Quattro punti sull’emergenza politica e umanitaria che collega Idlib all’Europa
- Nella notte tra giovedì 27 e venerdì 28 febbraio nei pressi di Idlib in Siria, un bombardamento aereo condotto dall’esercito del regime di Assad o dai suoi alleati russi ha ucciso 29 soldati turchi. I militari di Erdogan sono impegnati nella regione a sostegno delle milizie jihadiste. Sin dall’inizio della rivolta, poi diventata guerra, la zona di Idlib ha mostrato una forte opposizione ad Assad. Nell’area interessata dall’escalation militare di questi giorni vivono circa un milione di persone. La loro unica via di fuga dalle bombe è la fontiera con la Turchia. Dopo l’umiliazione subita da Erdogan con la perdita di 29 soldati, il Sultano ha usato la sua più forte arma di ricatto: i 3,5 milioni di profughi, soprattutto siriani, che in cambio di 6 miliardi di euro ricevuti dall’Unione Europea aveva accettato di tenere sul suo territorio. Il presidente turco non solo ha annunciato pubblicamente che la frontiera con l’Europa sarebbe stata aperta, ma ha iniziato un’azione proattiva di pressione sui migranti affinché raggiungano la frontiera. Ci sono notizie di attacchi a case e negozi di siriani in diverse parti della Turchia e di autobus che caricano i profughi e li portano sulla costa o a Evros, sul confine terrestre.
- Già venerdì sera lungo il fiume Evros, che divide la Grecia dalla Turchia, migliaia di rifugiati premevano per entrare in Europa. Quante persone si trovino in quella zona è al centro di una guerra di cifre. Per i turchi sarebbero 120 mila e diverse migliaia sarebbero già passate. Per i greci si tratta di 10 mila persone, per la maggior parte fermate a colpi di lacrimogeni e proiettili di gomma da polizia ed esercito di Atene. Alcune centinaia di persone che sono riuscite a passare sono state tratto in arresto. La Grecia ha sospeso per un mese la possibilità di presentare domanda di asilo, in deroga alla Convenzione di Ginevra. Al momento è certo che al confine greco-turco si stanno realizzando dei respingimenti di massa, che in quanto tali contraddicono tutte le normative internazionali che dovrebbe proteggere i richiedenti asilo. Ieri è circolato un video da fonti turche in cui si vede un uomo colpito da un proiettile di gomma esploso dal lato greco. L’uomo sarebbe morto. Ma le autorità greche smentiscono. In un altro video, invece, si vedono lacrimogeni lanciati dalla parte turca.
- Intanto sulle isole di Chios, Leros e Lesvos è ricominciato l’arrivo di rifugiati con le imbarcazioni di fortuna. Domenica è circolato un video in cui abitanti dell’isola di Lesbos impedivano lo sbarco a un gommone con una trentina di persone a bordo, tra cui vari minori e una donna incinta. In seguito all’episodio sono stati aggrediti due reporter tedeschi. Successivamente è partita una caccia all’uomo contro lavoratori delle Ong e giornalisti. Intanto lo Stage 2, luogo di ospitalità gestito dall’Unhcr nel nord dell’isola per diversi anni, è stato incendiato. Gruppi organizzati di neofascisti e abitanti dell’isola hanno iniziato a presidiare strade e punti sensibili. Come l’hotspot di Moria, da cui non si può entrare e uscire. Domenica pomeriggio c’è stato un corteo antifascista nella capitale dell’isola, Mitilini. Si continuano a verificare attacchi contro volontari e attivisti. Ieri sera diverse Ong e organizzazioni internazionali hanno deciso di evacuare l’isola. Sempre ieri è stato diffuso dai turchi un video in cui si vede un doppio attacco a un gommone con dei profughi a bordo: prima da parte di uomini incappucciati e poi della stessa guardia costiera greca che ha persino sparato dei colpi di arma da fuoco davanti alla piccola imbarcazione. Intanto un bimbo è morto nei pressi dell’isola perché la barca dove viaggiava si è ribaltata. Oggi a Chios, invece, è stato incendiato il magazzino “Solidarity in Chios” dove venivano conservati vestiti da distribuire tra i migranti. La situazione sulle isole si è deteriorata a partire dal 2015, dal primo grande flusso di rifugiati siriani. Le politiche europee che hanno affidato alla Grecia, in piena crisi economica, il compito di contenere i flussi diretti verso il cuore dell’Europa, hanno scaricato sulle isole un peso insostenibile per territori così piccoli. A fronte di circa 200 mila abitanti locali, i dati aggiornati al 25 febbraio parlano di oltre 42 mila profughi (e meno di 9 mila posti in accoglienza). Questa situazione ha prodotto l’aumento dei fenomeni di razzismo e xenofobia tra gli abitanti locali e distrutto la dignità e le speranze di costruire una vita migliore tra i profughi.
- Al momento è difficile immaginare cosa può accadere. La situazione è di una gravità enorme e sembra solo destinata a peggiorare. A Idlib continuano i bombardamenti e alcune fonti locali parlano di nuovi morti proprio oggi, tra loro ci sarebbero cinque bambini. Erdogan insiste nell’esercitare pressione sulla Ue attraverso l’uso di decine di migliaia di vite umane. Mentre è davvero difficile pensare che la Grecia possa farsi carico da sola di questa nuova emergenza umanitaria a fronte delle frontiere chiuse lungo tutta la rotta balcanica e mentre fascisti e sovranisti invocano l’invio degli eserciti per proteggere le frontiere contro le persone che fuggono dalla guerra, le istituzioni europee dovrebbero garantire i diritti umani delle migliaia di persone costrette dalla guerra ad abbandonare la propria casa. Ma al momento non pare abbiano la forza, la determinazione, la dignità e la legittimità per farlo. Associazioni e movimenti greci chiedono di manifestare nelle proprie città, davanti ad ambasciate e sedi istituzionali (a Roma domani previste due mobilitazioni alle 17: sotto la Commissione europea, in piazza Santi Apostoli, e davanti all’ambasciata greca).
Tutte le foto sono di Nicola Zolin, da Evros, il confine di terra tra Grecia e Turchia
3/3/2020 www.dinamopress.it
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