Psichiatria. Crimini di guerra, crimini di pace
Franco Basaglia a 100 anni dalla nascita
L’esperienza del carcere del giovane Basaglia e la metafora del Lager nella lettura del manicomio, da Gorizia a Barbacena (Brasile). L’internamento della miseria e l’esclusione sociale definiscono i crimini di pace. La salute mentale ancora oggi si iscrive tra sofferenze e disuguaglianze, in un tempo segnato dalla guerra.
Lo scopo di questo breve intervento è collegare alcune parole chiave.
Innanzitutto i crimini di guerra, e il loro ribaltamento nei crimini di pace, titolo di un famoso libro curato dai Basaglia. Che cosa c’entra il lager, la miseria, la disuguaglianza con tutto questo e con la salute mentale oggi.
Centenario
Di Franco Basaglia si celebra quest’anno il centenario dalla nascita, l’11 marzo 2024. Un film prodotto per la RAI, ‘Tu slegalo’, del regista Maurizio Sciarra, anticiperà su RAI 3 il 9 marzo l’evento.
Basaglia nasce a Venezia nel 1924, da una famiglia benestante. Come ricorda Oreste Pivetta, frequenta il liceo, e ha tra i suoi amici Hugo Pratt, ma soprattutto Alberto Ongaro, futuro scrittore, e la sorella Franca, che conosce a 22 anni e che poi sposerà. Con loro matura il suo antifascismo.
Si iscrive a Medicina a Padova nel ’43, quando il Magnifico Rettore Concetto Marchesi pronuncia un memorabile discorso all’inaugurazione dell’anno accademico, e subito dopo farà un appello alla lotta armata. ‘Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria, vi ha gettato tra cumuli di rovine; voi dovrete tra quelle rovine portare la luce di una fede, l’impeto dell’azione e ricomporre la giovinezza e la patria’. Con alcuni compagni entra nella Resistenza, fa la staffetta tra Venezia e il Brenta, con una Fiat Topolino. Ongaro è arrestato nel ’42 mentre attacca manifesti, Basaglia è arrestato nel novembre ’44. Uscirà con la liberazione, il 15 aprile ’45.
Carcere
L’esperienza del carcere lo segna per tutta la vita.
Lo dice nelle Conferenze Brasiliane, nel 1979:
‘mi ricordo della situazione allucinante che mi sono trovato a vivere. Era l’ora in cui venivano portati fuori i buglioli dalle varie celle. C’era un odore terribile, un odore di morte. Mi ricordo di aver avuto la sensazione di essere in una sala d’anatomia mentre si dissezionano i cadaveri. Tredici anni dopo la laurea sono diventato direttore di un manicomio e quando vi sono entrato per la prima volta ho avuto quella stessa sensazione. Non c’era odore di merda, ma c’era come un odore simbolico di merda. Ho avuto la certezza che quella era un’istituzione completamente assurda, che serviva solo allo psichiatra che ci lavorava per avere lo stipendio a fine mese. A questa logica assurda, infame del manicomio abbiamo detto no’.
Questo odore del manicomio è un odore assolutamente ubiquitario, internazionale, un misto, a composizione variabile, di stantio, chiuso, disinfettanti, effluvi umani, liquami. Chi ha avuto la ventura di girare e conoscere manicomi l’ha percepito e riconosciuto in tutto il mondo, Nord e Sud.
Lager
Basaglia arriva ben presto alla seconda metafora, o meglio analogia, quella del manicomio come lager. A Gorizia ne parla con Slavich, le persone legate ai caloriferi, e di notte ai letti, di giorno qualcuno perfino agli alberi. A Trieste ne riconosce il carattere ordinato e sistematico, ma che non riesce a nascondere le violenza delle camicie di forza, dei ‘camerini’ e degli elettroshock.
Lo ricorda quando parla sempre nelle conferenze brasiliane, dopo aver visto Barbacena in Minas Gerais, ‘A colonia’, nel ’79, pochi mesi prima di morire.
Dice Basaglia:
‘Sono stato oggi in un campo di concentramento nazista, dice in una conferenza stampa, testimone di una tragedia come questa che non c’è in nessuna parte del mondo’.
Si sbaglia. A Leros, in Grecia, negli anni 80, nel cuore dell’Europa, verrà scoperto un manicomio di 4000 persone, molte delle quali nude, ridotte a una condizione animale. Grazie a Franco Rotelli e a un gruppo di operatori triestini, che vi hanno lavorato diversi anni, oggi quell’orrore non c’è più.
I lager sono gli strumenti ‘istituzionali’ dell’olocausto e che durante la guerra, nell’orrore totale, si pensava potessero essere occultati. I medici e anche gli psichiatri, com’è noto, ne saranno complici attivi (vedi l’Aktion T4). Non a caso, anche i gulag sovietici avranno la complicità degli psichiatri col regime.
