Quella piaga del lavoro povero e la responsabilità del sindacato
Un’indagine del Cnel sul fenomeno del cosiddetto “Working poor”, ossia sui lavoratori a bassa remunerazione, ben rappresenta l’involuzione del quadro sociale nel nostro paese. La crisi economica ,la legislazione sul lavoro dei governi e la sudditanza sindacale hanno sconvolto il senso stesso del salario, oggi sempre meno sufficiente a vivere una vita dignitosa. Calano le ore lavorate pro capite perché molti sono costretti ad accettare una riduzione d’orario come unica alternativa al licenziamento, calano le retribuzioni orarie e mensili. La gran parte di coloro che si ricollocano in un nuovo lavoro trovano paghe orarie e retribuzioni mensili più basse. Essere in lavoro Part-time, essere un precario, avere una bassa qualifica , essere del sud ed essere donna significa pagare un prezzo doppio alla crisi, soprattutto quando poi, e succede spesso, si è insieme tutto questo. Nei primi anni del ventunesimo secolo abbiamo denunciato il rischio che il lavoro perdesse dignità e valore.
E siamo stati sconfitti. Non siamo stati in grado di arrestare l’aggressione ai diritti ed alle tutele del lavoro e il processo di spoliazione continua oggi imperterrito e indisturbato, reso persino legale dal sistema costruito con l’accordo del 10 gennaio che consente la contrattazione di restituzione. Il lavoro povero è anche responsabilità diretta quindi della pochezza sindacale di questi anni. E’ la forza brutale di un processo che non consente una sua attenuazione ma che può e deve essere rovesciato. La linea politica e sindacale, anche la più radicale, che in questi anni ha fronteggiato quest’aggressione ha per lo più scommesso sulla difesa del sistema sociale costruito dal dopoguerra ad oggi, incarnato nella Costituzione repubblicana, nel contratto nazionale di lavoro e nello statuto dei diritti dei lavoratori. Ed ha perso per due ragioni: la prima è quella del logoramento e della perdita di credibilità di un sistema che non ha evitato il precipitare della condizione del paese, la seconda perché non esistono più margini per ritornare al passato senza una rottura violenta di tutti i limiti alle politiche sociali oggi imposti.
La dimensione del conflitto che è necessaria per ricostruire un sistema sociale intorno ai diritti del lavoro, dalle pensioni da lavoro ad una legislazione di difesa sino ai contratti nazionali, è totalizzante. O sei in grado di rompere ogni vincolo, da quelli della Ue sino ai dettami Low cost del padronato, come condizione per ricostruire una politica economica e sociale fondata sul lavoro, oppure semplicemente stai nel processo di spoliazione. E rompere i vincoli significa per un paese attrezzarsi a subire l’isolamento più bieco da parte delle altre nazioni, significa metter in conto la fuga delle imprese, dei capitali e di conseguenza l’adozione di un piano straordinario di intervento pubblico in economia. Questa è la ragione di fondo per cui alla Grecia, nonostante Tsipras abbia chiesto solo tempo e qualche parziale riaggiustamento sul debito, non è concesso cambiare strada ne disfarsi del memorandum. Questa è anche la ragione per cui larga parte della sinistra politica e sociale ha fatto dell’opportunismo la sua bandiera. Non si intende consentire ad un paese di riacquistare la piena sovranità delle proprie scelte e tanto meno di uscire dalle politiche neoliberiste. La decisione della BCE di non accettare più titoli di stato ellenici è l’ennesimo atto violento, di guerra contro il martoriato popolo greco. La storia pone nuovamente davanti ad un bivio, o piegarsi o dichiarare guerra al capitale. O la rivoluzione sociale, in una fase in cui sembra lontanissima, o la barbarie di un’umanità costretta a guerreggiare per strapparsi lavoro e salario a condizioni sempre più infime.
Che fare quindi? Per restare sul terreno sociale in primo luogo il sindacato è chiamato ad una linea ed una pratica dichiaratamente anticapitalista, capitalismo e democrazia non stanno più insieme, da un pezzo. Ciò significa uscire dai meandri del sottogoverno, dalle secche di un’ostinata e inutile riverenza verso il palazzo e le sue stanche liturgie. Bisogna tornare ad essere una forza antisistemica, il cuore dell’opposizione sociale, allo scopo di organizzare una propria pratica rivendicativa fuori da ogni accordo che ingabbia le politiche rivendicative e che delimita e limita i diritti dei lavoratori.
Il potere contrattuale, che è potere politico, si ricostruisce insieme alla battaglia sul piano politico generale, nelle pratiche sui bisogni, dentro e fuori i luoghi di lavoro attraverso le lotte sui contratti, contro i licenziamenti, sulle condizioni di lavoro, in difesa dello stato sociale, nella appropriazione e l’autogestione di fabbriche dismesse,di case e spazi. Nella ricostruzione delle case del popolo quali luoghi di una nuova alfabetizzazione politica e sindacale, di nuova coscienza di classe. Una vertenzialità che va oltre la legalità formale, sempre più a difesa di privilegi e abusi. Anticapitalismo e pratiche coerenti. Radicalità formale e radicalità sostanziale. Il tempo di affidare la nostra rappresentanza alla politica istituzionale ed alle burocrazie, per chi lo avesse fatto, è finito.
Sergio Bellavita
10/2/2015 http://sindacatounaltracosa.org/
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