Quando il lavoro di cura impoverisce

Teresa Barbieri, Michele Bavaro e Valeria Cirillo, mettendo assieme un approccio femminista e recenti studi sul mercato del lavoro, indagano l’impatto che il lavoro di cura non retribuito ha sui percorsi di carriera di uomini e donne. A questo fine, esaminano empiricamente il modo in cui le responsabilità di cura, in particolare quelle dopo la nascita del primo figlio/a, influenzano le transizioni occupazionali per gli uomini e per le donne all’interno della stessa coppia.

Secondo i dati del Global Gender Gap Report del 2022 curato dal Word Economic Forum, la quota di tempo che le donne impiegano mediamente in lavoro di cura non retribuito è oltre il doppio rispetto a quella degli uomini. Questo divario di genere non sembra, inoltre, essere diminuito nel corso del tempo. Il lavoro di cura non retribuito svolto all’interno delle mura domestiche impedisce l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro e porta a discriminazione salariale con conseguente aumento per le donne della probabilità di trovarsi in condizione di povertà nonostante lavorino, come conferma il dato sull’incidenza dei bassi salari in Italia, che, nel 2018, era molto più elevata fra le donne ( 38%) che fra gli uomini (24%; Bavaro, Granaglia e Luongo, 2022).

Nonostante negli ultimi decenni vi sia stato un incremento dei tassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro – come risulta dal maggior tasso di occupazione – le loro condizioni lavorative non sembrano, dunque, essere migliorate. Quell’incremento, infatti, sembra essersi accompagnato ad un’espansione del lavoro non-standard, a bassa qualifica e, soprattutto, a modesta intensità lavorativa. È proprio il lavoro part-time a rivestire un ruolo cruciale nello spiegare le persistenti disuguaglianze di genere che caratterizzano il contesto italiano (si veda al riguardo il recente lavoro di Depalo e Lattanzio, 2023). Basti pensare che in Italia il 74% del lavoro part-time è svolto da donne e, all’interno di questa percentuale, il 64,5% si configura come part-time involontario (ISTAT, 2021), a sostegno della tesi secondo la quale il ricorso al part-time rappresenta sempre più spesso una strategia di allocazione del lavoro da parte delle imprese piuttosto che una ‘spontanea’ scelta di conciliazione vita-lavoro da parte delle donne.

Laddove il lavoro part-time rappresenta una ‘scelta’, quest’ultima è sovente guidata da condizionamenti di genere e norme sociali che plasmano in modo sostanziale le aspettative di bambine e bambini generando aspirazioni e motivazioni diverse rispetto al lavoro di cura (Folbre, 2012). In questo contesto, l’Italia è un paese in cui il sostentamento familiare risulta essere piuttosto ancorato ad un modello cosiddetto di male breadwinner, secondo il quale alla donna spetterebbe il lavoro di cura non retribuito all’interno delle mura domestiche e all’uomo quello salariato nel mondo del lavoro. Per inquadrare al meglio il contesto italiano, bisogna tener presente che strutture familiari ancora fortemente patriarcali (Aloè et al., 2024[VC5] ) si riproducono in un contesto economico caratterizzato da un mercato del lavoro sempre più precario, nel quale le imprese ricorrono in modo crescente all’uso del part-time (Tijdens, 2002[VC6] ; Cirillo e Reljic, 2024[VC7] ) e aumenta la quota di lavoratori a basso salario (Bavaro, 2022[VC8] ; Bavaro e Raitano, 2024[MR9] ).

Se il lavoro di cura è ripartito in maniera fortemente disuguale ed il mercato del lavoro è flessibile, cosa accade all’interno della famiglia dopo la nascita del primo figlio? In un nostro recente contributo esploriamo se, rispetto ai partner, le donne hanno maggiore probabilità di sperimentare una transizione occupazionale e salariale verso il basso.

Avvalendoci del database integrato AD-SILC che unisce le rilevazioni dell’indagine campionaria IT-SILC dal 2004 al 2017 ai dati amministrativi dell’INPS, abbiamo selezionato tutte le coppie che hanno avuto un figlio/a nel periodo considerato; tale selezione non sarebbe stata possibile con i soli dati amministrativi che non registrano i legami familiari. L’indagine IT-SILC, oltre alle informazioni sulla famiglia, contiene anche informazioni sulle caratteristiche demografiche dei lavoratori e delle lavoratrici come, ad esempio, il livello di istruzione. Dai dati amministrativi abbiamo, invece, tratto le informazioni relative alla carriera lavorativa delle madri e dei loro partner.

Abbiamo selezionato le coppie che hanno avuto un figlio tra il 1995 e il 2016 con l’intento di confrontare la loro condizione occupazionale prima e dopo la nascita del primo figlio/a. Siamo riusciti ad individuare 11.568 coppie e, dunque, un totale di 21.136 individui. Nella Tabella 1 presentiamo alcune statistiche riguardanti le coppie del campione, le informazioni sullo status occupazionale si riferiscono all’anno precedente quello di nascita del primo figlio/a. I dati mostrano grandi differenze in termini di condizione occupazionale già prima della nascita del figlio/a. In particolare, rispetto alle donne, i partner uomini, in media, sono molto meno disoccupati, tendono ad essere più occupati in posizioni full-time e in lavori ben pagati. Inoltre, gli uomini solitamente guadagnano di più all’interno della coppia. Le discrepanze negli esiti sul mercato del lavoro non hanno una corrispondenza con il livello di istruzione in quanto in media le donne sono più istruite degli uomini nel nostro campione.