‘A colonia’ è descritta da Daniela Arbex in un libro denuncia, ‘Holocausto Brasileiro’, del 2013. Vi sono morte più di 60.000 persone, il 70% erano là senza diagnosi ma per eliminarli in base alla teoria eugenetica, o anche per motivi politici o sociali (prostitute, omosessuali, mendicanti, ragazze violentate, alcolisti, epilettici, mogli ripudiate). Morti di freddo e di stenti, di torture, o di elettroshock talmente frequenti da causare black out in città; per più di 1800 pazienti i corpi sono stati venduti a scuole mediche, o sciolti nell’acido se in eccesso.
Crimini di pace
Dunque Basaglia, che viene fuori dall’esperienza della guerra e della Resistenza, per cui ha pagato un prezzo personale, arriva a parlare, nel 1975, dei crimini di pace, in questo famoso libro uscito per il Nuovo Politecnico Einaudi, la stessa collana de l’Istituzione negata, di Asylum e di tutti i libri di Franco.
Basaglia ha scoperto il carattere di classe dell’internamento come strumento di esclusione sociale: la miseria nei manicomi (anche un famoso studio americano, di Hollingshead e Redlich, ha allora dimostrato e denunciato che i manicomi sono per i poveri).
Basaglia ha deciso da tempo che l’OP non può essere emendato, migliorato. La distruzione dell’OP ‘come luogo di istituzionalizzazione’, è da lui stesso annunciata a Londra nel ’64, al primo congresso mondiale di psichiatria sociale, dopo pochi anni di lavoro a Gorizia.
Parla della libertà come premessa della cura e aspirazione massima dell’essere umano, in ciò influenzato da Sartre, denuncia ciò che l’istituzione fa alle menti e ai corpi, – ha letto Barton, Goffman, Foucault – e quindi quale sia il mandato sociale della psichiatria, di cura e custodia, attraverso il sapere medico psichiatrico che giustifica un potere esercitato in questo modo.
Sapere e potere
Nei ‘Crimini di pace’ cita Gramsci che, nel 1930, in pieno fascismo, dal carcere aveva scritto: ‘gli intellettuali sono i commessi del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico.’ Sono i ‘funzionari del consenso’ delle masse che operano per conto dell’apparato statale.
Basaglia commenta che, usciti dalla guerra, si credeva di poter costruire un mondo diverso. Ma la speranza ha avuto vita breve, quasi subito ci si era ritrovati prigionieri del proprio ruolo, ognuno nella propria classe sociale. I tecnici (i pratici) e gli intellettuali (i teorici) riportati alla borghesia da cui provenivano. La resistenza come movimento popolare veniva neutralizzata dalla classe dirigente. Il medico veniva ricondotto all’ideologia della neutralità della scienza.
Si evidenziava lo scontro diretto tra ideologia e pratica per quelli che erano i ‘tecnici del sapere pratico’, come Sartre li chiamò: esecutori materiali delle ideologie e dei crimini di pace da esse legalizzati e giustificati; gli intellettuali di serie C, i ‘ragionieri della scienza’.
Essi allora cominciano a metter in discussione il ruolo svolto nel settore specifico.
Questo punto è di stringente attualità, rispetto ai rischi autoritari e di controllo diffuso, anche attraverso i media, tradizionali e social, e nuovi strumenti come l’I.A.
Emerge qui la contraddizione del manicomio come istituto terapeutico e di controllo, di riabilitazione e di segregazione, dove il consenso del controllato e del segregato è ottenuto a priori attraverso la mistificazione della terapia e della riabilitazione. La distanza tra l’ideologia (ospedale come luogo di cura) e la pratica (ospedale come luogo di segregazione e di violenza) è evidente.
La classe di appartenenza degli infermi è quella subalterna. I limiti di norma si dilatano e si restringono a seconda della classe del disturbato e della situazione di espansione o recessione economica (come dimostrerà poi Richard Warner in ‘Schizofrenia e guarigione’, 1995).
Basaglia allora si chiede: che funzione sociale svolge il manicomio? Quali sono i bisogni cui si dovrebbe rispondere? Il servizio che propone è un esercizio di potere e di violenza. Deve garantire il controllo, e il consenso insieme, di chi viene violentato. Che cos’è la psichiatria e la malattia che si incontra in manicomio?
La rottura di questa alleanza col potere è un passo necessario. Il rifiuto del ruolo, della delega al controllo, di essere i funzionari di questo consenso legittimando potere e violenza, smascherarne l’ideologia, deve essere esercitato attraverso un uso dialettico di questo potere e di questa delega.
