PREVENZIONE PRIMARIA E SANZIONI
In
mancanza di serie e certe sanzioni, molti datori di lavoro, che si
arricchiscono attraverso lo sfruttamento degli esseri umani, quando
accadono infortuni mortali parlano dei morti sul lavoro
come di “tragedie imprevedibili”. Le chiamano “morti bianche”, come
se i lavoratori assassinati fossero morti per caso, senza responsabilità
di alcuno, arrivando in alcuni casi a sostenere che la
colpa degli infortuni sarebbe causata della disattenzione degli
operai stessi.
In Italia ci sono più di 800 mila invalidi del lavoro e 130 mila sono le vedove e gli orfani “del lavoro”.
I datori di lavoro responsabili di questi assassini, da buoni
“filantropi”, hanno istituito la “Giornata mondiale per la sicurezza e
la salute sul lavoro” per ricordare alle potenziali vittime (i
lavoratori) di stare più attenti, e mentre piangono lacrime di
coccodrillo, continuano a fare profitti risparmiando sulla sicurezza.
La vita e l’umanità di certi industriali non sono dettate dai
battiti del cuore, ma dalla velocità con cui il capitale si accumula –
sfruttando i lavoratori – e riempie il loro portafoglio.
Per alcuni la perdita di vite umane nel processo produttivo è
considerata fisiologica, al massimo un aumento dei costi
dell’assicurazione INAIL.
A questi signori, quello che interessa non è eliminare questa
mattanza, ma contenere il “fenomeno degli incidenti” sul lavoro, che si
traduce per loro in una perdita economica.
Secondo l’ILO (l’International Labour Office), ogni giorno muoiono
nel mondo più di seimila persone per infortuni e malattie professionali.
Nonostante le campagne pubblicitarie, a livello mondiale il numero
dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro e malattie professionali
sono sempre da bollettino di guerra.
Le malattie professionali diluiscono invece le morti nel tempo: per
esposizione o contatto con sostanze nocive e cancerogene nel processo di
produzione l’ILO stima che ogni anno perdano la vita
circa 438.000 lavoratori, cifra senz’altro in difetto rispetto alla
realtà.
L’amianto, in particolare, è responsabile della morte di oltre
100.000 persone l’anno (più di 4.000 nella sola Italia), mentre la
silicosi continua a colpire milioni di lavoratori e pensionati
nel mondo.
Esiste una guerra non dichiarata fra sfruttati e sfruttatori in cui i
morti, i feriti e gli invalidi si contano da una parte sola: quella
degli operai e dei lavoratori che producono la ricchezza
da cui sono esclusi. Così scriveva Giovanni Berlinguer (Medicina del lavoro in
La salute nella fabbrica, edizioni Italia – URSS, Roma 1972, pag, 32):
“Nel
ventennio1946–1966 si sono verificati in Italia 22.860.964 casi di
infortunio e di malattia
professionale, con 82.557 morti e con 966.880 invalidi. Quasi un
milione di invalidi, il doppio di quelli causati in Italia dalle due
guerre mondiali, che furono circa mezzo milione. Mentre la
media degli infortuni e malattie professionali nel ventennio
1946–1966 è stata lievemente superiore ad 1 milione di casi annui, negli
anni dal 1967 al 1969 la cifra è salita ad oltre 1,5 milioni
di casi e nel 1970 ad 1.650.000 di casi“.
Sono passati più di 40 anni da questo studio, ma la condizione della classe operaia italiana è in continuo peggioramento.
Nella crisi si riducono i posti di lavoro, ci sono meno lavoratori
occupati, diminuiscono lievemente i morti, ma in percentuale aumentano
sia i morti sia gli infortuni.
L’Eurispes ha calcolato che dall’aprile 2003 all’aprile 2007 i
militari della coalizione che hanno perso la vita in Iraq sono stati
3.520, mentre dal 2003 al 2006 in Italia i morti sul lavoro
sono stati ben 5.252 e l’età media di chi perde la vita è intorno ai
37 anni. Gli incidenti sul
lavoro in Italia hanno fatto più morti fra i lavoratori che fra i soldati del patto occidentale nella 2° guerra del Golfo.