Tabella 1. Statistiche descrittive delle coppie nel campione AD-SILC

UomoDonnaDifferenza
Disoccupato0,1750,373-0,197***
Part-time0,0190,088-0,069***
Full-time0,8050,5390,266***
Basso salario0,0630,096-0,033***
Alto salario0,7620,4990,230***
Età alla nascita32,27129,4082,863***
Istruzione: Scuola media0,3630,3000,063***
Istruzione: Diploma0,4790,507-0,028***
Istruzione: Laurea0,1580,193-0,035***
Guadagni più alti nella coppia0,5980,2730,325***

Note: Gli stati occupazionali sono osservati l’anno precedente la nascita del primo figlio. Gli stati di disoccupazione, part-time e full-time così come quelli di disoccupazione, basso salario e alto salario sono mutualmente esclusivi.

Considerate queste differenze nello stato di partenza, ci siamo interrogati sulla probabilità di transizione verso il basso nella coppia a seguito della nascita del primo figlio, un anno e tre anni dopo la nascita del primo figlio/a. Le possibili transizioni studiate sono tre: i) da occupazione a disoccupazione; ii) da occupazione full-time ad occupazione part-time o disoccupazione; iii) da occupazione ad alto salario ad occupazione a basso salario o disoccupazione. Abbiamo utilizzato un modello probit con correzione per la selezione del campione, al fine di controllare per la probabilità di essere nello status iniziale (Van de Ven and Van Praag, 1981[VC10] ). La Tabella 2 presenta i principali risultati relativamente agli effetti marginali di genere.

Le donne, rispetto ai loro partner, hanno una probabilità di transitare verso la disoccupazione ben maggiore di quella dei loro partner e il differenziale cresce con il passare degli anni: ad un anno dalla nascita è di 7,3 punti percentuali e a tre anni di 10,4 punti percentuali. Anche la probabilità di transitare dallo status di occupato full-time a occupato part-time o disoccupato è più alta per le donne rispetto ai partner uomini. Un anno dopo la nascita del primo figlio/a la probabilità per le donne di sperimentare una transizione verso il basso è più elevata di 21,2 punti percentuali, probabilità che diventa ancora più elevata tre anni dopo la nascita del primo figlio/a, toccando i 36,7 punti percentuali. Infine, quando analizziamo il passaggio dallo status di lavoratore ben pagato a quello di lavoratore a bassa retribuzione, notiamo che le donne hanno una probabilità di 9,5 punti percentuali più elevata degli uomini di sperimentare una simile transizione ad un anno dalla nascita del primo figlio/a e di 12,8 punti percentuali dopo tre anni.

In sintesi, le penalità per le partner in termini di maggiore probabilità di transizione verso il basso per tutte e tre le specifiche occupazionali ‘peggiori’ sono notevoli. La tendenza alla mobilità verso il basso si acuisce inoltre col passare dal breve al medio periodo dopo la nascita del figlio/a. Va anche notato che la differenza di genere per la transizione verso il basso in termini di lavoro part-time è più rilevante di quelle in termini di disoccupazione e bassi salari.

Tabella 2. Effetti marginali del genere femminile sulla probabilità di avere una transizione occupazionale verso il basso (modello probit con selezione del campione)

 Anni dopo nascita figlio
Tipologia di transizione1 anno3 anni
Da occupazione a disoccupazione0,0730,104
Da occupazione full-time a occupazione part-time o disoccupazione0,2120,367
Da occupazione con alti salari a occupazione con bassi salari o disoccupazione0,0950,128

Note: Per transizione si intende il passaggio dallo stato nell’anno prima della nascita del primo figlio/a a quelli negli anni successivi (1 e 3 anni)

I risultati mostrano, dunque, come la nascita del primo figlio/a incida in maniera estremamente diversa sullo status occupazionale delle donne rispetto a quello dei propri partner. Questo può sicuramente essere connesso al fatto che le donne sono sovente ‘schiacciate’ da quel lavoro di cura non retribuito iniquamente diviso all’interno delle mura domestiche. Emerge dunque la necessità di politiche volte a ridisegnare l’attuale modello organizzativo del lavoro di cura, che consentano alle donne di rimanere nel mercato del lavoro senza subire penalità dopo la nascita dei figli/e sia in termini di ore lavorate sia di salario. Perciò, se da un lato si rendono necessari interventi pubblici a sostegno dei servizi per l’infanzia, dall’altro l’Italia dovrebbe adeguare le norme sui congedi parentali [VC11] retribuiti affinché siano estesi temporalmente e resi obbligatori per gli uomini. Tali forme di riequilibrio della cura andrebbero accompagnate da una riconsiderazione delle norme relative all’uso di contratti flessibili, per evitare che le transizioni verso il basso con la maternità siano amplificate, ad esempio, dall’abuso del part-time da parte delle imprese.


 [VC1]https://www.weforum.org/publications/global-gender-gap-report-2022/in-full/2-2-gender-gaps-in-care-work/#:~:text=Based%20on%20an%20analysis%20of,)%2C%20which%20is%2055%25.

 [MB2]https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2022/11/FORUMDD_Rapporto-lavoro-povero_DEF_.x11008.pdf

 [VC3]https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2023-0801/index.html

 [VC4]https://www.russellsage.org/publications/love-and-money

 [VC5]https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/09538259.2024.2360503?src=exp-la

 [VC6]https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13545700210126553

 [VC7]https://www.researchgate.net/publication/379993277_The_North-South_Divide_A_Structural_Labor_Market_Perspective_in_Italy’s_fragmented_Landscape

 [VC8]https://www.inps.it/it/it/dati-e-bilanci/attivit–di-ricerca/pubblicazioni/workinps-papers/2022.html

 [MR9]https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0954349X24000444

 [VC10]https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/0304407681900282

 [VC11]https://www.ingenere.it/articoli/ripensare-congedi

Teresa Barbieri, Michele Bavaro, Valeria Cirillo

30/7/2024 https://eticaeconomia.it/

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