Puglia: sanità rimodulata nel privato

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La crisi sanitaria nazionale caratterizzata da carenza di personale e di strategie di rinnovamente si fa sentire di più al Sud dove i ritardi stutturali non sono mai stati colmati e dove si registra ormai senza nessuna speranza di, quanto meno, rallentamento il fenomeno della migrazione sanitaria per curarsi in altre regioni. L’ultimo dato disponibile della regione Puglia fornito da Agenas e relativo al 2021 è di -87 milioni, in frenata rispetto agli altri anni “grazie” al COVID19. Perdite annuali di questo tipo, insieme ai vincoli imposti dal piano d rientro, chiaramente non permettono nessuno sviluppo e nessun recupero. I posti letto per 1000 abitanti sono più di 4 al nord e 3 in Puglia, la mobilità sanitaria pediatrica è del 10% dei ricoveri totali per quella età.

Una programmazione ospedaliera all’insegna dell’epidemiologia, cioè delle malattie realmente presenti sul territorio e quindi in base alle concrete necessità di cura. Una bella promessa tanto sbandierata quanto disattesa dalla Regione Puglia. Sicuramente a Brindisi. Dove il rapporto posti letto/popolazione è il più basso della Puglia e d’Italia : poco più del 2×1000.
Eppure Brindisi è area ad alto rischio di crisi ambientale, Sito Nazionale per le Bonifiche (che non si fanno), l’ultimo rapporto registro tumori vi rileva un incremento di incidenza e mortalità per alcuni tumori per i quali non c’è neppure il reparto per curarli (è il caso della chirurgia toracica), l’ultimo rapporto SENTIERI dice che le malformazioni neonatali sono comunque oltre la media regionale (e chiude proprio l’Unità di Terapia intensiva Neonatale!)

Ma c’è di più o di peggio: la Regione Puglia rimodula il Piano Ospedaliero dal quale emerge che a Brindisi si danno 30 posti letto in più, alla BAT, provincia più piccola, 70, a Lecce che ha una popolazione doppia, 192 di cui 58 al privato, a Bari 272 di cui 76 al privato. Si tratta di allargamenti di specializzazioni di base mentre le alte specialità vengono date alle strutture private a Lecce e a Bari. C’è da dire anche che comunque molti reparti previsti sulla carta non sono mai stati aperti e altri si sono chiusi nel frattempo, come denunciano da anni sindacati e ordini professionali proprio a Brindisi. Il tutto sotto il naso dei Sindaci che dei Direttori Generali delle ASL fanno le valutazioni dell’operato ed dei bilanci. Evidentemene a loro va bene così salvo poi sbracciarsi nei momenti critici, come ora quando la gente protesta.

Questa è la politica programmatoria della Regione Puglia, ingrossare l’ospedalità privata ai danni di quella pubblica per le specializzazioni più remunerative. Altro che epidemiologia, si dovrebbe dire “privatocrazia”.
A coronare il tutto una delibera di fine marzo scorso, la n. 412, con la quale la Giunta Regionale adotta dopo 23 anni, quasi come una nemesi, il « metodo Palese ». Stesso assessore, stessa delibera, diverso, almeno nominalmente, schieramento! Blocco di acquisti e di assunzioni. Il motivo : 450 milioni di deficit creato dalla spese per il reparto Covid19 in Fiera, di cui la trasmissione Report del 10.4.2023 su Rai3 narra gli inquietanti dettagli, e le assunzioni oltre il fabbisogno approvato da parte di alcune ASL sempre durante il COVID19.

A fronte di questa difficoltà, la comunicazione ufficiale si concentra su piccoli aspetti luminosi del tutto insufficienti a rischiarare il grigiore generale. E’ il caso dello screening neonatale che ha portato da 49 a 62 le malattie indagate alla nascita, o la concessione della costosissima cura della terribile Atrofia Muscolare Spinale. Malattie rarissime che costituiscono meno dell’1% della più vasta patologia umana che invece stenta a trovare risposte: si pensi che solo il 50% delle prestazioni radiologiche prescritte sono erogate dal SSR, il resto a pagamento oppure la gente vi rinuncia. Un altro topos della comunicazione istituzionale è il finanziamento della ricerca scientifica ma con modalità clientelari, cioè la politica non solo sceglie il tema di ricerca, e fin qui nulla questio, ma anche chi deve svolgere la ricerca.

Il Consiglio Regionale della Puglia, infatti, l’11 luglio scorso ha approvato una legge dal titolo molto seducente “Colon al sicuro. Progetto di ricerca per la diagnosi precoce del tumore al colon attraverso l’esame del sangue”. La legge regionale stanzia 396 mila euro per migliorare lo screening colorettale, estendendo le attività di diagnosi precoce con l’obiettivo di “proiettare il sistema sanitario pugliese con il progresso scientifico, tecnologico e normativo nelle scienze omiche”.