Con la distruzione del manicomio però si sono solo ‘create le condizioni per cui potessero riaffiorare i bisogni dell’utente del servizio’. Basaglia dirà poi che ‘abbiamo scodellato la miseria, che contenuta era dentro il manicomio, nella città’.
Bisogna allora costruire un’alleanza, una finalità comune fra tecnico (borghese) e classe oppressa. In questo modo si pone sullo stesso piano dell’utente del servizio che deve prestare, perché è con lui che deve trovare le risposte ai bisogni che non sono quelli tradizionalmente riconosciuti dalla psichiatria come parte della medicina. Ciò avviene storificando questo soggetto; soggettivandolo, esso non è più solo oggetto di ricerca. Una nuova ricerca va fatta insieme.
Violazioni dei diritti umani
Ci sono ancora i crimini di pace? Certamente, si chiamano violazioni dei diritti umani.
Avvengono dove si negano i diritti e le libertà fondamentali dichiarate dalle convezioni internazionali, l’uguaglianza davanti alla giustizia, il diritto al consenso alle cure, alla libertà della persona, alla vita indipendente, da trattamenti disumani e degradanti, etc.
Avvengono nei manicomi, nelle carceri, negli ospizi, nei cronicari di ogni tipo.. 1 milione e mezzo di persone sono in istituzioni europee per vari tipi di disabilità, spesso nel settore sociale (EU, 2020). Uno studio OMS nel 2021 ha dimostrato che con la pandemia esse hanno sofferto di un peggioramento dei diritti umani e dell’isolamento sociale. Ma anche chi è stato per strada ne ha sofferto di più (i c.d. gruppi vulnerabili: i senzatetto, a Los Angeles o a Chennai, i migranti in Italia).
La negazione degli standard accettabili di vita (‘fair and decent lives’, WHO, 2008) o di lavoro va anche considerata. Le morti sul lavoro non sono crimini di pace? Quelli più odiosi ancora nel nome della medicina.
L’analisi di Basaglia sulla miseria trova conferma in ciò che oggi scientificamente è provato. Ossia che le condizioni in cui le persone nascono, crescono e vivono hanno un effetto sulla loro salute e sulla salute mentale. Quindi le disuguaglianze, sociali e quindi di salute, che la pandemia ha evidenziato ancora più drammaticamente. Porre la questione ‘sociale’ della psichiatria, oggi più che mai significa fronteggiare condizioni di vita, di crescita, disuguaglianze, vulnerabilità sociali, risorse, politiche, investimenti.
Le pratiche ‘democratiche’ introdotte nelle istituzioni dal lavoro di Basaglia e di tanti altri hanno intaccato l’antico dislivello di potere tra chi cura (e ancora talvolta reclude) e chi è curato (o talvolta recluso).
Il terreno del potere è stato ed è cruciale, in una contrapposizione frontale, e dunque anche politica, tra diverse visioni delle istituzioni e dei diritti.
Ma pure rilevantissimo è, ancora oggi, quello dei micropoteri che si giocano quotidianamente nei contesti di cura, nelle ‘relazioni di servizio’ (per usare la definizione di Goffmann) che troppo spesso tornano ad essere di oppressione e assoggettamento dei soggetti deboli, nei rapporti ‘terapeutici’ che Basaglia chiamava ‘metallici’, non umani, e ancora troppo sbilanciati sul versante del potere dei professionali. I quali ne risultano a loro volta alienati nel lavoro di cura, con grave sofferenza.
Disuguaglianze
Il tema delle disuguaglianze è enorme e qui possiamo solo accennarlo. Il loro impatto sulla salute è dimostrato, ed in salute mentale esso è aumentato dallo stigma che impedisce l’accesso ai servizi e la stessa ricerca di aiuto.
La più o meno equa distribuzione dei determinanti sociali è alla radice delle disparità di salute. La pandemia ha mostrato come le persone più colpite da essa, e dalle sue conseguenze sociali, siano state le più vulnerabili ed emarginate nella nostra società.
Il legame tra povertà e salute mentale è bidirezionale: le disparità nell’accesso all’istruzione e all’alloggio dovute allo svantaggio socioeconomico possono aumentare il rischio di malattie mentali, mentre i problemi di salute mentale a lungo termine possono portare le persone alla povertà a causa della discriminazione sul lavoro e della ridotta capacità di lavorare.
Le comunità etniche minoritarie (ad es. i migranti) sono esposte a un’esperienza cumulativa di microaggressioni dovute a razzismo, che ne compromettono la resilienza e l’autonomia, aumentando così la loro vulnerabilità alla malattia mentale. La disuguaglianza di genere e le disparità di genere nella salute mentale sono fortemente correlate. Diversi studi indicano che le donne soffrono mentalmente più degli uomini, in particolare nelle società con livelli maggiori di disuguaglianza di genere e discriminazione basata sul pregiudizio, che crea barriere all’accesso alle risorse della comunità e all’assistenza sanitaria mentale. Tutte queste condizioni si sommano tra loro (c.d. intersezionalità).
