Qualche ulteriore riflessione sulla tragedia aerea dell’airbus della Germanwings
Della tragedia dei giorni scorsi che è costata la vita a 150 persone tra passeggeri ed equipaggio ormai è stato detto tutto quel che si poteva dire in base ai dati che sono emersi sulla stampa e dalle fonti ufficiali.
E’ chiaro che se la ricostruzione dell’evento corrisponde alla realtà, la prima considerazione da fare è che per quanto riguarda la sicurezza aerea, come per qualsiasi altro mezzo di trasporto, collettivo o individuale, non è possibile prevedere tutte le migliaia di variabili che portano ad un incidente. A maggior ragione quando l’imprevedibilità deriva dall’inferno della mente umana: perché proprio di questo sembra si stia parlando in questo caso.
Ciò premesso, è indispensabile che le dovute correzioni alle procedure siano studiate e poi definite come standard operativo per tutte le compagnie aeree. Anche se, è bene dirlo, la più volte richiamata presenza di un assistente di volo quando si assenta “fisiologicamente” un pilota dalla cabina di pilotaggio per pochissimi minuti, non può impedire alla follia di farsi strada. Quasi sicuramente anche in presenza del Comandante, la follia suicida/omicida si sarebbe scatenata ugualmente, magari in forma diversa, ma con le stesse conseguenze.
E allora questa triste e drammatica vicenda ci porta a fare anche alcune diverse considerazioni.
Un lavoro come quello svolto dentro un tubo metallico a 10.000 metri da piloti e assistenti di volo, come quello di un minatore a 1.000 metri sotto il suolo, o quello di un macchinista di treni o di un autista di autobus, o di un operatore dentro una centrale elettrica o addirittura nucleare, produce un livello di stress molto elevato.
E allora sarebbe logico costruire intorno a tali attività un clima ed una situazione lavorativa che non aumenti ulteriormente il livello di stress ed evitare così la possibile emersione o addirittura l’esplosione di contraddizioni magari già latenti nell’intimo di un uomo o di una donna.
Purtroppo non è ciò che accade!
Per rimanere nell’ambito dell’aviazione commerciale, questo è un lavoro relativamente giovane (60 anni) che ha visto negli ultimi 30 un forte sviluppo tecnologico e dell’attività ed ha subito una liberalizzazione senza precedenti. Un lavoro che si è radicalmente trasformato: non più un’attività che aveva dei ritmi accettabili e comunque compensati da lunghi periodi di riposo e recupero psico-fisiologico, ma un vero e proprio tour de force continuo.
Tanti giorni e tante notti fuori dal proprio ambiente naturale e dai propri affetti, notti lavorate, spesso poco sonno, pasti irregolari, lavoro a 10.000 metri con problemi di scarsità di ossigeno (la quota interna della cabina equivale normalmente ad un’altitudine di 2.000 metri) ed effetti importanti sul sistema circolatorio e scheletrico, radiazioni ionizzanti, un lavoro nel quale non puoi sbagliare e che ti impone un’attenzione costante, effetti sul corpo e sulla psiche dovuti al cambio continuo di fusi orari. In più tantissime ore di volo rispetto al passato, servizi che spesso superano le 14 – 15 ore continuative ecc. ecc. ecc…..
Si potrebbe continuare ma in sintesi quella sugli aerei è un’attività operativa che richiede un impegno e uno sforzo fisico e psichico eccezionale.
Negli ultimi 30 anni si è liberalizzato l’intero mercato del trasporto aereo, si è privatizzato tutto ciò che prima era sotto il controllo pubblico (non solo in Italia), si sono abbassati i costi dei biglietti e contestualmente, per mantenere inalterati i margini di guadagno, tra le altre cose si sono aumentati i ritmi di lavoro spesso al limite della sopportazione.
In un fisico e una psiche giovane e sana questa situazione produce affaticamento, stress, tante malattie che spesso portano all’inabilità al volo (che è cosa diversa dall’invalidità), ma non comportano effetti per i passeggeri, anche per la professionalità e l’esperienza dei lavoratori.
Ma ora la corda si sta tirando troppo e non è certo improbabile che tale tensione continua faccia esplodere contraddizioni latenti, sempre possibili nella psiche umana, e che in un lavoro “normale”, anche se duro e faticoso, sarebbero difficilmente emerse in modo così drammatico.
Sarebbe quindi più che opportuno, come ripetiamo ormai da quasi 30 anni, rivedere complessivamente le norme internazionali sull’impiego e le condizioni di lavoro degli equipaggi.
Sono necessarie anche norme e condizioni molto più restrittive quando si concedono autorizzazioni all’attività aeronautica a soggetti che non dimostrano caratteristiche e affidabilità tali da renderlo un vettore aereo che deve trasportare esseri umani a 10.000 metri di altezza….. soprattutto in sicurezza.
In definitiva, in questa attività, come in tante altre, sarebbe proprio il caso di tornare ad aziende pubbliche che non facciano del guadagno a tutti i costi il filo conduttore che avvelena il lavoro e le sue condizioni.
30/3/2015 www.usb.it
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