POSSONO BLOCCARE LE DELEGAZIONI, MA NON FERMERANNO LA PRIMAVERA
Quella che segue è un’intervista a Federico Venturini, ricercatore dell’Università di Udine e membro della Delegazione Internazionale di Pace a İmrali, fermato all’aeroporto di Erbil (Iraq) e rimandato in Italia.
Ci racconti innanzitutto cos’è questa Delegazione internazionale per la pace e la libertà? Da chi è composta e quali sono i suoi obiettivi?
Siamo una delegazione di 150 persone provenienti da tutta Europa andate in Kurdistan con un solo obiettivo: pace e libertà. Politici, accademici, attivisti per i diritti umani, sindacalisti, giornalisti, femministe ed ecologisti di oltre dieci paesi, volevamo farci direttamente un’idea della situazione e attivarci per porre fine alla guerra e alla distruzione in corso, contribuendo al dialogo tra i diversi attori politici curdi.
Il Governo Regionale del Kurdistan vi ha impedito di svolgere la conferenza stampa che avevate programmato davanti alla sede delle Nazioni Unite di Erbil, schierando forze armate speciali fuori dall’hotel dove si trovava la delegazione e impedendole di uscire. Altre persone facenti parte della delegazione, in tutto ventisette, sono state bloccate dalle autorità aeroportuali tedesche a Dusseldorf ed è stato loro consegnato un divieto di espatrio di trenta giorni. Infine altre trenta persone sono state fermate all’aeroporto di Erbil in Iraq e respinte dal paese… A te in particolare cosa è successo?
Io sono stato bloccato in aeroporto a Erbil. Sono partito da Udine venerdì mattina per arrivare all’aeroporto di Malpensa. Primo scalo a Istanbul ed infine sono arrivato all’aeroporto di Erbil nelle prime ore di sabato mattina. Prima del controllo passaporti sono stato condotto in un ufficio, al pari di tutti i non iracheni. Io sono stato interrogato per ultimo. Purtroppo mi è stato detto che ho un “bad profile” e mi è stato impedito di uscire dall’aeroporto. Sono stato condotto presso un gate abbandonato e lì ho trovato altri attivisti nelle mie condizioni, 3 sloveni che si trovavano bloccati lì da 48 ore e due tedeschi, uno dei quali parlamentare di Die Linke che è stato lasciato libero di raggiungere la delegazione a Erbil la mattina successiva. Mi sono state offerte due possibilità: o rimanere lì, nel gate abbandonato, fino al mio rientro ufficiale previsto il 19 giugno o essere subito rimpatriato. Io al momento ho tergiversato, sperando in un intervento esterno.
La mattina successiva ho parlato con il direttore dell’aeroporto ma non c’è stato nulla da fare. È venuto anche il console italiano ma, al di là di un generico sostegno legale, non ha preso una posizione politica, in definitiva schierandosi con il governo dell’amministrazione autonoma del Kurdistan a guida della famiglia Barzani. Col passare delle ore i blocchi sono aumentati, specialmente con attivisti e attiviste provenienti dalla Germania, e siamo diventati quasi una trentina di persone. Abbiamo iniziato a fare una riunione interna e ad organizzarci, abbiamo girato dei video e mandato dei messaggi verso l’esterno. A quel punto il controllo su di noi si è fatto più stringente: ci è stato impedito di accedere ad altre parti dell’aeroporto, come ad esempio il bar, e siamo stati sorvegliat* a vista da 3-4 poliziotti in borghese.
Alla fine sono salito su un volo di rientro domenica mattina presto ed arrivato a Malpensa. Da lì un lungo viaggio in treno per rientrare domenica sera a casa a Udine. Un lungo viaggio…
Tutte le persone bloccate negli aeroporti sono state rilasciate e hanno fatto rientro nei paesi di partenza.
La conferenza si è comunque tenuta all’hotel giusto? Com’è proseguita la giornata? Ho letto di proteste davanti all’hotel e di balli nella hall..
Lunedì si è tenuta comunque la conferenza stampa. Inizialmente doveva essere fatta davanti agli uffici ONU a Erbil ma la polizia lo ha vietato. Così come è stata vietata la possibilità di fare la conferenza fuori l’hotel da un ampio schieramento di poliziotti in tenuta antisommossa. La conferenza alla fine si è tenuta all’interno dell’albergo e poi ci sono stati vari balli tradizionali curdi, segno di resistenza.
Qual era il messaggio della conferenza stampa?
