QUESTA EUROPA

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Pace o guerra dopo il voto europeo editoriale di Roberto Musacchio

Il primo ad arrivare è stato l’exit poll del voto tedesco che è un vero terremoto per il governo semaforo. Spd e Grunen perdono, meno la prima, oltre l’8% i secondi. I liberali scendono sotto il 5% che alle politiche fa da sbarramento. L’Afd, destra radicale, scavalca i socialdemocratici. Primo partito sono i popolari. Cala molto la Linke che va sotto il 3 mentre BSW, la scissione guidata da Sahra Wagenkchter debutta intorno al 6. Essendo la Germania il cuore d’Europa una analisi a caldo del voto non può non partire da qui. E parla di instabilità anche se Ursula Von Der Leyen parla, in materia di Germania, di “sconfitta degli estremisti di destra e di sinistra”. Un terremoto arriva anche dall’altro senior partner della UE, la Francia dove Le Pen doppia Macron. E quello francese è il primo governo a saltare. Seguito da quello belga. In realtà le aree di maggiore “stabilità” sono la Spagna e l’Italia. Si può ragionevolmente dire che la guerra ha pesantemente destabilizzato l’Europa. Ma, in assenza di una consapevolezza organizzata e di una alternativa pacifista, sono le destre radicali a guadagnare elettoralmente e politicamente. Sulla mancanza di questa consapevolezza occorre interrogarsi. Bastava guardare lo spot elettorale di Ursula Von Der Leyen, presidente uscente della Commissione Europea e ricandidata dal suo partito, i Popolari Europei, perché apparisse chiaro il tema dominante di questa campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo. Uno spot tutto bellicista e con al centro il riarmo massiccio della UE per fronteggiare il nemico russo, ormai considerato e proposto come tale. Permanentemente.

Colpisce che questa chiarezza della posta in palio del voto fosse evidente dal modo di proporsi della Von Der Leyen ma molto meno nelle campagne elettorali per come effettivamente si sono tenute. Molto “nazionali”. Con il sempreverde tema degli europeisti versus i sovranisti, declinato da sinistra con quello delle destre all’arrembaggio. E poi i classici sui migranti, le burocrazie, i particolarismi. Ben poco di sociale vista la pressoché inesistenza di una piattaforma sociale europea agita da un qualche soggetto vuoi sindacale vuoi partito europeo di sinistra. Qualcosa sul clima però rideclinato secondo le logiche e le esigenze della guerra permanente.

Qualcosa sui diritti. Molte polemiche nazionali tra governi e opposizioni locali. Praticamente nessun protagonismo dei partiti europei e dei loro spitzenkandidat (i candidati di punta) relegati a qualche comparsata euro televisiva ad ascolti bassissimi. Naturalmente molti giochi di posizionamento per predisporre gli equilibri del dopo voto. Tra le grandi aggregazioni, popolari, socialisti, le due destre e i minori liberali e verdi. E i Paesi, con Macron a cercare spazi, la Germania del governo semaforo sempre più in chiave bellicista e la Polonia a sgomitare proponendosi come la più risoluta a menare le mani contro i Russi. Qualche nome buttato lì, come quello di Draghi.
Qualche sfumatura nella governance proposta, con le destre, se fanno la guerra secondo il pensiero del presidente del Consiglio europeo Michel, solo quella di Meloni ma non Le Pen per altri, con i verdi ma non con le destre per i verdi europei che si candidano a entrare in maggioranza.

L’unica certezza è che i dominus saranno guerra e riarmo. Riarmo escluso dalla mannaia del ritorno del patto di stabilità e bussola per la nuova fase UE come descritta nei rapporti su competitività e mercato interno affidati a due italiani, Draghi e Letta.
Poi naturalmente ci saranno le elezioni USA di novembre con cui dover fare i conti. Per ora la UE sembra seguire la stessa logica che fu usata nella dissoluzione della Jugoslavia, fiancheggiate la NATO e “portare a casa”. Certo la Russia è un’altra cosa. C’è lo spettro nucleare. La rottura economica con Mosca ha comportato uno sconquasso economico nella UE a partire dalla Germania. Ma sembra un prezzo messo in conto da leadership europee che marciano nel revisionismo storico, emblematico il festeggiamento della ricorrenza dello sbarco in Normandia che ha cancellato l’URSS, per costruirsi una narrazione bellica atta ad un conflitto strutturale e permanente. Le magnifiche sorti e progressive della globalizzazione ci lasciano un dominio del capitale finanziario connesso a guerra e fossile e conflitti interimperialistici sempre più deflagranti. In cui ogni guerra locale si fa generale. Si pensi a quella in Palestina dove la UE mostra tutta l’ipocrisia dei suoi doppi standard, come già con Kossovo e Donbass o Kurdistan.

Ora questo spot di Ursula Von Der Leyen deve tenere l’impatto col voto e con le conseguenze europee e nei vari Paesi. Che sono, abbiamo visto, più deflagranti del previsto. Si riparte da lei, dalla sua maggioranza, ma evidentemente ci sarà da lavorare per avere una stabilità numerica e politica. Da comporre come famiglie politiche ma anche come governi che concorrono al governo della UE. Che si annuncia periglioso e in attesa delle elezioni USA di novembre che potrebbero essere un altro sconquasso.

L’Italia per la prima volta ha visto una partecipazione al voto inferiore alla media europea che è stata del 51% attestandosi intorno al 49. Quello italiano è anche uno dei pochi governi che escono confermati dal voto, in particolare Fratelli d’Italia di Meloni. Certo il calo della Lega sarà un fattore destabilizzante ma Meloni sembra uscire bene. Ed ha carte da giocare anche negli equilibri generali della UE dove sarà difficile fare a meno di lei. Schierata con la guerra ma più prudente di Macron e Scholz. Dall’altra parte degli schieramenti c’è un consolidarsi di Schlein con le sue liste equilibriste. E un successo notevole di AVS trainato anche dalla candidatura Salis. Vanno male i Cinquestelle apparsi molto in ombra e incerti. Non ce la fa Pace Terra Dignità che con 500 mila voti supera il due per cento e che pure ha fatto una buona campagna elettorale riuscendo ad imporre il tema della guerra come questione politica e non solo come scenario. Ma la guerra è tutt’altro che finita e dunque la stabilità che sempre caratterizza la costruzione ademocratica dell’UE è destinata ad essere fortemente instabile. Passare dalla destabilizzazione della guerra ad una vera alternativa di pace è un lavoro tutto da fare.

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