inizia a bloccare l’ingresso Etiopia, almeno trecento persone presidiano il varco impedendo l’accesso ai container. Qualche ora più tardi, ci sono i numeri per dividere le forze sul varco San Benigno, alla cui sinistra si trova l’ingresso dei traghetti, varco Albertazzi. Uno striscione lungo una dozzina di metri recita: “La guerra comincia qui, basta traffico di armi in porto”.

Intorno alle dieci Genova è paralizzata. In prima fila i container impediti a salpare sulle navi Maersk verso le frontiere del massacro in Palestina. Le previsioni finanziarie del secondo trimestre 2024 che riguardano il colosso danese sono in miglioramento. Anche se la compagnia prevede una maggiore congestione dei porti e in particolare proprio in Asia e in Medio Oriente, è in crescita l’aumento dei noli delle spedizioni marittime containerizzate all’indomani della crisi nel Mar Rosso. È per questo che dal 14 giugno i giovani palestinesi hanno lanciato la campagna internazionale contro il colosso del traporto marittimo, colpevole di aver guadagnato solo di recente almeno trecento milioni di dollari trasportando componenti belliche ai produttori di armi statunitensi e italiani.

Intorno alle dodici, mentre i tre varchi sono monitorati dagli attivisti, altre decine di manifestanti raggiungono il concentramento a due passi da via Balleydier. All’incirca in trecento si incamminano verso il centro cittadino; dai lavoratori a volto scoperto ai gruppi anarchici in tenuta anonima, si scandisce all’unisono “Intifada, fino in Occidente”.

A uno svincolo che porterebbe al quarto cancello del porto di Genova, il varco di Ponente, sono fermi un paio di blindati della polizia. Il corteo si dirige alla loro destra, prendendo a sorpresa la salita verso il casello autostradale e percorrendo la rampa Guido Rossa. Dopo aver dimostrato la determinazione del corteo e sventolato bandiere palestinesi di fronte ai tir bloccati sul senso di marcia opposto, il corteo riprende verso via Cornigliano, rallentando gli autisti nel quartiere. Un furgone con a bordo un uomo e una donna, svoltando da una parallela a tutta velocità, rischia di investire dei manifestanti per poi sfrecciare a tutto gas con il lasciapassare del cordone di uomini della Digos che osservano dalla coda il corteo. Dopo qualche minuto si arriva a via Giacomo Puccini, davanti i cancelli del Polo di competenza nazionale per la digitalizzazione industriale della Leonardo Spa. La sede è stata colpita dal lancio di bombe carta e sanzioni alle numerose telecamere di sorveglianza. Nel testo firmato dall’assemblea “Sabotiamo la guerra”, è denunciata “la collaborazione dell’azienda con la Rete Ferrovie Italiane nell’accordo di mobilità militare per il traporto di materiale su rete ferroviaria, con l’utilizzo di infrastrutture dual-use, cioè i binari e gli impianti del normale traffico passeggeri e traffico merci”. Trasporto che sarà gestito da Leonardo grazie all’avanzamento tecnico dell’intelligenza artificiale e il suo supercomputer Da Vinci 2 (con sede operativa nel polo genovese).

A poco meno di un’ora dall’inizio del corteo, i manifestanti ritornano ai varchi nel porto di Genova, rimasti presidiati tutto il tempo. Ci si scambia bottiglie d’acqua e panini, in molti iniziano a raggiungere gli autobus concludendo la giornata di lotta. I genovesi resistono qualche ora in più davanti ai cancelli, fino alle cinque del pomeriggio, con una nuova consapevolezza: anche un solo minuto di più può rallentare l’apparato logistico della guerra, che muove le merci, le armi, le bombe, e non gli aiuti umanitari, verso la Striscia di Gaza(alessandra mincone)

26/6/2024 https://www.monitor

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