L’obiettivo della conferenza stampa era mandare un messaggio di pace a tutte le parti coinvolte nel conflitto perché bisogna trovare una soluzione politica ed è fondamentale restare uniti contro la minaccia della Turchia. Per queste ragioni chiediamo che:
1. tutti coloro che volevano unirsi alla delegazione e sono stati respinti, arrestati o deportati in uno degli aeroporti dovevano essere liberati e avere il permesso di unirsi al resto della delegazione;
2. tutti gli attori politici curdi tornino a dialogare tra loro;
3. tutte le organizzazioni umanitarie internazionali e le istituzioni politiche sostengano una soluzione pacifica;
4. l’esercito dello stato turco si ritiri immediatamente da tutta la regione.
A questo link è possibile leggere il testo integrale del comunicato: https://retejin.org/dichiarazione-della-delegazione-per-la-pace-e-la-liberta-in-kurdistan/
Perché avete scelto di andare in delegazione proprio nel Kurdistan iracheno? Puoi dirci in pochissime parole cosa sta succedendo in Kurdistan negli ultimi mesi e in particolare com’è la situazione nel Kurdistan iracheno?
La situazione in Medio Oriente è piuttosto complicata. Mentre la popolazione curda esiste (forte di 30-50 milioni di abitanti), formalmente il Kurdistan non esiste.
I territori dove abita questa popolazione sono occupati da Turchia, Iran, Siria e Iraq. Mentre nei primi due paesi i curdi sono duramente repressi, negli altri due sono riusciti a ritagliarsi degli spazi di autonomia. In Iraq, dalla fine della prima guerra del Golfo negli anni ‘90, i curdi hanno sviluppato la Regione autonoma del Kurdistan, formalmente riconosciuta dal governo centrale di Baghdad nel 2005. In Siria invece le milizie curde hanno liberato vari territori dopo la primavera araba del 2011 e la resistenza all’invasione dell’ISIS, dando vita all’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est. Mentre la Regione autonoma del Kurdistan ha abbracciato una politica capitalista basata sul petrolio, l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est segue il confederalismo democratico. Sia nel nord dell’Iraq che nel sud-est della Turchia ci sono basi della guerriglia del Partito dei Lavoratori del Kurdistan – PKK, anch’esso ispirato dal confederalismo democratico.
Nell’aprile di quest’anno la Turchia ha iniziato delle nuove operazioni militari per eliminare la presenza di guerriglieri del PKK lungo il suo confine. Inoltre, sta bombardando i villaggi sul confine al fine di spopolare la zona e creare una zona cuscinetto sotto il suo controllo.
Questi attacchi avvengono nel silenzio dei mezzi d’informazione internazionali. Non possiamo dimenticare che la Turchia ha il secondo esercito nella NATO, ha il potere di gestire il flusso dei migranti lungo la rotta balcanica e rappresenta un importante mercato per le industrie belliche europee.
Come è possibile che una delegazione che lavora per la pace e il riconoscimento del popolo curdo sia stata fermata proprio nella Regione autonoma del Kurdistan?
L’aeroporto internazionale di Erbil è formalmente gestito da forze irachene tuttavia è l’amministrazione curda che prende le decisioni. Sembra quasi paradossale che la delegazione sia ostacolata da curdi quando l’obiettivo è proprio supportare la causa curda. Purtroppo, come accennato prima, la situazione in Medio Oriente è molto complicata… L’amministrazione della Regione autonoma del Kurdistan è saldamente in mano al clan della famiglia Barzani ed è allineata con la politica della Turchia. Per questo è accondiscendente verso la Turchia per i suoi attacchi in territorio iracheno in chiave anti-PKK. Questo appoggio si è spinto addirittura fino all’autorizzazione dell’affitto formale di territorio iracheno alle truppe turche. Appare chiaro che la delegazione non era benvenuta dall’amministrazione curda (magari imbeccata dai servizi turchi) ma non ci aspettavamo una repressione così violenta. Questa reazione dà il metro della ramificazione del potere della Turchia e della gravità della situazione: ci troviamo sull’orlo di una guerra intra-curda.
Su tutto ciò è possibile leggere l’interessante analisi di Davide Grasso uscita su Micromega il 15 giugno (https://www.micromega.net/fin-dove-si-spinge-linfluenza-di-erdogan/ ).
Fai anche parte della Delegazione Internazionale di Pace a İmrali e recentemente, con Thomas Jeffrey Milley, hai curato il libro La vostra libertà e la mia. Abdullah Öcalan e la questione curda nella Turchia di Erdoğan. Ci aggiorni sulla situazione di Öcalan che ricordiamo è detenuto da 22 anni e si trova in totale isolamento nel carcere di massima sicurezza dell’isola turca di İmrali?