La disparità di accesso all’assistenza sanitaria in salute mentale è ancora una realtà in Europa. Anche in Italia, continua a dipendere da una quota elevata a pagamento diretto in ambito privatistico, come nella maggior parte dei paesi europei, il che porta a disuguaglianze sanitarie e sociali ancora maggiori per le persone che vivono con problemi di salute mentale.
Il recente rapporto della Commissione europea (EU, 2023) mostra anche una mancanza di investimenti nell’assistenza sanitaria preventiva e in salute mentale in più di 10 paesi europei. I disturbi psichiatrici gravi, ‘psicotici’, sono distribuiti in modo diseguale in base alla posizione sociale. Le persone di condizione socio-economica inferiore sono maggiormente colpite da problemi di salute mentale, compresa una maggiore prevalenza di “disturbi mentali comuni”.
Il diritto alla salute, e la salute mentale come diritto umano fondamentale e universale (art 25) – tema della giornata mondiale della salute mentale del 2023 – va quindi incluso tra tutte le altre battaglie per i diritti umani, ad es. per le minoranze e i gruppi discriminati. Si inserisce nel contesto degli altri diritti sanciti, ma spesso disattesi e raramente realizzati.
Crimini di guerra
L’attuale condizione mondiale è spaventosa. Molte guerre e disastri terribili stanno minacciando la salute mentale di un’ampia parte dell’umanità. La perdita di vite umane, soprattutto civili e tra questi di soggetti vulnerabili, come bambini e giovani, donne, anziani, dimostra la negazione del fondamentale “diritto alla vita”. Ciò è legato a una quantità insostenibile di sofferenza umana, che può estendersi a intere popolazioni e paesi, e che è collegata a lutti e sofferenze, alla distruzione di città e insediamenti umani, alla povertà, alla disuguaglianza, all’ingiustizia e al sottosviluppo.
La salute mentale è uno dei primi diritti umani ad essere colpiti, insieme alla salute fisica e alla mutilazione dei corpi. Le cure di emergenza e gli aiuti materiali umanitari di base, così come il sostegno e gli interventi psicologici, devono essere rafforzati, così come indicato dall’OMS e dall’ONU, ma spesso sono ostacolati o impediti dagli aggressori. Oggi più che mai la pace deve essere assicurata dagli sforzi internazionali, per aiutare le persone che soffrono a ricevere sollievo e cure. È una precondizione della salute mentale, che richiede comprensione reciproca, dialogo, sforzi per garantire la convivenza di individui, persone, popolazioni e nazioni.
Una cultura della salute mentale e dei diritti umani deve condannare l’uso della violenza e della armi tra persone, e ogni atto di sopraffazione che nega l’altro come persona. Infine, va sottolineato quanto la perdita di risorse economiche e l’aumento delle spese militari impedisce il necessario investimento nell’offerta di servizi di salute mentale e di sostegno e protezione sociale.
Rilevanza dell’azione
Il mondo della salute mentale deve dunque sviluppare un’azione pratica di advocacy dell’elementare diritto alla vita a del diritto alla salute e alla salute mentale, rendendo consapevoli i politici e i decisori della necessità di garantire i dovuti servizi e supporti, anche in condizioni estreme di sofferenza qualora esse si verifichino, e di operare attivamente per superarle quanto prima.
Durante la guerra, in Bosnia come in Iraq, e oggi in Ucraina, manicomi sono stati distrutti e bombardati, i pazienti si sono a volte autogestiti, a volte sono morti di fame. I servizi venuti dopo sono stati di necessità quelli più prossimi, vicini ai loro bisogni e quelli delle comunità.
Tutto ciò deve essere occasione per sviluppare una cultura della pace e della convivenza tra paesi e tra persone, a qualunque credo politico, nazione o popolo appartengano, e promuovere anche all’interno di ogni società e comunità la coesistenza e il rispetto di ogni essere umano. Per questi motivi è stata ripetutamente avanzata la canditatura per il Premio Nobel per la Pace a Basaglia e alle associazioni che nel suo nome operano.
Dobbiamo impegnarci a mettere in campo strategie e opportunità per la vita delle persone nella sua interezza. Il soggetto, la persona, vista nel suo contesto sociale, chiama in causa tutta la vita (in tutti i suoi domini), ossia un intero sistema, un’intera comunità.
Allora, i diritti umani devono essere valutati nella prospettiva della persona nel suo contesto e come cittadino di una comunità.
Questo é ciò a cui ci richiama l’eredità di Basaglia, e ciò di cui abbiamo più bisogno oggi.
Roberto Mezzina
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