Quali prospettive per l’offensiva israeliana in Libano?
Corrispondenza inviata da Mauro Vezzosi
Pur conducendo una politica di annientamento nei confronti della popolazione di Gaza e pur avendo inflitto importanti perdite ad Hamas le forze israeliane sono lontanissime degli obiettivi annunciati nell’ottobre 2023, così come dal controllo di Gaza. Impantanate lì da oltre un anno le forze israeliane stanno incontrando serie difficoltà nelle operazioni terrestri a ridosso del confine libanese, subendo perdite significative sotto il fuoco costante di Hezbollah. Oltre a colpire con sistematicità Beirut e la valle della Bekaa i bombardamenti aerei israeliani stanno radendo al suolo interi villaggi di confine, nella convinzione che questa scelta possa rendere praticabile la penetrazione terrestre, al momento pressoché in stallo. Gli scarsi successi nelle operazioni terrestri potrebbero far prediligere alla dirigenza israeliana la destabilizzazione interna del Libano, trascinando il paese in una nuova guerra civile.
In Italia è passato quasi inosservato il primo attacco israeliano ad una posizione sul confine occupata dall’esercito libanese, fino ad oggi rimasto del tutto a latere dello scontro tra Hezbollah e le forze israeliane. Come se non bastasse l’aviazione israeliana martedì scorso ha bombardato per la prima volta anche nel nord del Libano colpendo il villaggio di Aito – peraltro a maggioranza cristiana – con un bilancio di almeno 8 feriti e 21 morti. Un eventuale allargamento delle operazioni terrestri israeliane alle alture del Golan, alla Siria sud-occidentale e addirittura alla Giordania costituirebbe un aumento dei rischi per Tel Aviv, così come per l’intera regione.Sul confine meridionale del Libano gli attacchi israeliani al contingente UNIFIL si sono ormai fatti consuetudine: i comunicati stampa e le proteste formali difficilmente faranno ricredere l’attuale dirigenza israeliana della loro inopportunità. Certo è che UNIFIL rappresenta un ostacolo per le ambizioni di Tel Aviv che ne pretende, in un modo o nell’altro, il ritiro o addirittura lo smantellamento. Uno scenario che liquiderebbe decenni di lavoro politico e diplomatico, riducendo fortemente il ruolo dei paesi coinvolti – come l’Italia – e lascerebbe campo libero alle manovre israeliane.
E’ opportuno ricordare come la macchina bellica israeliana non avrebbe avuto e non avrebbe alcuna possibilità di realizzare i principali attacchi in tutta l’area in cui la guerra è già un dato di fatto – Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Yemen – senza le colossali e costanti forniture statunitensi.Gli avvenimenti delle ultime settimane in Libano sembrano il prologo di una lunga guerra: rispetto a questa possibilità occorre avere chiaro come né Hezbollah e né l’Iran mai accetteranno un cessate il fuoco in Libano slegato da un cessate il fuoco a Gaza ed in Cisgiordania. Intanto Tel Aviv sta facendo già i conti con seri problemi economici causati dagli attacchi provenienti dal Libano, dal reclutamento di uomini e dalla paralisi del porto di Elat provocata dagli attacchi nel Mar Rosso delle milizie di Ansar’allah (Houthi). Sia sul piano economico che su quello politico interno Tel Aviv potrebbe non reggere l’urto di uno scontro di lungo periodo ad intensità variabile: in Libano così come a Gaza il tempo sembra giocare tutto contro Israele.
Commento di Maurizio Vezzosi. Beirut, 16 ottobre 2024
16/10/2024
Maurizio Vezzosi, analista e reporter freelance. Collabora con RSI Televisione Svizzera, LA7, Rete4, L’Espresso, Limes, l’Atlante geopolitico di Treccani, il centro studi Quadrante Futuro, La Fionda ed altre testate. Ha raccontato il conflitto ucraino dai territori insorti contro il governo di Kiev documentando la situazione sulla linea del fronte. Nel 2016 ha documentato le ripercussioni della crisi siriana sui fragili equilibri del Libano. Si occupa della radicalizzazione islamica nello spazio postsovietico, in particolare nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Kirghizistan. Nel quadro della transizione politica che interessa la Bielorussia, nel 2021 ha seguito da Minsk i lavori dell’Assemblea Nazionale. Tra la primavera e l’estate del 2021 ha documentato il contesto armeno post-bellico, seguendo da Erevan gli sviluppi pre e post elettorali. Nel 2022, dopo aver seguito dalla Bielorussia il referendum costituzionale, le trattative russo-ucraine, e sul campo l’assedio di Mariupol, ha proseguito documentare la nuova fase del conflitto ucraino. Nel 2023 ha continuato a documentare la situazione nelle aree di Lugansk, Donetsk, Zaporozhe e Kherson sotto controllo russo. Durante l’estate si è recato in Georgia approfondendo la situazione sociale e politica della repubblica caucasica. A settembre ha partecipato al’AJB DOC Film Festival (Al Jazeera Balkans) di Sarajevo e al festival Visioni dal Mondo di Milano con il documentario “Primavera a Mariupol” (Spring in Mariupol). È assegnista di ricerca presso l’Istituto di studi politici “S. Pio V”.
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