Prestare ascolto alle classi popolari

Prepariamoci ad un autunno militante. Salario minimo a 10 euro, no alla cancellazione del reddito di cittadinanza, contrarietà ad ogni autonomia differenziata e ai tagli della sanità e dei servizi fondamentali, no alla guerra e all’aumento delle spese militari, lotta alla precarietà, reintroduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro. Queste alcune battaglie che siamo chiamati a portare avanti, a rilanciare nelle prossime settimane. La mancanza di meccanismi di protezione sociale ed economica, l’assenza di servizi, di fonti di reddito fanno ormai del nostro uno dei paesi più disastrati d’Europa. La povertà assoluta in Italia è raddoppiata in dieci anni. Quasi 6 milioni di persone non hanno i mezzi per vivere con un minimo di dignità. Una povertà associata a difficoltà diffuse – stando alle proiezioni di Istat e Eurostat il 63% della popolazione afferma di avere difficoltà economiche – in ragione dei bassi salari, dei tagli delle spese sociali, delle privatizzazioni.

Dati drammatici che sono il frutto di precise scelte in atto da decenni volte al trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto. Vere e proprie ruberie. Il risultato è che oggi l’1% della popolazione, i super ricchi, detengono il 23% del complesso della ricchezza nazionale. Una divaricazione intollerabile. Come se non bastasse il governo in carica, in perfetta continuità con quello precedente, dopo i favori fiscali alle imprese, la cancellazione del reddito di cittadinanza, l’ulteriore precarizzazione del lavoro si appresta a imbastire una manovra “lacrime e sangue” con la scusa che i soldi non ci sono. Balla colossale. I soldi ci sono, vanno presi da profitti, extraprofitti, grandi patrimoni, evasione fiscale. Vanno tolti alle spese militari. Vanno redistribuiti in salari, pensioni e servizi.

Soltanto degli idioti possono pensare di rilanciare la crescita – tutti i dati dicono che siamo entrati in pre-recessione per il calo della domanda interna e dei consumi – con nuovi tagli, politiche di austerità, economia di guerra a carico delle fasce sociali più deboli. Queste fasce in larghissima parte non hanno più fiducia nelle istituzioni, nella politica, nel sindacato perché si sentono abbandonati, lasciati soli ad affrontare i problemi. Hanno tutte le ragioni per sentirsi in questo stato d’animo. Da quanto tempo non si fa più una mobilitazione di massa, uno sciopero generale nel nostro Paese? Forse adesso, finalmente, se ne torna a parlare. Importante, su parole d’ordine chiare, la partecipazione che dobbiamo costruire alla manifestazione nazionale a Roma del 7 ottobre contro la guerra, le disuguaglianze e ogni autonomia differenziata. Tocca a noi, a chi è impegnato su posizioni antagoniste nelle formazioni di sinistra, nel sindacato, farsi carico della rabbia per i costi della vita quotidiana, suscitare la rivolta.

Ci sono tutte le condizioni perché i motivi di rabbia si traducano in motivi di conflitto e di cambiamento. Per fare questo servono delle organizzazioni che non vivano di propaganda ma di pratiche sociali, di lotte, che mettano al centro la vita concreta delle fasce sociali più deboli. Questo deve fare innanzitutto Rifondazione Comunista. Deve farlo riorganizzandosi, rafforzandosi nel rapporto con altre forze antiliberiste, a cominciare da quelle che compongono Unione Popolare. Forze che hanno scelto di “costruire non solo una opposizione al governo, ma un polo politico alternativo alle forze e agli schieramenti che si sono avvicendati alla guida del Paese e di lottare per una alternativa popolare, che sia sociale, culturale, economica e politica”. Facciamolo prestando ascolto alle classi popolari.

È online il numero di settembre 2023 di “fare, dire, Rifondazione“. All’interno:

All’interno:

Ezio Locatelli

Responsabile naz. organizzazione Prc-Se

13/9/2023 http://www.rifondazione.it/

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