Quanta consapevolezza della truffa trai poveri al nord?
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Alberto Deambrogio Segretario PRC Piemonte
La consegna di 1.291.488 firme certificate ha rappresentato un passo significativo verso il referendum abrogativo delle norme riguardanti l’Autonomia Differenziata. Si tratta di una base materiale consistente, frutto del lavoro politico di chi si è speso, informando e convincendo, per rendere possibile un pronunciamento pubblico su una norma in grado di cambiare radicalmente il volto della nostra vita associata. Da questo punto di vista occorre ricordare chi per primo e da oltre cinque anni ci ha creduto con caparbietà: i Comitati contro ogni Autonomia Differenziata.
Peraltro la risposta notevole della cittadinanza, oltre ogni livello di iniziale aspettativa, ha registrato un impegno territoriale niente affatto di alcune delle forze che hanno promosso il quesito. Spesso sono state le associazioni e i gruppi locali che hanno dimostrato un attivismo convinto e intelligente, mentre soggetti politici più organizzati e facenti parte del centro sinistra si sono dimostrati incapaci di andare oltre un impegno formale e a macchia di leopardo a seconda dei luoghi.
E’ del tutto evidente che gli impegni pregressi a favore dell’Autonomia Differenziata hanno lasciato i loro strascichi e spesso le giustificazioni per difendere il passato sono state al limite dell’imbarazzante. Nei fatti, a iniziare da esponenti di punta del PD come ad esempio Livia Turco, la giustificazione presentata suonava più o meno così: la legge attuale è un obbrobrio, ma è un testo molto diverso da ciò che noi avevamo pensato e proposto. Sta di fatto che le preintese, siglate con convinzione anche dall’ex governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini, dimostrano la pochezza di quelle argomentazioni e le fanno somigliare a una difficile scalata sui vetri.
Il voto, che dovrebbe tenersi tra maggio e giugno del prossimo anno, deve ancora rispettare il pronunciamento della Corte Costituzionale, che si espliciterà nel mese di novembre. Su questo passaggio decisivo pesa anche l’ombra dei quesiti parzialmente abrogativi, inutili e dannosi promossi da cinque Regioni a guida centro-sinistra.
In ogni caso il lasso di tempo che si apre davanti a noi diventa strategico per ottenere un risultato positivo sia in termini di quorum da raggiungere, sia in termini di vittoria finale dell’opzione totalmente abrogativa. E’ del tutto evidente che per arrivare a questo combinato disposto occorre continuare l’azione di informazione e formazione, nonché accompagnarla a una stagione di mobilitazione sociale rinnovata su alcuni temi sociali, come ad esempio il salario minimo (su cui Unione Popolare ha depositato una legge importante), o il diritto alla salute (intorno a cui si è stentato sinora a organizzare una vertenza nazionale significativa e duratura). In assenza di tutto questo il raggiungimento del quorum non è affatto assicurato.
Nel ridislocare l’impegno politico futuro è utile agire anche per affrontare alcuni nodi specifici, cercando di articolare il ragionamento oltre i sacrosanti richiami generali alla solidarietà complessiva, posta solo in termini etici. Mettere a critica l’efficacia del progetto di Autonomia Differenziata al nord significa affrontare di petto alcune argomentazioni, spesso usate con un certo successo, che intendono dimostrare i grandi vantaggi che arriverebbero per la parte più ricca del Paese. In questo fare da soli, con le proprie risorse e liberi da zavorre c’è una grande mistificazione, tutta a sfavore degli strati popolari.
Se guardiamo al Piemonte, alla sua struttura industriale e alla verticale crisi di Stellantis, non possiamo non capire che un indebolimento dei poteri statali, che hanno il compito di condurre politiche pubbliche, porterebbe a un esiziale ulteriore disfacimento. Chi pensa di essere più forte andando col marchio regionale a confrontarsi con altri stati come ad esempio la Germania (peraltro in guai grossi a causa dei ritorni negativi delle scelte fatte sul conflitto russo ucraino), si sbaglia di grosso. La forza negoziale di una regione non potrà che essere molto debole e lo scotto di tutto ciò lo pagheranno soprattutto lavoratrici e lavoratori.
Per essere competitive le aziende del nord non potranno che perseguire, ancora di più e in modo suicida, il solito abbassamento del costo del lavoro e delle tutele ambientali. E’ facile preconizzare una gara interna a chi offre condizioni più vantaggiose con una corsa ad evitare delocalizzazioni. Chi avrà la fortuna di continuare a lavorare lo farà in condizioni peggiori di prima e con salari da fame.
Accanto a ciò, come se non bastasse, bisognerà mettere in conto un aumento del contenzioso tra Stato e regioni e tra pubblico e privato, con una mobilità della forza lavoro limitata. I danni ci saranno soprattutto per le aziende più importanti che operano sul territorio di più regioni e che spesso hanno sede al nord.
Anche dal punto di vista finanziario si determineranno problemi rilevanti. Con una parte consistente del gettito tributario che sarà in capo alle regioni, bisognerà vedere quali reazioni avranno i creditori internazionali, che come noto non guardano in faccia a nessuno se si tratta di speculare. A fronte di un probabile declassamento dei nostri titoli, avremmo il solito corrispettivo naturale dell’aumento dei tassi di interesse. Il che in soldoni significa ancora più soldi da bruciare per pagare i creditori sul mercato finanziario e ancora meno risorse da dedicare allo stato sociale.
Se volgiamo lo sguardo alle politiche sanitarie, terreno su cui la supposta efficienza delle regioni del nord ha dato prova pessima durante la pandemia da Covid, possiamo vedere un secondo lampante esempio di falsa promessa. Già la situazione attuale, frutto della scellerata riforma costituzionale del 2001, dimostra quanto sia stato deleterio il passaggio di responsabilità nodali alle regioni. In un contesto di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale assolutamente insufficiente, sono cresciute le disparità in coppia con la frustrazione delle persone e la mancanza di partecipazione democratica.
Il salto di qualità che arriverebbe dall’Autonomia Differenziata sarebbe del tutto negativo e per quanto riguarda il nord vedrebbe un aumento esponenziale della presenza del privato a gestire fette sempre più grandi dell’ormai negletto diritto alla salute. Se guardiamo al Piemonte, vediamo che negli ultimi anni operatori privati hanno già messo più di un piede in parecchie attività, soprattutto di tipo diagnostico e riabilitativo, senza disdegnare sperimentazioni nel settore direttamente ospedaliero.
In regime di Autonomia, con le mani libere su ogni scelta strategica, gli affidamenti aumenterebbero con la solita scusa di aumentare l’efficienza e ridurre i costi. Il risultato finale sarebbe un sistema salute di qualità infinitamente più bassa e, in ogni caso, dove ad avere le prestazioni migliori sarebbero le persone che se le possono pagare.
Come si vede anche alla fine di questo secondo esempio sono esattamente le donne e gli uomini che stanno peggio, anche al nord, ad avere tutto l’interesse a che l’Autonomia Differenziata non diventi operativa e venga anzi cancellata.
Le battaglie da fare nelle prossime settimane dovranno tener conto anche di queste contraddizioni da svelare. Invece di avere solo occhi per il sondaggio di turno, come troppo spesso accade alla politica oggi, occorrerà rimettersi ad un lavoro determinato e paziente di ricostruzione di terreni conflittuali in grado di agire in più direzioni e di connettersi tra loro. E’ questa la sfida non solo per quanto riguarda l’Autonomia Differenziata, ma più in generale per la costruzione di una alternativa reale nel nostro Paese.
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