Quante ‘linee rosse’ deve violare la NATO prima che la Russia s’incazzi davvero?

Il continuo superamento delle cosiddette “linee rosse” senza una risposta da parte della Russia è interpretato dagli analisti occidentali come un segno di debolezza. Tuttavia, la strategia di Mosca sembra seguire una logica diversa e le risposte ci sono sempre state e hanno inflitto danni potenzialmente decisivi.

Quante ‘linee rosse’ deve violare la NATO?

Il confronto tra NATO e Russia si è inasprito sempre di più negli ultimi mesi di conflitto in Ucraina. Questo processo è stato segnato da una serie di provocazioni e violazioni delle cosiddette “linee rosse” stabilite dal Cremlino, che rappresentano i limiti oltre i quali la Russia considera inaccettabile l’ingerenza occidentale.

Le linee rosse sono sono sostanzialmente una costruzione occidentale, nel senso che sono le leadership di USA e Europa che, di volta in volta, decidono cosa sia una ‟linea rossa” per Mosca e discutono se violarla o meno costituisca un pericolo, per poi concludere sempre che non lo è, per poi fornire nuovi armamenti o autorizzare diversi tipi di operazioni ucraine, dagli attacchi al ponte di Crimea e dai droni su Mosca per arrivare all’invasione di Kursk.

A tutto ciò da una mano l’apparato mediatico messo su per accompagnare questo conflitto, che da spazio a presunti “tira e molla” tra gli alleati prima di dare l’ok alle ulteriori escalation, come a voler dimostrare che sono stati costretti dai fatti ad aumentare il coinvolgimento diretto, quasi controvoglia.

L’ultimo caso emerso dalla nebbia delle informazioni non confermate, riguarderebbe un lancio di droni ucraini, modificati sulla base dell’ultraleggero A-22 Foxbat, lanciati dal territorio della Finlandia in un attacco mirato alla strategica base aerea russa ‘Olenya’ nella regione di Murmansk, un’area chiave de sistema di sicurezza nucleare della Federazione Russa. All’operazione avrebbero partecipatp due aerei da ricognizione elettronica Gulfstream della Svezia, che avrebbero svolto un ruolo cruciale nell’individuazione dei bersagli.

Ovviamente nessuno dei soggetti coinvolti dal lato ‘atlantico’ ha confermato la notizia, che sarebbe potenzialmente un atto di aggressione diretto della NATO.

Ma intanto sui media e nelle cancellerie occidentali, almeno secondo le cronache ufficiali, si continua a dibattere sull’autorizzazione ‘ufficiale’ da concedere a Kiev a colpire in profondità nel territorio russo.

A dare ulteriore materiale ai commentatori è stato il commento di Vladimir Putin riguardo l’utilizzo dei missili ATACMS contro la Russia, autorizzato, secondo alcuni, dal segretario di Stato americano Antony Blinken.

L’uso dei missili ATACMS e la violazione delle “linee rosse”

I missili ATACMS, dotati di una portata fino a 300 chilometri e di sistemi di puntamento GPS, richiedono, secondo Putin, l’intervento diretto dell’Alleanza e rappresenterebbero una violazione delle sue linee rosse. Questo tipo di azioni, però, non è nuovo nel contesto dell’escalation tra Russia e Occidente. Fin dal 2014, con il colpo di stato in Ucraina e la conseguente guerra nel Donbass, la NATO ha progressivamente sfidato i limiti imposti da Mosca.

La presenza militare della NATO in Ucraina è il segreto di Pulcinella. Secondo il Cremlino, gli attacchi contro il territorio russo, come quelli effettuati con droni, rappresentano una violazione della sovranità russa.

Tuttavia, l’implicazione dei missili ATACMS, con il loro sistema di puntamento sofisticato e la necessità di supporto a terra da parte della NATO, ha un peso diverso rispetto agli attacchi con droni.

Quindi non si tratta tanto di permettere all’Ucraina di colpire la Russia con queste armi, dice Putin, ma di constatare ufficialmente chese i paesi NATO sono direttamente coinvolti nel conflitto.

Se l’autorizzazione verrà concessa significa che lo sono e questo cambierebbe e la natura del conflitto. Ciò significa, nelle parole di Putin, che ‟i paesi NATO, gli Stati Uniti e i paesi europei sono in guerra con la Russia”, che quindi dovrà prendere ‟decisioni appropriate” in base alle minacce che le verranno poste.

La percezione occidentale delle “linee rosse” russe

Il continuo superamento delle “linee rosse” russe senza una risposta proporzionata da parte del Cremlino è spesso interpretato dagli analisti occidentali come un segno di debolezza di Putin.

Tuttavia, la strategia della Russia sembra seguire una logica diversa. Le “linee rosse” sono state al centro della decisione di avviare la cosiddetta “Operazione Speciale” in Ucraina, provocata, secondo la narrazione russa, dall’espansione della NATO verso est e dal mancato rispetto della neutralità ucraina.

