Quella fake new che si va diffondendo, l’Italia è ferma e non cresce per colpa delle rigidità sindacali
Il solito ritornello padronale, la vulgata alla quale anche il mondo politico e sindacale si sono piegati dimenticando che da tempo abbiamo perso ogni meccanismo di effettivo recupero del potere di acquisto e di contrattazione con sistemi di calcolo per i rinnovi contrattuali del tutto svantaggiosi.
Il capitalismo italiano ha vivacchiato tra ammortizzatori sociali e delocalizzazioni, ha ottenuto dai governi la deregolamentazione della legislazione in materia di lavoro e welfare, pochi investimenti tecnologici delocalizzando le produzioni ove il costo del lavoro era , ed è, piu’ basso.
Questa è la realtà incontrovertibile, oggi la scommessa del capitalismo italiano è quella di ottenere i soldi europei . Da qui nasce l’idea della crescita sostenibile e compatibile con l’emergenza Covid-19 , l’Italia ha bisogno di riforme di sistema, capaci di creare un ambiente più favorevole alle imprese e forti investimenti nell’istruzione, la ricerca e l’innovazione.
Quante volte lo abbiamo letto e ascoltato dalla bocca dei confindustriali?
Questa volta a dirlo è il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, critico verso i ritardi del sistema capitalista italiano con una crescita del Pil decisamente piu’ bassa degli altri paesi a capitalismo avanzato.
Si puo’ allora incolpare il sindacato di colpe non sue? Pensiamo di no, se il prodotto lordo è tornato ai livelli del 1993, ammesso e non concesso che il Pil sia il solo parametro da prendere in esame per fotografare la crescita di una economia, le responsabilità vanno individuate nell’idea che solo contenendo la spesa pubblica e il costo del lavoro saremmo usciti dalla crisi. Le ricette finanziarie dell’austerità hanno fallito, non solo l’economia è ferma ma anche la qualità della vita è peggiorata . Siamo fermi, per alcuni, alla fine degli anni ottanta, una data fatidica che segnava l’inizio dei processi di privatizzazione e delocalizzazione con il progressivo arretramento del sindacato. Oggi come allora, si torna a chiedere alla politica riforme strutturali, le politiche intraprese allora non sono state di aiuto all’economia, le ricette dell’austerità e delle delocalizzazioni hanno prodotto danni nefasti anche al sistema produttivo.
Il discorso del governatore arriva in un momento importante, le prossime settimane saranno decisive per accaparrarsi i fondi del Recovery Fund. E la merce di scambio è quella di mettere mano alle normative in materia di lavoro e welfare, riorganizzando (senza dire in che modo) la Pubblica amministrazione e il sistema dei controlli. Il richiamo di Visco allora si prefigge l’obiettivo di promuovere gli interventi richiesti dalla Ue , riorganizzare formazione e scuola, ammortizzatori sociali e ruolo dello Stato.
Anni fa Luciano Gallino spiegava che un vizio endemico del sistema produttivo italiano era rappresentato dal nanismo industriale e dalle eccessive dimensioni del lavoro autonomo, nel nostro paese ci sono 4,3 milioni di piccole imprese e 4,8 milioni di lavoratori autonomi. Ricordiamo ancora il sarcasmo della politica verso le analisi di Gallino che oggi vengono invece riscoperte per sposare le tesi dell’austerità temperata. Il paese è attraversato da un dibattito sui processi di ristrutturazione e sulle decisioni da intraprendere, da Industria 4.0 alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, dalle riforme dello Stato agli interventi necessari imposti dalla nuova sfida tecnologica.
Si tratta solo di capire quale ruolo voglia assumere il sindacato e la politica, se ci accontenteremo di essere le mosche cocchiere del capitale emergente o se invece pensiamo di operare in termini conflittuali e allo stesso tempo propositivi per indirizzare il paese verso riforme che restituiscano potere di acquisto ai salari e di contrattazione al sindacato con una idea della rappresentanza che non premi i sindacati complici ma la democrazia nei luoghi di lavoro.
Federico Giusti
6/9/2020 http://www.controlacrisi.org
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