Prato: morire di lavoro, una vecchia storia e un Patto Scellerato fra Stato e imprese
UN PATTO SCELLERATO TRA GOVERNI E
IMPRESE è la causa principale del «LAVORO CHE UCCIDE»? Forse con
un’unica eccezione, quando Antonio Pizzinato (ex segretario nazionale
della Cgil) è stato sottosegretario nel ministero del lavoro durante il
primo (breve, dal 1996 al 1988) governo Prodi e tentò di cambiare
qualcosa per moltiplicare le ispezioni nelle aziende.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Antonio_Pizzinato
LAVORO NERO. «Nessuno può affermare seriamente di non sapere cosa
succede a Prato – ha commentato Emilio Miceli, segretario generale della
Filctem-Cgil – nessuno tra le istituzioni, la politica, le stesse forze
sociali. Prato rappresenta probabilmente la più grande concentrazione
di lavoro nero, ai limite della brutalità e della schiavitù, che esiste
in Europa».
«Omai Prato – prosegue il segretario – viene vissuta con normalità, accettata, legittimata. Chi dovrebbe vigilare non lo ha mai fatto, chi sapeva non ha mai parlato; e all’ombra di queste rimozioni si è creato un mostro difficilmente governabile. Verrebbe da dire: o lo stato di diritto, o Prato».
«Questi fatti sono la dimostrazione che servono più controlli ispettivi. Bisogna rafforzare gli organici di Inps e Ispettorato del lavoro. Siamo davanti a un vero disastro. La disperazione dei lavoratori li porta a subire soprusi inaccettabili. Non è certo questo il modo giusto per uscire dalla crisi».
La frase citata sopra è un commento che condivido sulla tragedie che accadono sul lavoro, ma aggiungo che – a mio parere – da molti decenni in Italia è stato fatto (dalla vecchia DC, ma continua anche oggi) un “Patto Scellerato” tra Stato e imprese: «In Parlamento possiamo anche approvare leggi avanzate che garantiscono i diritti sul lavoro – negli ultimi 15 anni è stato fatto il contrario, ma prima era così – ma poi teniamo gli organici degli Ispettorati del Lavoro, dell’Inps, delle Asl, ecc. in condizioni ridicole… in modo che il rischio di un controllo sia praticamente quasi inesistente».
Questo “Patto Scellerato” ha garantito la violazione di tante leggi sul lavoro (anche quelle sullo straordinario: a Prato in passato in quasi tutte le Rifinizioni l’orario “normale” di lavoro era 12 ore al giorno x 6 giorni: 72 ore la settimana) ed ha fatto dilagare il lavoro sommerso e illegale: per decenni ne hanno approffittato tanti imprenditori italiani e poi – da circa un decennio – sono stati gli imprenditori cinesi o di altre nazionalità ad approfittarne fino al punto di ridurre il lavoro in schiavitù.
Certo «i controlli ispettivi hanno un costo» ma non è il costo ad impedire di moltiplicarli, perchè di solito le risorse finanziarie che recupera lo Stato (colpendo l’evasione fiscale) e l”Inps (recuperando l’evasione contributiva) sono assai di più del costo: quindi, se non viene fatta la scelta di moltiplicare gli Ispettori del Lavoro e dell’Inps è solo perché – come in passato – non c’è la volontà politica per fare questa scelta.
Giuliano Ciampolini
TRAGEDIA SUL LAVORO, PRATO SI FERMA. VENERDÌ 7 MAGGIO 2021 SCIOPERO GENERALE DI 4 ORE E PRESIDIO. CGIL CISL UIL: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3939009346152631&id=217152931671643
La mia opinione: QUANDO IL SINDACATO E’ DEBOLE si indebolisce anche la SICUREZZA (della salute e della vita) degli OPERAI e delle OPERAIE nelle AZIENDE: semplicemente perché sono più ricattabili, o comunque hanno meno possibilità di contrattare i cambiamenti necessari per garantire la sicurezza sul lavoro.
Nelle aziende con meno di 20 addetti (circa 950 mila aziende con circa 5 milioni di addetti) i sindacati sono sempre stati debolissimi e quasi inesistenti: cioè con pochissimi iscritti e rarissimi delegati sindacali, quindi senza nessuna possibilità di condizionare l’azienda nelle scelte, comprese quelle che riguardano la sicurezza sul lavoro: quindi, per queste aziende, non saprei cosa aggiungere alle sagge riflessioni di CHIARA SARACENO (sotto il link).
Nelle aziende che hanno da 20 a 49 addetti (circa 50 mila con circa 1 milione e mezzo di dipendenti) i sindacati (in particolare la CGIL negli ultimi 30 anni del secolo passato) sono riusciti ad avere OPERAI iscritti e delegati sindacali che gli hanno consentito di avere un minimo di possibilità di contrattare le condizioni di lavoro; per quanto sono a conoscenza, in questa fascia di aziende, negli ultimi 20 anni è quasi scomparsa ogni possibilità di contrattazione aziendale delle condizioni di lavoro.