Intendiamoci. Gli investimenti in ricerca e innovazione vanno sempre ricevuti con encomio, è dunque meritevole che il Consiglio Regionale pugliese abbia all’unanimità deciso di così destinare la dotazione finanziaria. Stupiscono tuttavia alcuni passaggi della legge, che suggeriscono come questa allocazione sia avvenuta non solo in mancanza di una procedura comparativa tra diverse proposte ma anche in assenza di una proposta progettuale. Man mano che si procede nella lettura dell’articolato si scopre per esempio che “il direttore del Centro di riferimento […] predispone entro quaranta giorni dalla data di entrata in vigore, il Piano operativo di ricerca, contenente norme sugli aspetti organizzativi del progetto di ricerca, sulla quantità? e modalità? di arruolamento, sul pannello di geni interessati, sulle modalità? di esecuzione, sulle modalità? di attivazione delle procedure e ogni altro elemento in grado di meglio caratterizzare il progetto di ricerca”. Sembrerebbe quindi che il Consiglio Regionale abbia deliberato una spesa di quasi 400mila € per un progetto che non è ancora caratterizzato nei suoi particolari. Anche le modalità di monitoraggio e rendicontazione sono vaghe (“[il progetto] si conclude con una o più relazioni sull’attività compiuta”) e, non ultimo, gli stessi risultati del progetto, con “suggerimenti finalizzati all’uso clinico della metodica” caratterizzati come solo “eventuali”.

Se la carenza di dettagli non consente di fare molte altre valutazioni nel merito del progetto, le perplessità sulla Legge “Colon al sicuro” risiedono principalmente in due aspetti che la vicenda mette in evidenza agli occhi di chi si occupa di ricerca scientifica: la modalità di accesso ai finanziamenti per la ricerca e l’indipendenza di quest’ultima anche dalla politica.
L’assenza di una procedura comparativa tra progetti concorrenti e di una commissione di esperti indipendente per la valutazione del progetto di ricerca è davvero singolare soprattutto in questa Legge, “Colon al sicuro”, per non menzionare l’assenza del progetto medesimo. Non crediamo che il valore scientifico del progetto in questione, come di qualsiasi altro progetto scientifico, potrebbe essere riconosciuto da un consesso politico per quanto autorevole come un Consiglio Regionale.

Il finanziamento della ricerca, in società in cui le risorse diventano sempre più scarse e la competizione per queste più accesa, pone da sempre una questione di allocazione efficiente, specie quando si tratta di fondi pubblici. Da un lato, si vogliono scegliere quei progetti di ricerca che rispondono alle domande più impellenti della società; dall’altro è necessario preservare l’indipendenza dei ricercatori. Il ricorso a commissioni di esperti si basa su un principio abbastanza condiviso: sebbene la conoscenza prodotta sia di beneficio per la società tutta che la finanzia, la politica non possiede le capacità e le conoscenze necessarie né per realizzare quella ricerca né per valutare chi siano i soggetti più competenti per portarla avanti. La politica delega, dunque, la comunità scientifica per effettuare una revisione tra pari sulla base di alcuni criteri pre-stabiliti, anche con parametri extra scientifici (l’impatto sociale, la solidità progettuale, ecc.).

Negli anni, la creazione di appositi enti per l’allocazione di fondi, la nomina di commissioni di valutazione ex ante e in itinere e criteri internazionali per la valutazione di progetti di ricerca sono stati modi di rispondere a questo problema di massimizzare i benefici della ricerca per la società e garantirne l’indipendenza. È del tutto singolare e per certi versi contraddittoria, dunque, la legge regionale: da un lato, riconosce grande indipendenza ai ricercatori designati, dal momento che assegna quasi 400mila euro senza un piano di lavoro o una proposta progettuale, una fiducia inedita della politica verso la ricerca locale; dall’altro, non c’è trasparenza sui criteria che hanno portato a individuare proprio il gruppo di Bari come capofila di questo progetto e questo consorzio come il più indicato.

Alla politica spetta l’individuazione delle priorità di ricerca (auspicabilmente in processi partecipati con la cittadinanza) e l’esplicitazione dei criteri. Non si capisce però sulla base di quali motivazioni il Consiglio abbia scelto di potenziare un settore, quello della prevenzione secondaria del colon, a discapito di altri, come per esempio l’assistenza territoriale o prevenzione secondaria del più letale tumore al polmone (per restare in ambito sanitario) o, per variare, ricerche sulle vigne in grado di resistere alla peronospora o in generale alle sfide poste dal cambiamento climatico.L’auspicio è che in Puglia si possa fare ricerca non solo un “tanto al colon”, ma seguendo dei criteri più trasparenti con processi partecipati e preservando l’indipendenza dei ricercatori.Se invece passa l’idea che si può fare ricerca scientifica solo a discrezione della politica, ciò non potrà che aggravare le difficoltà in cui si dibattono i nostri ricercatori e il motto usato dal primo firmatario della proposta di legge “Colon al sicuro” per annunciarne l’approvazione, e cioè che questa è “la politica che serve”, potrebbe essere inteso in una ben diversa e triste locuzione: “un politico serve” anche per fare ricerca scientifica.

Maurizio Portaluri

Medico oncologo. Brindisi

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