Abdullah Öcalan, fondatore e leader del PKK ed imprigionato nell’isola di İmralı dal 1999, è la figura che ha portato ad una profonda innovazione ideologica nel movimento di liberazione curda ed è il leader riconosciuto da parte della popolazione curda, specialmente in Bakur (regione curda in Turchia) e in Rojava (regione curda in Siria). Purtroppo da anni vive in un regime di quasi totale isolamento imposto dallo stato turco e non può nemmeno ricevere i propri avvocati. La sua liberazione è indispensabile, oltre che per riconoscere i diritti umani fondamentali, per ottenere una pace duratura nel Medio Oriente. Siamo consci che la Turchia non può annientare il PKK così come questo non può vincere militarmente, l’unica via è la costruzione di un tavolo per la pace a cui Öcalan, in quanto leader riconosciuto dalla popolazione curda, deve poter partecipare da uomo libero.
All’inizio del 2021 è stata lanciata una campagna a livello internazionale dal nome Il momento è arrivato: Libertà per Öcalan! (https://www.change.org/p/parlamento-europeo-il-momento-è-arrivato-libertà-per-ocalan) che attraverso una raccolta firme, la consegna della cittadinanza onoraria in diverse città a Öcalan, eventi pubblici di informazione e manifestazioni vuole rilanciare la richiesta della libertà del leader curdo.
Sei membro anche del Transnational Institute of Social Ecology (TRISE) che lavora sull’ecologia sociale ovvero sulla necessità di unire questione ecologia e questione sociale. Questo pensiero e gli scritti del suo fondatore, Murray Bookchin, hanno avuto negli ultimi anni una forte influenza sulla resistenza curda e le loro forme sociali di organizzazione. Ci vuoi dire qualcosa su questo?
Murray Bookchin è stato di fondamentale importanza. Influenzando le idee di Abdullah Öcalan, ha contribuito a trasformare il movimento di liberazione curdo che, da gruppo di ispirazione marxista-leninista, è giunto a sviluppare un pensiero totalmente originale: il confederalismo democratico a cui accennavo prima parlando dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est.
Questa visione politica rigetta il concetto di stato-nazione e ne propone il superamento all’interno dei confini attuali. Il confederalismo democratico si basa su tre pilastri: democrazia partecipativa, ruolo attivo della donna e nuova relazione con la natura. Anche grazie all’influenza dell’ecologia sociale, a partire dagli anni 2000 il movimento di liberazione curdo ha abbandonato progressivamente la progettualità di creare un nuovo stato autonomo, ritenuto causa del perpetuarsi di forme di dominazione, e ha iniziato a chiedere una maggiore autonomia all’interno dei confini attuali fino all’abolizione futura dello stato. Inoltre sempre più viene sottolineato il ruolo cruciale della donna (la prima colonia nella storia) per la liberazione dell’intera società e l’importanza di cercare una nuova relazione con la natura, basata non sullo sfruttamento delle risorse ma sulla coesistenza e lo sviluppo reciproco. Aggiungo infine che spesso si guarda alle influenze sulla resistenza curda ma forse è giunta l’ora di capire cosa hanno loro da insegnarci.
Sono d’accordo. Per concludere, puoi dirci secondo te cosa possiamo imparare dalla resistenza curda? E perché ci riguarda?
Il popolo curdo è l’esempio di un popolo oppresso che lotta per la propria libertà. Nonostante tutti i tradimenti che hanno dovuto subire negli anni, loro sono ancora lì, in prima linea e pronti a resistere, che sia sulle montagne o nelle zone urbane, nelle prigioni, nelle scelte individuali o nelle famiglie. Questo esempio di resilienza è di grande ispirazione, specialmente se viene associato allo sviluppo di un nuovo paradigma politico quale il confederalismo democratico.
Il nostro compito ora è duplice. Da una parte difendere queste esperienze rivoluzionarie. Dall’altra dobbiamo costruire delle culture di resistenza che possano declinare pratiche e visioni rivoluzionarie nel nostro contesto. Le popolazioni curde, al pari di quelle zapatiste, sono state in grado di modificare la loro progettualità, adattandola a specifici contesti geografici e storici. Anche noi, come partecipanti a movimenti che vengono dal basso a sinistra, dobbiamo affrontare questo compito e accettare che le risposte che abbiamo sviluppato fino ad oggi sono insufficienti. Insufficienti sia ad affrontare la realtà sia incapaci di dialogare con gran parte della società. Ecco, forse dobbiamo ascoltare a cuore aperto di più il popolo curdo, andare oltre a rigidi dogmi e prendere il coraggio di costruire la nostra rivoluzione.
Selva Varengo
21/6/2021 https://www.intersezionale.com
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