Nelle aziende con più di 50 dipendenti (circa 24.500 con circa 5 milioni e mezzo di dipendenti) i sindacati sono più radicati, con un significativo numero di persone iscritte e con i conseguenti delegati sindacali: ma anche in questa fascia di aziende, nel corso degli ultimi 20 anni, c’è stato un notevole indebolimento della “forza di contrattazione” dei sindacati, come conseguenza delle crisi economiche settoriali o aziendali, delle leggi che hanno consentito una crescente precarizzazione del lavoro e anche come conseguenza di leggi che hanno consentito di decentrare una parte delle attività produttive persino a piccole e medie aziende che hanno potuto inserirsi legalmente nei cicli produttivi all’interno di aziende di medie e grandi dimensioni.
Quindi, per raccontare una crisi di rappresentanza e di “forza di contrattazione” dei sindacati sulla condizione operaia, bisogna avere consapevolezza delle colossali trasformazioni che ci sono state negli ultimi 30 anni nelle attività produttive del settore industriale: al “nanismo d’impresa” (che non è sostanzialmente cambiato) si è aggiunto lo spezzatino delle eccellenze industriali, il progressivo calo degli investimenti, i licenziamenti e le ristrutturazioni o delocalizzazioni che hanno ridotto gli occupati. Quindi, nella crisi di “rappresentanza sindacale efficace” c’è un elemento “oggettivo” e un elemento di responsabilità “soggettiva” derivante dalle difficoltà (reali e grandi) di adeguarsi a scenari che sono notevolmente mutati.
Sulle “responsabilità soggettive” della CGIL che (a differenza di altri sindacati), in passato ha avuto una “forza di contrattazione” in una parte di aziende nella fascia da 20 a 50 addetti (ed in particolare in quelle con oltre 50 addetti) nel 2000 ho fatto una mia riflessione che aggiungo di seguito:
VI RACCONTO UNA STORIA OPERAIA (lettera pubblicata sul quotidiano Liberazione il 6 agosto 2000)
Ad Agliana, i primi di marzo, nell’azienda Ansa Feltri, è morto Andrea Benvenuti, un giovane di 20 anni; i sindacati tessili proclamarono uno sciopero per l’8 marzo, in coincidenza con la riunione straordinaria e aperta del Consiglio Comunale, dedicata al tema della sicurezza sul lavoro. La partecipazione operaia fu assai scarsa. Il 28 luglio a Prato, nella Filatura Atlantide, Mauro Benocci, un operaio di 61 anni è morto in prossimità del periodo feriale e vicino al momento in cui poteva godersi una meritata pensione; nei giorni precedenti, in altre aziende pratesi, un operaio ha perso un braccio e un altro una mano. I sindacati tessili proclamano 2 ore di sciopero per il 3 agosto.
Nell’azienda in cui lavoro, il padrone mi chiede:
“tu fai sciopero ?”
“Sì, perché è giusto chiedere che sia garantita la sicurezza nei luoghi di lavoro”.
A questo punto, arriva gridata una serie di insulti: “Sei rimasto al
sistema comunista, sei nato con la falce e martello nella testa”. “Ti
manderei a Cuba….”.
Cerco la distanza… “Se mi paga la vacanza a Cuba, ci vado volentieri”.
Gli insulti spaziano…. “Te, non ti farei neanche votare”.
Il lupo ha parlato e io non mi sento tanto bene nelle vesti
dell’agnello; mi limito a dire “Lei sì che è una persona davvero
democratica”.
E lui insiste: “Hai scritto sulla
bacheca che in questa azienda mancano i cerotti e il disinfettante nella
cassetta del pronto soccorso”.
Quando io rispondo: “L’ho scritto perché è la verità”, sferra il colpo
finale “Se mancano i cerotti è perché voi li avete rubati!” e urlando
ripete più volte: “Se fate sciopero vi pago il 15 agosto”.
Rispondo “Io, sciopero lo faccio comunque e i suoi soldi non gli danno il diritto di offendermi”.
Prima di questa intimidazione, ad un delegato sindacale era stato negato di affiggere i volantini dello sciopero in bacheca e poi sono spariti tre volte anche dagli spogliatoi. Quando sono arrivati in azienda due sindacalisti della CGIL, il padrone ha cambiato comportamento e si è dichiarato conciliante: addirittura è stato affisso il volantino nella bacheca.
Risultato: giovedì 3 agosto, nelle
ultime due ore di ogni turno, scioperiamo soltanto in 4, gli altri
rimangono al lavoro e alcuni sostituiscono anche chi ha scioperato. Che
tristezza! Alcuni non hanno scioperato per menefreghismo, altri perché
hanno deciso di stare dalla parte del padrone; penso che la maggior
parte non abbiano partecipato perché si sono sentiti intimoriti.
Temo che in tante altre fabbriche ci sia la stessa situazione in
occasione di ogni sciopero, anche se è difficile verificarlo perché
quello precedente nell’area tessile pratese c’è stato 4 anni fa e quindi
lo sciopero è ormai una vera e propria rarità.
