Proibizionismo, un lusso che non possiamo più permetterci
Il dibattito sulla legalizzazione della marijuana si è di nuovo riacceso nel nostro paese come in tutti i paesi occidentali. La crescita dell’anti-proibizionismo è una tendenza globale che ha già condotto a decisioni in questo senso in Uruguay e in alcuni stati americani e città europee. Il motivo di fondo di questo progressivo spostamento delle decisioni pubbliche è che i risultati di un secolo di proibizionismo sono disastrosi. Come azione di contrasto della offerta ha ottenuto il solo effetto di concentrarla in pochissime, potentissime, ferocissime mani. Zero risultati anche nel contrasto della domanda, che ha continuato a crescere a ritmi baldanzosi tra i ricchi e i poveri dei paesi occidentali e di quelli in via di sviluppo.
In compenso questo immenso buco nell’acqua ha costi giganteschi. Finanziari, sociali, civili, criminali ed etici. Il motivo lo chiariscono gli economisti, dimostrando che ogni tanto ci azzeccano persino loro. È difficile trovarne uno proibizionista. Il motivo è che un economista tende a pensare che rendere illegale una merce che è consumata da milioni di persone ha il solo effetto di aumentarne il prezzo e creare mafie potentissime in grado col tempo di comprarsi banche, grandi e piccole imprese, patrimoni immobiliari, media, fette crescenti di partiti, parlamenti e governi.
Gli economisti, specialmente quelli di destra, avvertono quasi istintivamente che enormi masse di denaro nero rappresentano una minaccia mortale per la democrazia e il sistema di mercato. Milton Friedman, premio Nobel per l’economia che fu praticamente il fondatore del neo-liberismo e il principale consigliere economico di Reagan, era un feroce anti-proibizionista.
Inoltre un economista percepisce immediatamente che l’illegalità di una merce così popolare, se contrastata seriamente, è destinata a gravare di costi enormi le finanze pubbliche. Ad es. nel nostro paese il proibizionismo assorbe risorse di polizia, giudiziarie, carcerarie enormi. Tanto per dare una idea, il problema del sovraffollamento da terzo mondo delle nostre carceri verrebbe praticamente di colpo risolto dalla legalizzazione. Gli immensi ritardi della nostra giustizia penale si ridimensionerebbero. Ma in realtà si tratta di briciole rispetto al sollievo che la legalizzazione arrecherebbe alle esangui casse pubbliche. Le stime sui mancati introiti fiscali della tassazione di un commercio tanto imponente variano ma comunque parlano di miliardi.
Inoltre il narcotraffico è un fattore permanente di destabilizzazione per interi paesi, ben al di là del nostro. Nel 2006 il presidente messicano Calderòn decise di usare l’esercito dichiarando “guerra alla droga”. Da allora tale guerra ha prodotto la sbalorditiva cifra di 60.000 morti, che arrivano a 100.000 se si contano gli scomparsi. Ci sono paesi interi la cui economia è stata distrutta dalla transizione dell’agricoltura alla produzione di droghe, come l’Afghanistan, ormai avviato a divenire la prima monocoltura di papavero da oppio del pianeta.
I sostenitori del proibizionismo non negano questo disastro ma dicono che continuare a sostenerlo è il minore dei mali possibili. La motivazione che viene portata più spesso è etica: uno stato non può legalizzare cose che fanno male. Questo argomento assume un sapore tragicomico in una società devastata da dipendenze di ogni genere, cominciando con quella dallo shopping e continuando con videogiochi, videopoker, slot, calcio, tv, sesso, pornografia, alcol, sigarette, tanto per menzionare qualcuna delle più comuni. E ovviamente una alluvione di droghe chimiche legali, elegantemente definite psico-farmaci. Esistono una quantità di cose che sono legali, possono fare malissimo e sono persino pubblicizzate.
Allora la domanda cruciale diventa: perché pigliarsela solo con alcune droghe? Il proibizionismo è in ritirata perché non esiste una risposta a questa domanda. Anzi, non ne esiste una nobile. Perché una risposta possibile dice che sono legali le droghe prodotte dalle case farmaceutiche e sono illegali quelle prodotte da contadini del terzo mondo o autoprodotte.
Inoltre è evidente che esiste un modo migliore del proibizionismo per ridurre le dipendenze. Il calo costante e spettacolare del consumo di tabacco negli ultimi decenni in tutto l’occidente dimostra che le campagne informative funzionano. Se una sostanza è realmente pericolosa e la gente viene informata di questo, il suo consumo diminuisce. Queste campagne informative costano una frazione insignificante del costo di quell’immenso apparato messo su per la guerra alla droga.
Secondo la polizia doganale americana, il 2014 ha registrato per la prima volta un calo delle importazioni di marijuana dal Messico (- 24%), che erano invece costantemente cresciute per 50 anni. Un primo successo del proibizionismo? Nientaffatto, si tratta invece del primo successo dell’anti-proibizionismo. Infatti queste sono le prime conseguenze di un anno abbondante di legalizzazione in due stati americani: Colorado e Washington. Semplicemente, la vendita legale di marijuana ha rubato il mercato ai cartelli dei narcos. La concorrenza che il mercato legale fa a quello nero è alimentata dalla migliore qualità della marijuana legale, priva di tagli. Infatti la marijuana illegale contiene spesso additivi come l’ammoniaca, oppure fibra di vetro o lana di roccia che simulano i cristallini tipici della marijuana di qualità. Questo lascia prevedere una diminuzione nel lungo periodo dei costi sanitari connessi all’uso di additivi dannosi per la salute.
Quanto ai rischi paventati dai proibizionisti – aumento dei crimini, del consumo e degli incidenti stradali – non ve ne è alcuna traccia nelle statistiche. In Messico molti vedono la legalizzazione negli Stati Uniti come l’unica salvezza dal definitivo disfacimento del paese, devastato dai cartelli. Infine, non proprio un dettaglio: il Colorado prevede un gettito fiscale di 175 milioni di dollari nei prossimi due anni che consentirà una sostanziosa riduzione della pressione fiscale. Le previsioni dello Stato di Washington sono intorno ai 600 milioni di dollari nei prossimi cinque anni. Sono tutti soldi che verranno trasferiti dalle tasche dei narcos messicani a quelle dei due stati americani.
Il proibizionismo è un lusso che non possiamo più permetterci e il suo superamento è una priorità. Dire che ciò non è urgente significa dire che non è urgente migliorare le nostre finanze pubbliche e contrastare la mafia. Invece sono due degli handicap principali che affliggono il nostro paese. Le mafie si occupano anche di altre cose oltre alla droga, ma questa rimane il loro core business. La legalizzazione delle droghe le indebolirebbe molto. La platea proibizionista è ampia e variegata ma la prima fila, quella dei sostenitori più accesi, è occupata dalle mafie.
Stefano Bartolini
14/10/2014 micromega.net
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