Povertà e politica. Lettera a Lavoro e salute
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In politica, secondo voi, i poveri non hanno mai delle colpe
Buongiorno direttore di Lavoro e Salute,
leggo sui social da un anno e spesso il vostro giornale e non vi scrivo per farvi doverosi complimenti per il vostro impegno giornalistico, se pubblicate da quarant’anni è chiaro che godete di una buona considerazione da parte di tanti, non credo che avreste avuto tanta vita se non avreste avuto riconoscimenti, mi associo. Però, c’è sempre un però anche nelle cose positive, ho avuto la netta percezione nei numeri che ho letto un vizio redazionale, ma anche di collaboratori, che vi porta a dare sempre una giustficazione, certamente ben spiegata, a quelli che definite “gli ultimi”, siamo essi lavoratori o di altre persone che non godono di condizioni accettabili, più di tutti giustificate i giovani.
Ritengo queste giustificazioni un vizio ideologico dei comunisti che non vi consente di guardare con la dovuta obiettività che servirebbe anche alle persone che non stanno bene in questa società. Ah, chiarisco che sono un progressita di sinistra e con nessun pregiudizio o preclusione nei vostri confronti, e non sono del PD anche se spesso l’ho dovuto votare; anzi vi ho seguito con attenzione quando vi siete collocati nel campo del centrosinistra con Prodi.
Perchè dico che “gli ultimi” non sono sempre giustificabili?
Perchè ognuno di noi ha un cervello proprio che, se il soggetto vuole, non è condizionabile da chicchessia. Vi parrà forse che la mia considerazione sia dettata da superficialità o snobismo di erudito sui fatti che coinvolgono anche me che non posso annoverarmi tra “gli ultimi” anche per merito di un reddito almeno soddisfacente? Sbagliereste e vi spiego il perchè.
Non siamo tutti uguali nell’approccio ai fatti della vita e io, come credente, mi regalo sempre una speranza di revisione positiva dei mei sbagli, sia nelle ralazioni interpersonali che nelle scelte politiche, resto strettamente al motivo che ho premesso, che come cittadino libero ho fatto.
Mi colloco, non solo per reddito ma anche per merito di stabili, e soddisfacenti, frequentazioni sociali, di quel ampio nucleo che una volta veniva definito come “borghesia illuminata” con la quale avevate negli anni 70 del secolo scorso un rapporto politico proficuo, io ero tra quelli che consideravata dalla parte della trasformazione. Però questa collocazione sociale non mi fa guardare gli altri senza le mie prerogative come dei diversi da compatire con affetto incondizionato. Delle condizioni le pongo a chi, secondo la mia radicale opinione, potrebbe contribuire a un vivere personale e comunitario migliore.
Mi riferisco agli operai, (quelli sicuri del posto e quelli insicuri) da voi santificati, che accettano ogni tipo di sopraffazione fino a mettersi in pericolo la propria vita sul lavoro.
Mi riferisco ai giovani, da voi coccolati come infanti, che si rendono conto dell’assenza di prospettive di vita lavorativa e relazionale, ad esempio la rinuncia ad avere famiglia e figli.
Mi riferisco a chi lavora negli ospedali (i vostri referenti principali?) che invece di pretendere qualità del lavoro fuggono abbagliati dal miraggio dell’eden privatista.
Mi riferisco a tanti altri ma chiudo per non rubare altro spazio. Grazie di una eventuale attenzione.
Valerio Francescato Roma
Risposta alla lettera
Le colpe dei poveri?
Intanto grazie delle considerazioni che ci ha offerto e alle quali le dedichiamo una breve, comunque esauriente, interlocuzione causa l’invio nei giorni di chiusura del numero con relativo poco spazio.
Come premessa determinativa notiamo un’assenza totale di una “visione di classe” nella lettura dei temi accennati. Come vede il nostro “vizio” è terminale e non vogliamo consapevolmente guarire, anzi, crediamo che chi non ha questa patologia non possa indirizzare bene il suo sguardo analitico sulle differenze sociali che affliggono “gli ultimi”. Non è una colpa se, però, non si colpevolizza chi non ha più strumenti per rivalersi e, per lo meno, ridurre le tragiche diseguaglianze prodotte da un sistema predatorio di benessere e delle
stesse vite, ad esempio i morti quotidiani sul lavoro, i morti per inquinamento, depressione e suicidi.
Non Le pare che, semmai, le colpe siano da addebitare anche sulla storicamente pregevole “borghesia illuminata” che oggi, eccetto i pochi intellettuali schierati, resta in silenzio, quando in parte non complice, di fronte alle miserabili e criminogine politiche dei governi negli ultimi decenni?
Certamente Lei come progressita ha ben chiaro le cause ma delega ai diretti perseguitati, operai, precari, giovani e operatori sanitari, la risposta non considerando che anche sono sottoposti all’informazione a senso unico.
Non crede che, per parlare di politica mainstream, di aver inconsapevolmente contribuito – ad esempio con il fideismo del dannoso “voto utile” – ad affossare fino ad oggi la rinascita, anche come forza elettorale, di una sinistra, non drogata dal liberismo economico?
Non legga la risposta come acredine nei suoi confronti e del “nucleo” al quale afferisce socialmente. La nostra attenzione è sempre alta per le alleanze sociali con gli strati più sensibili alla rinascita della speranza di cambiamento.
Franco Cilenti
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