Mauro, un operaio tessile militante
della CGIL e dei DS, ha scritto: «Bisogna sconfiggere la solitudine di
chi lavora. Questo è il punto centrale della condizione operaia». Sono
d’accordo! A Prato la CGIL è una grandissima organizzazione, con molte
migliaia di iscritti, con una grande sede in Piazza Mercatale e tante
sedi decentrate, con decine di dirigenti e impiegati a tempo pieno.
Eppure anche nel territorio pratese, come in tante altre parti d’Italia,
nel corso degli ultimi anni si è determinato un crescente distacco tra
organizzazioni sindacali e il sentire comune di tanti lavoratori, i più
anziani dei quali ricordano altri periodi ed in particolare quello dal
1969 fino alla fine degli anni ‘80, quando, con la partecipazione dei
lavoratori e con lotte democratiche, si ottenevano risultati che
miglioravano le condizioni di lavoro e di vita.
I giovani lavoratori non riescono nemmeno a capire quale ruolo hanno i
sindacati, li sentono non solo distanti, ma anche incapaci di
trasmettere un messaggio che faccia pensare che i bisogni di ciascuno
possono avere una risposta positiva con un’azione collettiva, anche
tramite scioperi o manifestazioni se necessario.
Da troppi anni il sindacato si è
appiattito sulla pratica della “concertazione” fino al punto di farne un
valore assoluto, disarmando così la coscienza critica dei lavoratori.
Tanti operai possono testimoniare che oggi, in numerose fabbriche, la
salute e l’integrità fisica dei lavoratori non sono tenute in nessuna
considerazione: contano meno di un pezzo qualsiasi di una qualsiasi
macchina e al centro di tutto ci sono la produzione e l’azienda.
Naturalmente insieme ai profitti cresce la boria dei padroni, che non pongono più limiti alle loro pretese; di conseguenza non solo viene indebolita la condizione dei lavoratori, ma ne esce distrutta quella che in passato si chiamava dignità dei lavoratori-produttori, che anche i padroni erano costretti a riconoscere e rispettare.
Anche in passato non era tutto rose e fiori: per mia esperienza diretta ricordo che, nei primi anni ‘80, nel reparto preparazione delle miste si diffondeva nell’aria tanta polvere, mischiata a quelle sostanze chimiche realizzate con i residui di petrolio che vengono date alle fibre per renderle più lavorabili (sostanze che non è affatto sicuro che non abbiano gravi conseguenze sulla salute): alla richiesta di modifiche per respirare meno sostanze nocive mi fu risposto che non lavoravo in un ufficio. Poi vennero presi provvedimenti perché feci notare che quelle polveri cadevano anche sui colli di materia prima di altri colori e rischiavano di macchiarli.
Nel corso degli ultimi anni in alcune aziende sono state inserite più protezioni alle macchine in attuazione delle leggi ma continua a non esserci nessuna vera preoccupazione per la salvaguardia dei lavoratori, che vengono sollecitati a produrre sempre di più e spinti (anche senza che sia chiesto esplicitamente) a rinunciare ad alcune sicurezze che fanno perdere tempo. E’ così che si verificano tanti morti e tanti infortuni gravi sul lavoro: ogni volta, alla tragedia della morte, seguono le parole “Non può essere una fatalità”: i Consigli Comunali ne discutono, vengono approvati documenti, ma rimangono nei cassetti in attesa della prossima morte.
Il sindacato non può limitarsi allo
sciopero del 3 agosto, un momento di emozione e poi tutto continua come
prima; per questo chiedo: quanti Ispettori lavorano negli uffici pratesi
dell’Ispettorato del lavoro e dell’ASL e quante ispezioni serie nelle
aziende riescono a fare concretamente ogni anno (cioè senza avvertire
prima l’azienda e fatte in modo meticoloso)?
Se l’attività di controllo e di prevenzione è ridicola, è necessario che
i sindacati aprano una vera e propria vertenza con il Governo nazionale
e con la Regione Toscana per ottenere un deciso potenziamento degli
attuali ridicoli organici dei servizi di controllo nelle aziende.
Ma, soprattutto, è necessario un sindacato che non rinunci al conflitto e che sul conflitto costruisca un punto di vista critico dei lavoratori, una identità, una dignità da affermare individualmente e con l’azione collettiva. Per questo, nel prossimo Congresso della CGIL, è necessario cambiare rotta e sono necessari obiettivi concreti e da perseguire con decisione per superare scetticismo e sfiducia tra i lavoratori e per affidare di nuovo all’impegno collettivo la difesa con convinzione della propria salute, dei propri diritti, della propria dignità.
Dimenticavo: nell’azienda in cui lavoro ci sono da 4 anni. La mia salute mi ha consentito di assentarmi raramente ed ho sempre lavorato moltissimo. Ma questo al padrone non interessa; lui non sopporta che io partecipi ai pur rarissimi scioperi che vengono convocati e soprattutto non sopporta che sia comunista o, come dice lui, “quel comunista di merda”.
4 agosto 2000- Giuliano Ciampolini, operaio tessile
7/5/2021 https://www.labottegadelbarbieri.org
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