Secondo dati Eurostat (del 2005) ogni anno 5.700 persone muoiono a
causa di incidenti sul lavoro. L’OIL (Organizzazione Internazionale del
Lavoro) stima che altri 159.500 lavoratori perdano la
vita a causa di malattie professionali.
Sommando i dati si stima che nell’Unione Europea ci sia un decesso
per cause legate all’attività lavorativa ogni 3 minuti e mezzo
Anche le malattie professionali non tabellate sono in aumento: nel
2002 erano il 71%, nel 2006 sono arrivate all’83%, mentre l’istituto
calcola in 200mila gli incidenti sommersi e non
denunciati.
Di lavoro si continua a morire
Questi dati ci dicono che avremmo bisogno di prevenire gli “incidenti” con leggi, sanzioni e una medicina preventiva in grado di rintracciare le cause che producono malattie e morte e di eliminarle.
Questo non succede perché non è l’interesse della società del profitto.
In questa società gli esseri umani sono trattati come merce, come cose, e la natura ridotta a qualcosa da saccheggiare selvaggiamente; da qui la causa delle “catastrofi naturali” – siano terremoti, crolli, inondazioni – che di naturale non hanno proprio niente.
Una società che ha il suo fondamento nella Costituzione Repubblicana, Costituzione che nell’art. 32 recita “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività“, arrivando a dichiarare che la stessa iniziativa privata – pur essendo libera – “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41 II comma cost.) richiederebbe norme e leggi, un sistema sociale e una medicina veramente al servizio degli esseri umani per prevenire questi “disastri”, cosa che non avviene.
L’amianto e tutte le sostanze cancerogene provocano danni che sono all’origine di numerosi tumori.
Ormai il mondo scientifico è in grandissima maggioranza ben cosciente che non esistono soglie di sicurezza o di tolleranza alle sostanze cancerogene.
Sebbene sia necessario, non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio, ma bisogna adoperarsi affinché il pericolo sia ridotto a zero. L’esposizione alle fibre di amianto o di altre sostanze cancerogene riduce l’aspettativa di vita di chi è stato esposto facendo vivere lui e la sua famiglia nel terrore di ammalarsi.
L’esposizione alle sostanze cancerogene nei luoghi di lavoro e nella società colpisce generalmente gli strati sociali più sfruttati. Infatti, sono i più poveri che non possono pagarsi il grande clinico che rassicura e toglie almeno l’ansia di ammalarsi.
Il movimento operaio e popolare si deve battere per il “rischio zero”. Deve lottare per imporlo alle associazioni padronali e allo stato. Non possiamo accettare, sotto il ricatto del posto di lavoro, di rimetterci la salute e la vita, e di ipotecare il futuro per le nuove generazioni inquinando senza più rimedio il pianeta.
Le lotte del movimento operaio, dei lavoratori e dei cittadini organizzati in Comitati e Associazioni, hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendole” in molti casi a perseguire i responsabili. In questi anni abbiamo visto una giustizia che, spesso, difendeva solo una parte dei cittadini: quella degli industriali.
Di solito, vediamo governi e istituzioni (di qualsiasi colore politico) che – mentre proclamano di essere al di sopra delle parti – riconoscono come legittimo il profitto e legalizzano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dimostrando di essere in realtà dei “comitati d’affari”, arrivando nella migliore delle ipotesi a punire con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro.
Nel nostro paese i diritti sanciti nella Costituzione sono tuttora subordinati ai poteri forti e sono applicati solo se compatibili con essi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana alla logica del profitto, ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Una società che mercifica tutto, e che trasforma in profitto la malattia, la vita e la morte, senza rispetto per la vita umana, è una società barbara, in cui gli operai e i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti in fabbrica e sul territorio, se non si eliminano, continueranno ad uccidere gli esseri umani e la natura.
“Libertà, legalità, giustizia per tutti” rimangono parole astratte, principi vuoti di significato se le classi sottomesse non hanno i mezzi economici e politici per farli rispettare.
Anche se le leggi e la Costituzione Repubblicana affermano che l’operaio e il padrone sono uguali e hanno gli stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica fa si che la “libertà” e l'”uguaglianza” dei cittadini sia solo formale.