La progressiva sfida occidentale a queste linee è vista come un tentativo di minare la posizione della Russia come attore globale e riportarla a un ruolo subalterno, come negli anni di Boris Eltsin.

Ogni violazione di queste linee viene sfruttata per alimentare la narrativa occidentale di una Russia sempre più fragile e incapace di reagire, ma anche all’interno della Russia stessa queste percezioni possono avere ripercussioni.

Il Cremlino teme che segni di debolezza nel potere centrale possano alimentare tensioni interne, come avvenuto storicamente durante i periodi di crisi del potere zarista e sovietico.

In realtà, ad ogni presunta violazione delle linee rosse, la Russia ha reagito esponenzialmente. È sufficiente ripercorrere come è cambiata nel tempo la posizione russa riguardo agli obiettivi del conflitto. Rimanendo invariati i principi di un’Ucraina fuori dalla NATO e della Crimea sotto controllo russo (la prima escalation, se così vogliamo definirla), prima dell’inizio delle ostilità l’obiettivo russo era mantenere il Donbass all’interno dell’Ucraina con ampia autonomia.

Con l’avvio del conflitto, l’obiettivo è diventato l’inclusione del Donbass nella Federazione Russa. Dopo la sospensione dei negoziati di pace in Turchia, gli obiettivi si sono allargati includendo Donbass, Cherson e Zaporožie nella Federazione Russa. A seguito dei primi attacchi sul suolo russo, l’obiettivo si è esteso ulteriormente, comprendendo il Donbass, Cherson, Zaporožie e una “fascia di sicurezza” al confine.

Ognuna di queste modifiche è stata una risposta di contro-escalation, più o meno diretta, a un’escalation politica, economica o militare dell’Occidente o dell’Ucraina, che si trattasse di nuove sanzioni, l’uso dei sistemi HIMARS, l’invio di carri armati, F-16 o altre misure. Si è trattato di una contro-escalation di natura convenzionale, con obiettivi sempre più ampi e una crescente radicalizzazione nella scelta dei bersagli.

Il ruolo dell’Occidente e le strategie fallite

L’obiettivo principale dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, sembra essere quello di portare la Russia a un collasso interno, attraverso un mix di pressioni economiche e militari. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Occidente ha imposto sanzioni che avrebbero dovuto strangolare l’economia russa, sperando di provocare un crollo del regime di Putin. Tuttavia, questo piano non ha prodotto i risultati sperati.

Nonostante le pesanti sanzioni, la Russia è riuscita a mantenere un’economia funzionante, grazie soprattutto al sostegno della Cina e alla riorganizzazione delle proprie esportazioni verso il mercato asiatico. Militarmente, la guerra si è trasformata in un conflitto di posizione, senza i rapidi sviluppi che ci si attendeva. In questo contesto, l’Occidente, privo di alternative strategiche, ha continuato a violare le linee rosse russe, alimentando l’escalation del conflitto.

La posizione dell’Europa: tra sacrificio e dipendenza

Mentre gli Stati Uniti mantengono una posizione dominante, l’Europa sembra essere quella che subisce maggiormente le conseguenze di questa guerra. In un eventuale scontro diretto tra Russia e NATO, l’Europa sarebbe la prima a pagare il prezzo delle azioni occidentali, essendo geograficamente vicina al teatro di guerra.

Questa situazione è ancora più critica considerando la possibilità dell’uso di armi nucleari tattiche, che, nella dottrina russa, non comporterebbero necessariamente una guerra nucleare totale, ma verrebbero considerate una forma di guerra convenzionale.

L’Europa, dunque, appare come il “parafango” sacrificabile in questa escalation, mentre gli Stati Uniti, relativamente più sicuri, continuano a spingere verso la violazione di altre linee rosse, sapendo che difficilmente Putin risponderà con un attacco diretto sul suolo americano.

Quali prospettive per il futuro?

Di fronte a questa progressiva escalation, le opzioni di Putin sembrano restringersi sempre di più. Se i missili ATACMS dovessero causare danni significativi o cambiare la percezione dell’opinione pubblica russa in maniera decisiva, il Cremlino potrebbe essere costretto a reagire in modo più aggressivo. Una risposta forte potrebbe portare a uno scontro diretto con la NATO, facendo scattare l’articolo 5 dell’Alleanza e coinvolgendo l’Europa in un conflitto su larga scala.

La speranza, per evitare un’escalation incontrollabile,molto banalmente, è che l’eventuale e sempre più probabile utilizzo delle armi a lungo raggio della NATO non causi danni tali da scatenare una reazione massiccia da parte della Russia. Che sia una finestra di ‘escalation controllata’ per andare a una trattativa più onorevole per Kiev, ormai sull’orlo di una disfatta nel Donbass.

Tutti gli altri scenari sono potenzialmente un incubo. C’è ancora qualcuno che abbia un minimo di buon senso nelle leadership occidentali?

Alexandro Sabetti

17/9/2024 https://www.kulturjam.it/

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