Tutela della salute
I limiti “ammessi” imposti per legge alle sostanze cancerogene non danno nessuna garanzia alla tutela della salute. La salute è continuamente esposta a rischi. Lo vediamo con il continuo aumento dell’inquinamento per polveri sottili e altre sostanze nelle nostre città e con il continuo superamento delle soglie.
Anni fa, in alcuni paesi della Lombardia, la soglia di atrazina nelle falde acquifere da cui si estraeva l’acqua potabile era di molto superiore ai limiti legali imposti dalla legge europea. Dato che non si poteva (o non si voleva) riportarla sotto la soglia di sicurezza e nei limiti previsti da tale legge, il legislatore ha pensato bene di risolvere il problema alzando i limiti di legge previsti, “legalizzando” così l’inquinamento, facendo diventare legale l’acqua inquinata.
La lotta per pretendere e imporre condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e nella società riguarda tutti.
Lottare per ambienti salubri e un mondo pulito significa lottare contro chi – pur di fare soldi sulla pelle dei lavoratori e cittadini – condanna a morte migliaia di esseri umani, anteponendo i suoi interessi privati a quelli collettivi della società come succede in ogni regione del nostro paese, dal Nord al Sud.
In una società civile la salute viene prima di tutto.
Sorveglianza sanitaria
La sorveglianza sanitaria prevista dalla legge 257/92 per i lavoratori esposti o ex esposti amianto in molte regioni italiane non è ancora applicata. In Lombardia abbiamo dovuto lottare per anni contro la Regione Lombardia e l’Asl per far valere questo diritto previsto dalla legge. Dopo anni di lotte, manifestazioni davanti alle sedi Asl e alla Regione, chiedendo l’applicazione della legge, siamo riusciti a farla applicare. E’ stata un’importante vittoria, perché insieme con quella dei lavoratori abbiamo ottenuto la sorveglianza sanitaria anche per i familiari degli esposti all’amianto.
Grazie alle lotte dei lavoratori, dei comitati e delle associazioni, la Regione Lombardia già nel 2007 aveva previsto la sorveglianza sanitaria anche per il coniuge della persona esposta.
“Prevenzione” è sempre stata la parola d’ordine del Comitato e – insieme alla prevenzione primaria che riguarda le bonifiche dell’amianto in tutto il territorio nazionale, e non solo – ci siamo posti anche l’obiettivo della sorveglianza sanitaria per i familiari degli esposti all’amianto. Noi abbiamo voluto partire dalle mogli, quelle più a contatto con l’amianto portato in casa dai mariti, estendendo anche a loro i controlli sanitari ed è motivo di orgoglio per tutti noi aver raggiunto anche questo risultato.
E’ cominciata così la sorveglianza sanitaria anche per le donne che non hanno mai indossato una tuta blu, ma hanno lavato per anni quelle dei mariti, come è successo a Carmela Maganuco, moglie di un operaio della Breda, scomparsa a 53 anni nel novembre del 2009 per un carcinoma esteso a entrambi i polmoni.
In un incontro alla Clinica del Lavoro di Milano organizzato dal Comitato, i medici, prima delle visite, hanno spiegato quali rischi correvano i familiari degli ex esposti all’amianto e le modalità con cui venivano effettuati i controlli, spiegazioni a cui seguiva un dibattito.
Ancora una volta, la lotta e la partecipazione massiccia degli associati del Comitato hanno dimostrato che risultati importanti si possono raggiungere se esistono consapevolezza e chiarezza sugli obiettivi da raggiungere.
La nostra storia per molti aspetti è simile a quella dei lavoratori di moltissime altre fabbriche. E’ simile nelle responsabilità dei vertici aziendali, che sapevano in anticipo della pericolosità dell’amianto, dei rischi che correvano i lavoratori degli omicidi annunciati e dei crimini ambientali provocati dall’amianto alla Breda Fucine e nelle fabbriche di Sesto San Giovanni (Mi), ma nulla hanno fatto per impedirli.
Sono diverse le sostanze cancerogene usate nei processi di produzione, ma ovunque è simile il ruolo che governo, istituzioni, magistratura, l’INAIL e l’INPS hanno finora avuto in queste vicende.
Dal libro Attualità su ambiente e salute, edizioni Aracne, 2014
1/11/2020 https://www.comitatodifesasalutessg.com
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